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editoriale in corso


 

Tabella sulla guerra e i morti americani


LA FORTUNA DI ESSERE BONOBO

Siete stati su www.paniscus.net/vita.htm

Avete conosciuto i felici bonobo?

Per chi non ci è stato una breve descrizione del Bonobo.

I bonobo sono degli scimpanzé fuori norma che vivono sulla riva sinistra del fiume Congo.

Mentre tutti gli altri nostri parenti scimmieschi ci assomigliano abbastanza, nel senso che noi siamo tanto, tanto peggiori ed inferiori ed "incivili" di loro, i bonobo no, sono diversi da tutte le altre scimmie e pure da noi. Non conoscono gerarchie ferree, non praticano "sopraffazione, arroganza, assassinio" come dice la mia cara amica che ha voluto fare conoscenza con questi esseri "anomali".

Come hanno fatto i bonobo a mantenersi così felici e pacifici? Semplice: hanno messo al centro della loro vita l'amore e l'attività sessuale.

Insomma oltre Marcuse, al di là di Marcuse, senza bisogno di Marcuse pure!

Al Bonobo girano maledettamente le scatole per qualche motivo? invece di fumarsi un pacchetto di sigarette, o attaccarsi ad una bottiglia si fa quante seghe gli va.

E' incazzato perché qualcosa gli va storto? si fa passare l'incazzatura incazzandosi in senso erotico.

C'è un albero straricco di frutta e due gruppi di Bonobo se lo litigano?

invece di crocchiarsi fino a che uno vince su l'altro, si mettono a pomiciare e, pomiciando pomiciando... alla fine si dividono i frutti.

Il centro della sua vita è la pratica sessuale, senza teoria!, in questo modo riesce a tenere sotto controllo il suo tasso di aggressività. Non fa altro che fare sesso, da solo in compagnia, omosessuale, eterosessuale di gruppo e così via. Quando la mia amica mi ha comunicato la sua scoperta, mi sono detta:

CHE FORTUNA ESSERE BONOBO!

Nonché
Che bello se invece di discendere da una stramaledetta scimmia fuori di testa e presuntuosa pure, il nostro antenato fosse stato un Bonobo!

Ed ho incominciato a fare l'elenco dei vantaggi che avrebbe portato la fortuna di essere discendenti dei bonobo.
In Italia per esempio:

Tanto per incominciare il Parlamento non si chiamerebbe Parlamento ma Pomiciatoio o Scopatoio, il che renderebbe meglio l'idea!!!

Gli Onorevoli Scopatori o Pomiciatori, avrebbero le mani occupate nelle zone erogene e quindi non ci sarebbe l'indecoroso fenomeno dei pianisti!

con gran sollievo degli ortopedici, ultimamente impegnati a sanare lussazioni e distorsioni alle braccia degli Onorevoli non Scopatori e non Pomiciatori! E' sempre meglio vedere una assemblea che si da all'erotismo invece dell'oscenità di un assemblea che si da al pianismo!

I suddetti Scopatori o Pomiciatori, inoltre, sarebbero tanto impegnati ad inchiappettarsi tra di loro che non avrebbero né tempo, né soprattutto voglia, di fare leggi per inchiappettare noi!!!

La questione di Previti sarebbe subito risolta, senza bisogno di Cirani!

tutti i Pomiciatori o Scopatori esigerebbero da Previti delle semplici prestazioni sessuali come risarcimento delle sue presunte malefatte, e noi non avremmo questo tormentone, e i giudici di Milano potrebbero, finalmente, pure loro dedicarsi all'attività preferita nel Paese del Bonobo.

Bossi anche non potrebbe dire "c'è l'ho duro", perché se lui lo avesse più duro degli altri non sarebbe un Bonobo! insomma lo secessionerebbero fra i Mandrilli!!!

Non ci sarebbero mignotte e quindi niente "via libera" e "case chiuse", in quanto non ci sarebbe richiesta e quindi neppure offerta, insomma saremmo tutti mignotte e mignotti! sempre meglio di puttane e puttanieri!

E poi volete mettere invece che veder dei banali girotondi vedere una bella sarabanda di gente nuda che scopa e si diverte alla grande intorno allo Scopatoio o al Pomiciatoio?

I non violenti in cammino finalmente si potrebbero mettere i piedi a mollo, perché non ci sarebbe violenza! Gli spacca vetrine pure si riposerebbero e soprattutto non ci sarebbe chi ogni volta urla "hanno spaccato la vetrina, hanno spaccato la vetrina!", al massimo avrebbero arraffato qualche banana e arraffatori e controarraffatori si farebbero tante coccole, scordandosi le banane, magari!
Casarini pure invece di minacciare sfracelli a Genova e a Firenze, minaccerebbe orge a quello iddio! anche perché non ci sarebbero poliziotti.

Quelli che vogliono esodare finalmente starebbero in pace, e chi vorrebbe lasciare la riva sinistra di questo fiume Congo italiano?

Senza contare tutti quelli che ci ammorbano con le loro pippe mentali, di ogni specie, che sarebbero occupati a farsi pippe vere e proprie. Vi pare poco?

Se tutti noi fossimo dei discendenti dei Bonobo in sostanza, al centro dei nostri interessi ci sarebbe il gioco ed il gioco erotico.

Quindi pure il sistema elettorale sarebbe un gioco, senza trucchi. La legge vigente sarebbe che ognuna ha il diritto di fare quello per cui è portato e avrebbe l'immunità per quello per cui è portato, quale legittimo
sospetto? Uno ha un debole sperticato per le banane? ha l'immunità per fottersi quante banane vuole e per fottere con le banane pure!

Un altro gruppo si vuole abboffare di datteri e miele? stessa cosa. Anche perché non ci sarebbe alcun rischio che uscisse un Bonobo Brigatista che dice:" io voglio l'immunità per fare fuori tutti gli Onorevoli Scopatori i Pomiciatori" che senso avrebbe?

La parola d'ordine sarebbe .

INVECE DI FOTTERE E DI FOTTERVENE FOTTETE!

Degli intelligenti Bonobo non avrebbero il bipolarismo ma sarebbero passati velocemente al
"chi lo fa meglio è il capo!" e a "chi ce fa godè meglio comanna". Insomma per fare i capi ci vorrebbero "gli attributi" sul serio!!!

Anche se pare che i Bonobo non abbiano dei veri e propri capi, infatti: capo de che ? capo de sto cazzo!.

vittoria
L'Avamposto degli Incompatibili

 


Racconti la verità al popolo Presidente Bush

Racconti la verità al popolo, signor Presidente, sul terrorismo. Se le illusioni riguardo al terrorismo non saranno disfatte la minaccia continuerà fino a distruggerci completamente. La verità è che nessuna delle nostre migliaia di armi nucleari può proteggerci da queste minacce. Nessun sistema di Guerre Stellari (non importa quanto siano tecnologicamente avanzate né quanti miliardi di dollari vengano buttati via con esse) potrà proteggerci da un'arma nucleare portata qui su una barca, un aereo, una valigia o un'auto affittata. Nessuna arma del nostro vasto arsenale, nemmeno un centesimo dei 270 miliardi di dollari spesi ogni anno nel cosiddetto "sistema di difesa" può evitare una bomba terrorista. Questo è un fatto militare.


Signor Presidente,

Lei non ha raccontato al popolo americano la verità sul perché siamo bersaglio del terrorismo quando ha spiegato perché avremmo bombardato l'Afganistan e il Sudan. Lei ha detto che siamo bersaglio del terrorismo perché difendiamo la democrazia, la libertà e i diritti umani nel mondo. Che assurdo, signor Presidente! Siamo bersaglio dei terroristi perché, nella maggior parte del mondo, il nostro governo difende la dittatura, la schiavitù e lo sfruttamento umano. Siamo bersaglio dei terroristi perché siamo odiati. E siamo odiati perché il nostro governo ha fatto cose odiose. In quanti paesi agenti del nostro governo hanno deposto dirigenti eletti dal popolo, sostituendoli con militari-dittatori, marionette desiderose di vendere il loro popolo a corporazioni americane multinazionali?

Abbiamo fatto questo in Iran quando i marines e la CIA deposero Mussadegh perché aveva intenzione di nazionalizzare il petrolio. Lo sostituimmo con lo scià Reza Pahlevi e armammo, allenammo e pagammo la sua odiata guardia nazionale SavaK, che schiavizzò e brutalizzò il popolo iraniano per proteggere l'interesse finanziario delle nostre compagnie di petrolio.

Dopo questo sarà difficile immaginare che in Iran ci siano persone che ci odiano?

Abbiamo fatto questo in Cile.

Abbiamo fatto questo in Vietnam.

Più recentemente, abbiamo tentato di farlo in Irak.

Ed, è chiaro, quante volte abbiamo fatto questo in Nicaragua e nelle altre repubbliche dell'America Latina?

Una volta dopo l'altra, abbiamo destituito dirigenti popolari che volevano che le ricchezze della loro terra fossero divise tra il popolo che le ha prodotte. Noi li abbiamo sostituiti con tiranni assassini che avrebbero venduto il proprio popolo per ingrassare i loro conti correnti privati attraverso il pagamento di abbondanti tangenti affinché la ricchezza della loro terra potesse essere presa da imprese come la Sugar, United Fruits Company, Folgers e via dicendo. Di paese in paese, il nostro governo ha ostruito la democrazia, soffocato la libertà e calpestato i diritti umani.

E' per questo che siamo odiati intorno al mondo.

Ed è per questo che siamo bersaglio dei terroristi.

Il popolo canadese gode di democrazia, di libertà e diritti umani, così come quello della Norvegia e Svezia.

Lei ha sentito mai dire che una ambasciata canadese, svedese o norvegese siano state bombardate?

Noi non siamo odiati perché pratichiamo la democrazia, la libertà e i diritti umani.

Noi siamo odiati perché il nostro governo nega queste cose ai popoli dei paesi del terzo mondo, le cui risorse fanno gola alle nostre corporazioni multinazionali. Quest'odio che abbiamo seminato si ritorce contro di noi per spaventarci sotto forma di terrorismo e, in futuro, terrorismo nucleare.

Una volta detta la verità sul perché dell'esistenza della minaccia e della sua comprensione, la soluzione diventa ovvia. Noi dobbiamo cambiare le nostre pratiche. Liberarci delle nostre armi (unilateralmente, se necessario) migliorerà la nostra sicurezza. Cambiare in modo drastico la nostra politica estera la renderà sicura. Invece di mandare i nostri figli e figlie intorno al mondo per uccidere arabi in modo che possiamo avere il petrolio che esiste sotto le loro sabbie, dovremmo mandarli a ricostruire le loro infrastrutture, fornire acqua pulita e alimentare bambini affamati. Invece di continuare a uccidere migliaia di bambini iracheni tutti i giorno con le nostre sanzioni economiche, dovremmo aiutare gli iracheni a ricostruire le loro centrali elettriche, le stazioni di trattamento delle acque, i loro ospedali e tutte le altre cose che abbiamo distrutto e abbiamo impedito di ricostruire con le sanzioni economiche. Invece di allenare terroristi e squadroni della morte, dovremmo chiudere la nostra Scuola delle Americhe. Invece di sostenere la ribellione e la destabilizzazione, l'assassinio e il terrore intorno al mondo, dovremmo abolire la CIA e dare il denaro speso da essa ad agenzie di assistenza. Riassumendo, dovremmo essere buoni invece che cattivi.

Chi tenterebbe di trattenerci? Chi ci odierebbe? Chi vorrebbe bombardarci?

Questa è la verità, signor Presidente. E' questo che il popolo americano ha bisogno di ascoltare.

Mons. Robert Bowman


UNA LEGGE CONTRO IL VANGELO

Non mi sarei mai aspettato di ritornare in Italia dopo 12 anni spesi nei sotterranei della vita e della storia, nella baraccopoli di Korogocho nella periferia di Nairobi (Kenya), ed essere accolto con una legge come la Bossi-Fini. Ma cos’è successo? Ho chiesto a eminenti studiosi in pubblici dibattiti in Puglia (quali Antonio Brusa o Franco Cassano). Balbettavano, balbettiamo tutti. Una cosa è certa: in un ventennio il popolo italiano ha fatto una virata antropologica incredibile (una volta mandavamo schiere di antropologi a studiare le “tribù” africane, forse è giunta l’ora che gli antropologi africani vengano a studiare la “tribù” italiana e a spiegarci cosa stia avvenendo proprio in un paese di migranti come l’Italia).

Noi italiani in questi ultimi due secoli siamo stati un popolo di migranti (oltre 60 milioni di italiani vivono oggi all’estero!), in barba a tutta una storia di migrazioni, in barba a tutte le campagne di difesa dei diritti umani, culturali, religiosi, dei nostri connazionali all’estero, in barba a tutto e tutti…siamo arrivati ora alla Bossi-Fini.

Mi vergogno di essere italiano, ma mi vergogno soprattutto di essere cristiano (se cristiani sono coloro che hanno votato o approvato questa legge!). L’immagine più ripugnante è senza dubbio quella della raccolta di impronte digitali degli immigrati (basterebbe ricordare quello che questo significa nell’immaginario popolare!). Ma quello che preoccupa di più della Bossi-Fini è che mette fra parentesi la persona (quello che interessa è che l’immigrato lavori, non che esista come essere umano con una propria cultura o come cittadino. In questo senso la legge Fini-Bossi avalla una mentalità secondo la quale l’immigrato deve essere una merce da utilizzare. L’immigrato è legalmente riconosciuto fintanto che serve al capitale e poi può essere respinto al mittente. E se l’immigrato non esiste come soggetto di diritti, allora non esisterà neanche il rispetto per la sua cultura, per la sua esperienza religiosa. E se questa è la mentalità che regge questa legislazione, è chiaro che ignorerà anche le cause strutturali che spingono tanta gente a cercare una possibilità di vita qui da noi (gli squilibri internazionali,la geopolitica delle guerre, i sempre più marcati divari tra straricchi e impoveriti).

Non risolveremo mai il problema delle immigrazioni se non risolveremo la profonda sperequazione economico-finanziaria che regge questo mondo dove il 20% si pappa l’83% delle risorse di questo mondo e questo per lo strapotere militare che serve a difendere lo stile di vita di pochi a spese di molti morti di fame. Anche in questo, la legge Bossi-Fini introduce misure di polizia e di ordine pubblico, di sicurezza per incassare facili consensi, agitando lo spauracchio dell’immigrato come delinquente.

È penoso constatare come questa politica si tenga sempre più al largo non solo dai valori cristiani, ma anche da una qualsiasi idea di società accogliente e dialogante.

Penso che come credenti e come uomini non ci rimanga che il rifiuto di una tale legislazione. È un insulto sia alla nostra umanità come alla fede cristiana. Per questo spero che al più presto la chiesa ufficiale italiana possa esprimere il proprio rifiuto sdegnato per questo pezzo di legislazione. Ma soprattutto possa far partire un processo educativo di base per le comunità cristiane che le porti a vedere nell’altro, nell’immigrato, nel diverso, una ricchezza e non un problema. Solo un prolungato impegno educativo alla base che rimetta in discussione l’ideologia della sicurezza, della tolleranza-zero, l’ideologia della nostra superiorità potrà permetterci di sperare che un domani come popolo potremo esprimere qualcosa d’altro della legislazione Bossi-Fini .

Ed infine vorrei chiedere a questa nostra Chiesa italiana il coraggio di far partire un movimento come il sanctuary movement (il movimento per il diritto di asilo). Questa esperienza nasce negli USA negli anni ’80 per aiutare gli immigrati provenienti dal Salvador, Guatemala, Nicaragua, che restituiti ai loro governi avrebbero dovuto affrontare o  la prigione o la morte.

Le comunità ecumeniche di resistenza forti della tradizione biblica del diritto di asilo (santuario) si facevano carico di determinati soggetti a rischio. Se la polizia minacciava di arrestarli, tutta la comunità faceva quadrato attorno ad essi ed iniziava il cammino di difesa in corte.

È solo un suggerimento.

Dobbiamo però tutti intraprendere la resistenza dal basso se diciamo di credere, come Tonino Bello, alla “convivialità delle differenze”.

 Alex Zanotelli

 

 

commento del Signor Szép János (giuntoci per email)

Gregio Sig. Alex.

Ho letto con molta attenzione quanto da lei scritto in merito alle legge Bossi-Fini.

Non conosco nei particolari tale legge, ma ne sono chiare le critiche proveninti da piú parti, nei suoi confronti.

Sono propenso a prendere le distanze dalla maggior parte delle idee, proposte, prese di posizione ed affermazioni che i partiti rappresentati dal Sig. Bossi e dal Sig. Fini attuano e/o propagandano.

Non per questo credo sia giusta una obbiettiva autocritica.

Brevemente:

Siamo stati, io lo sono, un popolo di emigranti.

Non so quanti anni lei abbia, oggi peró noi non sappiamo esattamente cosa voglia dire essere stati emigranti in Sud America, Nord America, Germania, ecc. Parlo per sentito dire da chi lo é stato.

Emigranti, solo 50 anni fa, non era come esserlo oggi in Italia.

In merito ai centri di raccolta, in merito alle possibilitá di lavoro, in merito alla qualitá del lavoro, in merito alla sicurezza nel lavoro, in merito ai diritti di lavoratore, in merito alla qualitá di vita da emigrante, in merito alla partecipazione sociale, in merito ai diritti civili, e potrei riempire l'intera pagina.

É indiscutibile che la qualitá di vita di un immigrato in Italia é estremamente migliore a quella di un emigrato italiano di appena soli 50 anni or sono.

Oggi un immigrato telefona a casa quasi ogni giorno, una volta se si telefonava a casa a Natale era giá una cosa fantastica.

Oggi un immigrato ha lo stesso trattamento sociale, giuridico e penale di un qualsiasi altro cittadino italiano. Non lo era per un emigrante italiano.

I tempi sono cambiati, gli emigranti sono cambiati.

Le leggi si fanno in base agli eventiű storici.

Se la percentuale di crimini commessi da immigranti fosse estremamente irrisoria, nessuna proposta di legge Bossi-Fini mai passserebbe alle camere.

Se lo é passata, vuol dire che esiste una realtá in tal senso. E credo che quasi ogni cittadino la percepisca a mezzo strumenti di informazione.

D'accordo che oggi si strumentalizza in modo infinitesimo, ma i fatti restano innegabili nella loro quantitá.

Ieri l'emigrante era il padre di famiglia che cercava di portarsi appresso l"intera famiglia, oggi gli immigranti sono per lo piú giovanissimi che arrivano in gruppi di amici di due, tre individui.

Ma soprattutto, non dimentichi, che ieri non esisteva un fenomeno comparabile a quanto oggi si definisce comunemente "TERRORISMO INTERNAZIONALE".

Ed un terrorista internazionale, che operi in Italia, al 99,99% é un immigrato o tale si fa spacciare.

Se questi individui si nascondono nella massa degli immigrati, devo operare "ad impronta digitale" ed a schedatura.

Lei conosce forse un sistema piú "fraterno" e meno offensivo nei loro confronti?

Come trovo altrimenti la mela marcia in mezzo alle altre?

Questo concetto, per primi dovrebbero capirlo proprio gli immigranti in Italia.

Quale offesa, quale affronto, quale ingiustizia se attuo forme di prevenzione nei confronti miei e dei miei figli?

Opero nel mio interesse, ma anche in quello dell'immigrato.

Lei parla di diritti. I diritti del padrone di casa, non devono essere imposti dal padrone di casa, ma dovrebbero essere volontariamente osservati dall'ospite.

Se vado a casa di un amico, mi muovo, parlo ed agisco sapendo di non essere a casa mia e se a casa mia viene un ospite, io cerco di metterlo a suo agio come se egli fosse a casa sua ma l'ospite, in forma di rispetto, non si permetterá mai le libertá che si permette a casa sua.

Come padrone di casa, nei confronti dei miei figli e di mia moglie, mi preoccupo di valutare "la qualitá" dei miei ospiti. E questo l'ospite deve saperlo, deve capirlo.

Lei parla di Chiesa italiana, comunitá cattolica...

Benissimo. Evidentemente lo é anche lei.

Provi ad andare in un paese islamico ed esibire in un posto pubblico (come puó esserlo una scuola...) il suo simbolo religioso.

Io ho vissuto in Kenya per 8 anni. Conosco certe realtá. E mi creda, potrebbe andarne della sua vita.

Da cristiano vado in un paese islamico in punta dei piedi, perché comunque sono un ospite.

Osservo le loro tradizioni e la loro culura e le accetto.

Altrettanto devono fare loro nei nostri confronti.

Quando poi il tempo passerá, e l'ospite diverrá parte integrante della comunitá perché egli stesso se ne sentirá parte, allora daró piú spazio alle sue esigenze, al suo modo di essere "diverso".

L'ospite ne ha diritto dopo un certo periodo, ma non puó pretenderlo subito.

E queste sono regole universali. In Italia come in Kenya fra i Masai.

Comunque, la legge perfett non esiste e non esisterá mai se pensata dall'uomo.

Interpretando le sue parole "evangeliche", a lei sotto tale sfera mi rivolgo per concludere la presente: La Legge, é quella Divina ed é perfetta. Noi proviamo a creare qualcosa di simile che serva come guida per la comunitá intera. Abbiamo sbagliato leggi, le sbagliamo e le sbaglieremo.

Leggi ingiuste?

Le nostre vite messe insieme non basterebbero in termini di tempo a discutere su esse.

L'integrazione é possibile, ma dipende sempre dall'ospite.

Parla di un modello americano.

In America (USA), abbiamo ancora oggi una grande realtá razzista. Credo che ovviamente lei ne sia a conoscenza.

Un solo esempio simbolico: Swarzenegher (se ho scritto giusto - l'attuale governatore ex attore), non potrá mai fare il presidente degli USA perché non é un cittadino originario USA.

Questo, lei come lo chiama?

Lo sa che nei paesi da cui provengono gli immigranti d'Italia, si combatte oggi per dare i diritti elementari a donne e bambine?

E loro vengono a darci lezioni di diritti?

Una legge contro il Vangelo?

Non confondiamo oste con ospite, leggi fatte dagli uomini e Vangelo che é Legge di Dio.

Sbagliamo tutti.

Io compreso in molto di quello che ho voluto dirle.

Ma se ci capiamo, se ci comprendiamo allora le nostre leggi imperfette possono anche funzionare. Tutti devono peró rinunciare a qualcosa...

 

Con fraterno affetto, Szép János.


I perché di una guerra.

Il Dr. Awni si é laureato in Italia all'Università La Sapienza di Roma e, nonostante abbia il passaporto italiano ha rinunciato ad una sicura carriera come neurologo presso le strutture ospedaliere dell'Università di Modena. Giunto in Palestina nel 1985 per rimanere insieme al suo popolo sta oggi vivendo la seconda Intifada, nonostante i sauditi gli abbiano offerto oltre 20.000 dollari al mese, casa e automobile di lusso in cambio delle sue prestazioni specialistiche in neurologia.

 Lo abbiamo incontrato e questa é la conversazione che abbiamo avuto con lui.

 - Cosa può dirmi di questi ebrei samaritani che vivono a Nablus e hanno anche le loro sinagoghe? -

Ma questi sono nostri concittadini, sono di religione ebraica, ma la loro fede indica Mosé come l'unico Profeta riconosciuto, essi non riconoscono nessuno degli altri profeti venuti dopo di lui, ne Re David, ne Re Salomone, o Isaia e neppure Gesù, tanto meno Maometto, essi riconoscono e credono solo in Mosé. Quindi c'é una notevole differenza tra loro e gli ebrei israeliani, non per questo sono in contrasto tra loro, ma la loro

fede impone ai samaritani di vivere quì a Nablus e non possono lasciare questa terra, considerano il Monte Jerzim il loro luogo più Sacro, il monte dove Mosè avrebbe ricevuto le tavole della legge dal Padre Eterno, e credono inoltre che le tavole siano state nascoste quì in una grotta di questo monte dagli eunuchi del Tempio di Re Salomone, che poi si suicidarono prima dell'arrivo dei Babilonesi. Per tutte queste ragioni gli ebrei samaritani vivono qui a Nablus e stanno anche meglio degli altri perché sono appoggiati e amati da tutti, dagli ebrei, dai palestinesi, dai giordani, da tutti quanti. Essi hanno gli impieghi migliori anche se hanno un basso livello culturale, perché non possono andare a studiare all'estero, a casua della loro fede religiosa. Comunque sia loro stanno bene con noi e noi con loro. Il Direttore Amministrativo del Watani Hospital di Nablus, dove siamo ora, é un samaritano, ma quasi nessuno lo sa, é uno come gli altri. Essi sono legati a questa terra, non hanno ambizioni di potere e vivono secondo i loro principi religiosi in una pacifica sinergia con tutti noi. Naturalmente essi si possono spostare liberamente anche con la loro auto perché hanno una licenza speciale. Essi hanno persino un rappresentante nel Parlamento palestinese, e pensare che la loro comunità non conta più di quattrocento persone. Mentre la mia famiglia ne conta oltre quindicimila eppure non abbiamo un rappresentante al Parlamento.

 - Signor Dottore, qual'é la situazione attuale a Nablus? -

Guarda, solo poche notti orsono verso l'una del mattino l'esercito israeliano ha iniziato a lanciare sulla città bombe sonore ed ha proseguito fino alle tre. Per due ore bambini e adulti sono stati terrorizzati dalle esplosioni sonore e ognuno di loro pensava che le bombe cadessero sulla propria casa.

 - Lo stato israeliano pensa forse di garantire la propria sicurezza in questa maniera?

Io abito fuori Nablus e non sono autorizzato ad andare al lavoro con la mia automobile, sono costretto a camminare a piedi per 3km tra il fango d'inverno e sotto il sole cocente d'estate. Questo trattamento, questi

obblighi, questi impedimenti, danno forse più sicurezza agli israeliani?

Pensa che alcuni giorni fa un uomo ha avuto un infarto miocardico, ma egli abitava lontano dal centro cardiologo del nostro ospedale, il Watani Hospital, ed ha così dovuto camminare per alcuni km fino al check point, nonostante la grave crisi cardiaca che aveva subito. Poi giunto al check point é stato fermato dai militari che non gli hanno permesso di procedere a piedi verso l'ospedale, ne di ritornare alla sua casa, ed é rimasto bloccato al check point fino a quando, dopo alcune ore, non é morto.

Io sono nato a Jenin e non vedo mia madre, che ha ottantacinque anni, da circa un anno e mezzo. Possono queste condizioni di vita garantire la sicurezza dello Stato di Israele?

Questo é puro e semplice sadismo, la gente é costretta a camminare per km per andare da un villaggio all'altro, i più fortunati riescono a muoversi a dorso d'asino, ma ci sono anche quelli che si portano l'anziana madre sulle spalle. Questo stato di cose é molto peggio di una semplice persecuzione, non trovo altre parole che il sadismo per definirlo in modo aderente alla realtà.

Gli israeliani si divertono a farci del male, entrano nelle case dopo la mezzanotte per spaventare i bambini, rompono tutto, sporcano, umiliano gli adulti e li maltrattano, oggi un palestinese non vale più nulla. Si comportano in questo modo solo le persone sadiche!

 - In che misura i bambini soffrono di queste angherie? -

In questo modo viene tolta ai bambini la loro innocenza, la loro età più bella gli viene sottratta. Per esempio i miei figli non possono giocare davanti a casa perché c'é un edificio dell'esercito israeliano che non permette a nessuno di fermarsi per strada. I bambini non hanno più i parchi ne i giardini dove poter giocare. Si svegliano nel pieno della notte a causa delle bombe sonore, come qualche giorno fà, oppure per gli spari e capiscono benissimo che questi rumori sono per uccidere.

Solo due anni fa, la mia figliola di sette anni poteva giocare ai giardini pubblici, oppure andare a trovare la nonna, ma oggi rivedere la nonna è diventato un sogno.

I bambini hanno una intelligenza vivace e forte e vivono la paura costantemente. Ma nessuno può immaginare come il bambino realizza la paura, in che maniera essa incide sulla sua personalità, sulla sua vita. Non si può prevedere come crescerà un bambino costantemente spaventato. Inoltre mancano loro le cose più semplici, dal denaro ai vestiti a tutte quelle cose che i bambini sognano di possedere durante la loro infanzia e loro lo capiscono e anche per questo non chiedono mai niente. Pensa che io volevo fare un lavoretto, costruire una veranda sul retro della mia casa, insieme a mia moglie avevamo preventivato una spesa di circa cinquecento dollari, una cosa da poco, ma sono stato sorpreso da mio figlio, che ha undici anni, il quale mi ha detto - papà no, i soldi potrebbero esserci più utili domani - Quindi lui già si preoccupa del domani, ne ha paura ed é già responsabile della sua paura, nonostante abbia solo undici anni.

 - Al Medical Relief ci hanno parlato dei loro programmi di aiuto ai minori per scaricare la violenza e l'odio ed indirizzare le enrgie positive verso attività più costruttive e più pacifiche del tirare sassi per strada, lei che ne pensa? -

Quando la violenza é reale e quotidiana, io non credo che questi programmi possano essere d'aiuto, perché la repressione é continua e ogni giorno c'é un nuovo dramma. Il bambino capisce benissimo che siamo sotto l'occupazione israeliana e che i soldati sono i nostri nemici. Quando viene colpito in famiglia o anche direttamente nel suo proprio corpo, o suo padre viene arrestato o ucciso, oppure vede i suoi amici legati davanti ad una jeep dei soldati e trasportati a tutta velocità per le strade, come accade spesso qui a Nablus, non credo che questi programmi possano cancellare l'odio che gli viene inculcato da questa realtà ostile e che si solidifica nel suo cuore un giorno dopo l'altro. Non si può pretendere che un bambino accetti questa realtà. Quando perdono i loro parenti e spesso anche i loro fratellini che vengono uccisi dai militari, non é come avere un lutto in famiglia per cause naturali. Il bambino sente di essere in pericolo, sente di essere nel mirino del nemico in prima persona, sente che il pericolo esiste anche per lui e che la morte non é più un fatto naturale. Quando questo tipo di problema interessa ogni casa, ogni famiglia, ogni persona, allora é molto difficile dare sostegno e assistenza. Ed é ancora peggio per quei bambini che hanno l'occasione di andare all'estero per un breve periodo di tempo, il bambino che osserva il mondo intorno a se e vede come vive la gente fuori dalla Palestina quando ritornerà in patria subirà uno shock violento che lo destabilizzerà facilmente. Dopo gli accordi di Oslo, l'odio si era quasi spento nei cuori dei palestinesi, io ho visto bambini che nella prima Intifada lanciavano sassi contro i soldati, i quali, dopo gli accordi di Oslo, sono andati ad offrire ramoscelli di ulivo e fiori ai soldati israeliani. Ma quello che è successo in questa seconda Intifada alimenterà odio per altri cinquant'anni. Avevamo costruito un centro per i bambini, quì a Nablus, vicino al Municipio ma gli israeliani con i loro bulldozer lo hanno demolito e ci hanno messo un carro armato a presidiare un posto di blocco. É stata colpita ogni cosa che potesse sostenere una normale vita civile, come ad impedirne il naturale svolgimento.

 - Pensate che la situazione peggiori, se questo é possibile, dopo le elezioni? -

É questo che sto cercando di dire, qui la popolazione palestinese sta aspettando una catastrofe, nessuno nutre più alcuna speranza. Questa notte hanno ucciso dodici persone a Gaza e quattro a Jenin, ma l'attacco vero a Gaza e forse anche a Nablus, é stato rimandato a causa delle elezioni.

Poi ci sarà la guerra all'Iraq e la gente teme che Israele approfitterà del caos per trasferire migliaia di persone, forse proprio verso l'Iraq. Ormai é chiaro al mondo intero che gli israeliani non permettono ai palestinesi di avere la loro identità politica e territoriale, infatti hanno demolito tutte le strutture dell'ANP. Per non parlare delle dozzine di risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che sono sempre state ignorate dallo Stato di Israele, anche quelle che erano una condanna per noi palestinesi e che abbiamo comunque accettato, gli israeliani no, hanno ignorato anche quelle che erano a loro vantaggio. Io credo che se anche i palestinesi accettassero di avere un loro stato in un piccolo villaggio sperduto non so dove tra i monti, gli israeliani non accetterebbero neppure quello. Perché vogliono questa terra, la vogliono tutta per loro senza palestinesi. Israele vorrebbe che i palestinesi se ne andassero tutti in Iraq o in Giordania, ma neanche in Giordania potrebbero stare perché gli israeliani vogliono anche la Giordania. Israele é uno stato fondato sulla religione ebraica e la riva orientale del fiume Giordano era abitata dagli ebrei, nel passato remoto, lo stesso Mosé non ha mai attraversato il fiume Giordano, ma é sempre vissuto sull'altra sponda.

 - Pensa che un numero elevato di osservatori internazionali possa servire a qualche cosa? -

L'unica cosa che può porre fine a questa tragica situazione é una Forza Internazionale di Pace, altrimenti non cambierà mai nulla. Ogni volta che un palestinese ha una reazione contro un israeliano, vengono immediatamente puniti tutti i palestinesi e quindi la miglior cosa é la separazione, due stati per due popoli. Ma prima che questo sia possibile c'é bisogno di una forza internazionale che controlli i confini e che possa proteggere la popolazione palestinese, perché abbiamo bisogno di essere difesi dalle aggressioni israeliane.

Poi esiste un'altra questione molto grave di cui il mondo non si rende conto, é la catastrofe che si sta preparando in questa terra, chiamata da molti Terra Santa. Qualcosa di enorme che non dovrebbe accadere in questo secolo. Il problema é politico e bisogna avere il coraggio di dire una parola giusta e saggia oggi, prima di domani. Bisogna dire ai cristiani sionisti che stanno portando il mondo alla catastrofe, di pensarci bene almeno altre duecento volte prima di precipitare l'umanità nel baratro.

Io non sono religioso ma secondo me il vero estremismo dei nostri giorni é quello dei cristiani sionisti. Ovvero l'estremismo anglo-americano, senza il quale gli ebrei non potrebbero fare quello che fanno. L'imminente catastrofe che ci attende si annida nelle menti di coloro che vogliono costruire il terzo Tempio per poter assistere alla venuta del Messia. Questi fanno parte di una corrente cristiana che é più sionista degli stessi ebrei.

 - Ma di quali cristiani sta parlando? -

Parlo di quei cristiani che credono nella Bibbia più che nel Vangelo, parlo di quei fanatici che credono nella necessità di costruire il terzo Tempio perché possa ritornare Gesù, come é scritto nella Bibbia. Costoro si stanno preparando per la battaglia di Megiddu (Armageddon), negli anni ottanta il Presidente Reagan ebbe l'occasione di dichiarare - Vedo me stesso come il leader di Megiddu (Armageddon) - Ma credete veramente che Bush Junior stia preparando questa guerra per il petrolio? Ma gli americani hanno tutto il petrolio che vogliono, nemmeno i paesi del Golfo sanno quanto petrolio viene pompato fuori dai loro pozzi dagli americani! Lo prendono per niente. Pensate davvero che con questa guerra gli anglo-americani vogliano dominare il Golfo? Ma se il Golfo lo dominano già dai primi del novecento, quando se lo sono spartito con i francesi! Questa guerra all'Iraq non é fondata su alcun reale motivo politico o economico, questa guerra é guidata dai due paesi più potenti del pianeta, che guarda caso sono anche i paesi dei cristiani protestanti, quei cristiani che forse hanno più attenzione per la Bibbia che per il Vangelo. Pensate davvero che gli anglo-americani vogliano fare la guerra nel Golfo perché Saddam Hussein ha la bomba atomica? Ma anche il Pakistan ha la bomba atomica, che é pure un paese con una maggioranza di integralisti islamici. La bomba atomica ce l'hanno anche i nord-coreani che sono altrettanto integralisti nella loro dottrina comunista. E allora perché l'Iraq non può avere le armi che ha ricevuto dagli stessi americani? Perché gli americani non hanno fermato il dittatore Saddam Hussein quando ha sterminato i Kurdi iracheni con i gas da loro stessi venduti a Saddam? Per quale ragione tirano fuori ora questo falso problema delle armi chimiche e nucleari?

 - Ma allora il progetto di questi cristiani sionisti sarebbe di costruire il terzo Tempio e di arrivare a conquistare tutta la terra dal mare al fiume Eufrate come testimonia la simbologia sulla bandiera israeliana, dove le due strisce azzurre che contengono la stella di David, simboleggiano il fiume Nilo e il fiume Eufrate?

Questo progetto é un'utopia messianica, ma osserviamo un giorno dopo l'altro molti segni che ci confermano la volontà e l'ambizione di procedere verso la realizzazione di questa utopia messianica. Con quale altra ragione si potrebbe giustificare questo appoggio incondizionato degli americani allo stato di Israele? Non ci possono essere ragioni economiche, perché gli arabi sono dei grandi consumatori e sarebbero quindi più utili

all'economia mondiale degli israeliani, gli arabi non producono quasi nulla, ad eccezione del petrolio che vendono agli USA per pochi soldi, e allora perché gli americani dovrebbero mettere a ferro e fuoco un mercato così importante che importa di tutto in cambio di petrolio a basso prezzo?

Gli americani vogliono dal Medio Oriente qualcosa di difficilmente comprensibile all'uomo comune, che invece ha bisogno di giustificazioni più semplici, nonostante queste risultino inconsistenti ad uno sguardo più approfondito. Gli americani e Israele sono entrambi coinvolti in questo folle progetto.

Gli ebrei non credono forse che Cristo debba ancora arrivare, nonostante la sua tomba sia visitata da moltitudini di pellegrini nei secoli dei secoli? E gli americani, sollecitati da questa utopia messianica, li sostengono e li guidano in questo cammino. Le religioni ebraica e cristiana sono complementari ma non credono nel Profeta Maometto, e quindi l'Islam risulta essere l'anello debole della catena, quello che può essere spezzato per realizzare l'utopia messianica. É questa la catastrofe che si sta preparando, una grande guerra di religione. Il primo passo lo ha fatto il Presidente Sharon quando ha calpestato la spianata delle Moschee nel maggio del 2000, il secondo passo é stato fatto con l'abbattimento delle torri gemelle di New York l'anno successivo, cosa che ha spinto moltitudini di persone comuni ad odiare gli arabi e l'Islam. Il terzo passo si sta preparando oggi con l'imminente guerra all'Iraq. Credi forse che Sharon non sia capace di mandare i suoi bulldozer a demolire la Moschea di Al Aqsa e il Tempio della Roccia? La catastrofe verrà quando riusciranno a far credere alla gente comune che bisogna fare la guerra di religione. Quando io non parlerò più con te perché tu sei cristiano e io islamico. La catastrofe verrà quando si realizzerà l'impossibilità di convivere, specialmente qui in Terra Santa, tra persone di religione diversa.

Gli arabi hanno sempre convissuto con tutte le fedi per settecento anni. Dai tempi del grande Saladino fino alla fine dell'Impero Ottomano, cristiani ed ebrei sono sempre stati rispettati e protetti in Terra Santa.

Purtroppo dal passato remoto ad oggi l'uomo non ha imparato nulla e oggi ci troviamo sull'orlo di una nuova tragica e devastante guerra. Saddam Hussein userà il popolo iracheno some scudo umano e lui, se mai accadrà, sarà l'ultimo a morire.

 berretti bianchi per la pace


non ce l’abbiamo fatta, non ci siamo riusciti

cari amici
condividiamo con voi queste nostre amare considerazioni, quasi una sorta di sfogo, che nonostante la tristezza non cancella non quanto di ottimo fatto dalla campagna e l'energia messa insieme dal nostro gruppo, che dovrà continuare a lavorare sodo per contrastare lo strapotere delle armi...

un saluto di Pace

 

…non ce l’abbiamo fatta, non ci siamo riusciti…
Sembra ormai certo, secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa, che la legge 185 del 1990 sul controllo della produzione e del commercio delle armi verrà modificata (in peggio) da un disegno di legge di prossima approvazione al Senato. La notizia è sicuramente negativa e triste per tutto il mondo pacifista (e non solo) che si era trovato unito nel condannare questa ipotesi e nel chiedere a gran voce che il Parlamento riconsiderasse con più attenzione la questione. Per più di un anno moltissime associazioni e gruppi, di estrazione sia laica che cattolica, hanno lottato nell’ambito della Campagna “Fermiamo i mercanti di armi” affinché non venisse di fatto cancellata l’efficacia di una legge tra le più avanzate sul tema in tutto il mondo. Abbiamo prodotto materiale, coinvolto l’opinione pubblica con raccolte di firme ed appelli, promosso dibattiti e confronti, organizzato manifestazioni ed azioni dirette nonviolente, ma le ragioni della politica, dell’economia e delle armi hanno avuto il sopravvento…
Perché, nonostante quello che potranno dire gli esponenti politici favorevoli a questo provvedimento, sono proprio queste le ragioni di fondo di un tale passo, del tutto contrapposte alla spinta etica diffusa che chiedeva invece il mantenimento di un controllo serio sui sistemi d’arma, che altro non sono se non strumenti di offesa e di morte.
La legge 185 del 1990 non è certamente una legge “pacifista”, in quanto permette comunque il commercio delle armi! Ciononostante la sua valenza consiste in una stretta vigilanza sulla trasparenza di tale commercio, con conseguenze dirette sulla pace, sulla sicurezza, sulla lotta al terrorismo.
Va ricordato che la Legge 185/90 prevede esplicitamente il divieto assoluto di esportare verso Paesi che violano i diritti umani, Paesi in conflitto e nel caso che la vendita di tali armi favorisca il terrorismo internazionale. Inoltre viene garantito ai cittadini un alto grado di trasparenza attraverso la dettagliata relazione annuale sulle operazioni di vendita di armi italiane all’estero che il Presidente del Consiglio presenta al Parlamento. Una legge, quindi, che costituisce un passaggio iniziale e fondamentale verso la costruzione di un mondo di Pace, da compiere passo dopo passo.
In questi momenti, l’amarezza risulta essere ancora più profonda e dura ascoltando le parole ed i commenti che stanno accompagnando l’approvazione del provvedimento legislativo in questione. Da più parti si trova anche il coraggio (oseremmo dire la sfacciataggine) di criticare l’operato della campagna pacifista trasversale accusandola di non serenità nel giudizio e di strumentalizzazione della legge per altri scopi…!! Paradossale, visto che questi “altri scopi” dipinti a tinte fosche sono in realtà il controllo delle operazioni bancarie relative alle armi sulla base dei dati prodotti dalla Presidenza del Consiglio e la verifica dell’effettiva rispondenza delle transazioni allo spirito della legge! Con il traguardo finale (dichiarato e non nascosto) di esercitare una pressione sugli istituti di credito affinché si tolgano dal commercio di armamenti. Il tutto partendo da principi etici che ci paiono tutto fuorché “poco sereni” o “strumentali”: i principi per i quali si ritiene ingiusto lucrare su strumenti di distruzione e per cui si crede che la Pace non possa di certo essere costruita con le armi!
E a fronte di ciò, quali sono le giustificazioni che vengono esplicitamente addotte per lo stravolgimento della 185? Interessi economici e di competitività a favore dell’industria delle armi, interessi di Stato, interessi di politica… sempre interessi!! Mai un riferimento a valori più
alti e a ideali che tengano in conto della volontà di Pace e delle sofferenze che le armi causano per loro stessa natura!!
Ed è stupefacente che ciò avvenga in un momento in cui la crisi irachena ci mostra con tutta evidenza come la risposta armata ai problemi sia insulsa e contro la volontà dei popoli! Con l’aggravante che, mentre si chiede il disarmo come condizione per il non attacco, si compromettono quei piccoli passi che noi stessi abbiamo compiuto verso disarmo e riconversione! Una bella ipocrisia!
Ci viene detto: ma i controlli rimarranno, solo non passeranno più per il Parlamento e di conseguenza alla società civile, che male c’è? Lo stesso male che esisteva prima della legge 185, quando l’Italia ha venduto armi a Saddam Hussein con tutti i crismi della legalità… Ci viene aggiunto: ma non si favorisce il traffico illegale, solo quello legale!! Ma sempre armi sono, e sempre dolore porteranno, qualsiasi sia il “certificato” che le accompagnerà: noi vogliamo continuare a sapere dove andranno a finire queste armi, quali conflitti alimenteranno, quali dittature favoriranno!! 
Altra critica dei fautori del disegno di legge: perché dovremmo impedire la vendita a nostri alleati? Perché non si può sacrificare tutto sull’altare del vantaggio politico, e se alcuni nostri alleati violano i diritti umani, allora sarebbe tempo di compiere una riflessione seria…
A chi poi si erge a censore delle nostre azioni sostenendo che questa discussione non dovrebbe assumere toni morali ed etici rispondiamo: NO!
Perché se la politica, soprattutto in questi temi, non si fonda su basi di principio che esaltino la concordia e rifiutino la violenza essa si riduce solamente ad uno sterile esercizio di potere, utile solo a sé stesso…
E se il Catechismo della Chiesa Cattolica viene citato come riferimento per giustificare una tale politica (con tutte le “prediche” conseguenti) noi ci permettiamo di ricordare, molto umilmente, che a monte di tale testo vi è un altro Libro, discretamente importante e dirompente, che dice chiaro e tondo “tu non uccidere”, ma “ama i tuoi nemici” e “rimetti la spada nel fodero” se vuoi costruire un mondo basato sull’Amore.
Alla fine di tutto rimane una precisa volontà…
Non vogliamo rassegnarci a logiche commerciali in questo campo, che facciano divenire fonte di guadagno la sofferenza ed il dolore! Non vogliamo rassegnarci all’impossibilità di sapere in quale angolo di mondo un conflitto verrà combattuto con armamenti frutto del lavoro italiano…
Non vogliamo rassegnarci ad un’idea di Giustizia costruita con la violenza e con le armi, all’incapacità di anche solo immaginare un mondo privo di eserciti, certo ancora lontano ma possibile da costruire insieme…!!
E per questi motivi non ci fermeremo per l’attuale insuccesso, ma continueremo nella nostra opera di contrasto alla logica degli armamenti.
Lo faremo con tutti quegli strumenti utili ad una maggiore sensibilizzazione e ad un maggior controllo di tutti quegli affari “sporchi” che distolgono risorse al bene comune per impiegarle nella distruzione. La legge 185 era il principale tra tali strumenti, ma saremo in grado di trovarne altri e di far capire alle persone l’aberrazione di un sistema che produce morte ammantandola di giustizia. E cercheremo di mostrare non tanto, come ci viene rimproverato, quali sono le “banche buone o quelle cattive”, ma quale dovrebbe essere il compito vero di ogni struttura sociale umana: la valorizzazione di diritti e capacità al servizio della vita e della felicità per ogni donna e per ogni uomo…
Sembra chiaro che per molti vale ancora l’adagio ripetuto dal grande e compianto Alberto Sordi in uno dei suoi film a tematica sociale più riusciti: “Finché c’è guerra c’è speranza…”.
Per noi no… perché con la violenza e con le armi la speranza viene uccisa e con essa la Pace, la Giustizia, la condivisione…


Riccardo Troisi e Francesco Vignarca


Rete Lilliput - Coordinamento Nazionale Campagna “Contro i mercanti di armi” - 5 mar. 2003


Io dico grazie al Presidente Bush, perchè milioni di persone si sono unite per la pace

 http://www.lemonde.fr/article/0,5987,3226--313207-VT,00.html

Grazie Presidente Bush. Grazie, grande leader George W. Bush.

Grazie di aver mostrato a tutti il pericolo che Saddam Hussein rappresenta.

Molti di noi avrebbero potuto altrimenti dimenticare che ha utilizzato armi chimiche contro il suo popolo, contro i curdi e contro gli iraniani. Hussein è un dittatore sanguinario e una delle più chiare espressioni del male al giorno d'oggi. Ma questa non è la sola ragione per cui la ringrazio. Nei primi due mesi del 2003 ha mostrato al mondo molte altre cose importanti e perciò merita la mia gratitudine. Così, ricordando una poesia che ho imparato da bambino, voglio dirle grazie.
Grazie di aver mostrato a tutti che il popolo turco e il suo parlamento non sono in vendita, neanche per 26 miliardi di dollari.

Grazie di aver rivelato al mondo l'abisso che esiste tra le decisioni di coloro che sono al potere e i desideri del popolo.

Grazie di aver messo in evidenza che né José Maria Aznar né Tony Blair danno la minima importanza né mostrano il minimo rispetto per i voti che hanno ricevuto.
Aznar è capace di ignorare che il 90 per cento degli spagnoli sono contro la guerra e Blair è rimasto indifferente alla più grande manifestazione pubblica svoltasi in Inghilterra negli ultimi trent'anni.

Grazie di aver costretto Tony Blair a recarsi al parlamento inglese con un dossier falso scritto da uno studente dieci anni fa e di averlo presentato come "prova determinante trovata dal servizio segreto britannico".

Grazie di aver permesso che Colin Powell si esponesse al ridicolo mostrando al Consiglio di Sicurezza dell'Onu delle foto che, una settimana dopo, sono state pubblicamente contestate da Hans Blix, l'ispettore responsabile del disarmo dell'Iraq.

Grazie di aver adottato la posizione attuale e di aver pertanto fatto sì che il discorso contro la guerra del ministro degli Esteri francese, Dominique de Villepin, alla sessione plenaria dell'Onu fosse accolto dagli applausi - cosa che, a quanto ne so, è successa solo una volta in precedenza nella storia delle Nazioni Unite, dopo un discorso di Nelson Mandela.

Grazie perché, in seguito ai suoi sforzi in favore della guerra, le nazioni arabe, normalmente divise, nell'incontro al Cairo avvenuto l'ultima settimana di febbraio sono state per la prima volta unanimi nel condannare qualsiasi invasione.

Grazie di aver affermato che "l'Onu ora ha una possibilità di mostrare la sua importanza", affermazione che ha indotto a prendere una posizione contro l'attacco all'Iraq anche i Paesi più riluttanti.

Grazie per la sua politica estera che ha spinto il ministro degli Esteri inglese, Jack Straw, a dichiarare nel ventunesimo secolo che "una guerra può avere una giustificazione morale", perdendo in questo modo tutta la credibilità.

Grazie di aver cercato di dividere un'Europa che sta lottando per l'unificazione: è un avvertimento che non sarà ignorato.

Grazie di aver ottenuto ciò che assai pochi sono riusciti a ottenere in questo secolo: unire milioni di persone di tutti i continenti nella lotta per la stessa idea, anche se essa è opposta alla sua.

Grazie di averci dato di nuovo la consapevolezza che le nostre parole, anche se non saranno udite, almeno sono state pronunciate; questo ci renderà più forti nel futuro.
Grazie di averci ignorato, di aver emarginato tutti coloro che si oppongono alla sua decisione, perché il futuro della Terra appartiene agli esclusi.

Grazie perché, senza di lei, non saremmo stati coscienti della nostra capacità di mobilitazione. Potrebbe non servirci questa volta, ma sicuramente ci sarà utile in futuro.

Ora che sembra non ci sia modo di zittire i tamburi di guerra, vorrei ripetere le parole che un antico re europeo disse a un invasore: "Che la mattina sia bella, che il sole splenda sulle armature dei soldati, perché nel pomeriggio ti sconfiggerò".

Grazie di aver permesso a noi, un esercito di anonimi che riempie le strade nel tentativo di fermare un processo già in atto, di capire quel che significa essere impotenti e di imparare a fare i conti con quella sensazione e a trasformarla.
Pertanto si goda la mattina e la gloria che potrebbe ancora riservarle.

Grazie di non averci ascoltato e di non averci preso sul serio, ma sappia che noi la ascoltiamo e che non dimenticheremo le sue parole.

Grazie grande leader George W. Bush, molte grazie.            Paulo Coelho


... Non fermatevi all'apparenza: leggete fino all'ultima riga !!! 

"ALCUNE RAGIONI PER INVADERE L'IRAK"

L'Irak possiede delle armi di distruzione di massa, fra cui armi biologiche e chimiche. I laboratori del governo irakeno hanno a disposizione colture del battere del carbonchio e sono consideta la fonte degli attacchi all'antrace via posta, nell'autunno 2001. L'Irak ha portato avanti delle ricerche su una dozzina di agenti biologici mortali, incluso il virus dell'encefalite equina dell'Est, la febbre emorragica di Corea, la peste, la peronospora della patata, il tifo, la febbre rossa, la febbre della valle del Rift, il virus Chikungunya, la malattia del riso e la tossina botulinica. Il budget annuale assegnato dal governo all'esercito irakeno ammonta a circa 396miliardi di Dollari, sei volte più consistente di quello investito dal governo russo. L'Irak possiede un esercito di 1,5 milioni di uomini arruolati, cui si somma una riserva supplementare di due milioni di soldati. L'Irak ha la più grande popolazione carceraria del mondo, con più di 2milioni di persone dietro le sbarre. Secondo Amnesty International, l'Irak si situa al quarto posto della classifica inerente le esecuzioni capitali, subito dopo la Cina, l'Iran e l'Arabia Saudita. Nel corso dell'ultimo decennio, i due terzi delle condanne a morte a danno di oppositori e contestatori hanno avuto luogo in Irak. Inoltre, nel 2002, l'Irak era l' unico paese al mondo a condannare a morte persone dall'età inferiore ai 18 anni. Fra i giovani suppliziati, alcuni non avrebbero commesso il crimine del quale erano stati accusati. 

In Irak gli individui sospettati di essere "nemici combattenti" non hanno diritto ad alcun ricorso legale. Sono normalmente detenuti in piccole celle fino a 24h al giorno, senza poter comunicare con un avvocato o con la loro famiglia. Nel 2002, gli iracheni hanno iniziato delle procedure presso alcuni governi al fine di convincerli a ratificare un accordo che stipuli la possibilità di non consegnare, alla Nuova Corte Penale Internazionale, i cittadini irakeni accusati di genocidio, crimini contro l'umanità o crimini di guerra. Nel corso dell'ultimo anno l'Irak ha aumentato in misura considerevole la sorveglianza sui propri cittadini con il pretesto di garantire la "sicurezza nazionale". Il governo ha cercato di stabilire una rete d'informatori, su scala nazionale, in grado di spiare e riferire ogni "condotta sospetta". Se l'accesso a Internet è ufficialmente legale in Irak, il governo ha annunciato interventi finalizzati a costruire un sistema centralizzato che permetta di controllare in buona parte la comunicazione via Internet e , possibilmente, di sorvegliare gli utenti. 

In Irak gli impiegati del settore privato possono essere licenziati per qualsiasi ragione. Inoltre essi possono essere sottoposti in qualsiasi momento ad un'analisi per verificare l'utilizzo di droghe o puniti per le loro opinioni politiche. Possono essere controllati di nascosto per mezzo del computer, del telefono o delle telecamere. 

In Irak la Polizia può legalmente confiscare i beni personali di un cittadino, senza dover provare preventivamente la sua colpevolezza. Se provvista di "ragionevole motivo", la polizia può confiscare praticamente tutto, incluse casa, auto ed eventuali risparmi. 

In Irak la libertà d'assemblea è proibita. Un cittadino che desidera organizzare una manifestazione pubblica contro il governo deve domandare un "permesso". Il suo nome è così registrato in un dossier permanente. 

Tutti i fatti riportati fin qui sono veri, con l'unica differenza che si riferiscono agli STATI UNITI d'AMERICA e non all'Irak. 

Questo brano è stato fedelmente tradotto dal testo di Ted Rall "The truth behind the american occupation of Afganistan"

tratta dal sito  Peacelink


La guerra di nessuno 

di Dario Fo, Franca Rame, Jacopo Fo

Il Congo e' un paese immenso, grande circa 7 volte l'Italia. E' abitato da circa 48 milioni di persone che sono certamente considerate gli esseri umani piu' insignificanti della terra.
Già sono in pochi a sapere che il Congo esiste e si fa fatica a distinguerlo dalla Repubblica del Congo (Brazeville).
Noi parliamo della Repubblica Democratica del Congo che fino agli anni Sessanta era dominio dei belgi. Anzi, per lungo tempo e' stato esattamente proprieta' personale del re del Belgio che lo possedeva, con esseri umani, animali e piante, come qualcun altro potrebbe possedere un giardino pensile con fiori e farfalle.
La Repubblica Democratica del Congo e' talmente derelitta che ha pure un nome incerto perchè negli anni Ottanta si chiamava Zaire. Comunque questa disgraziata repubblica del centro Africa non e' un posto insignificante: c'e' l'oro, ci sono i diamanti, i legni pregiati, c'e' il petrolio e ci sono i piu' grandi giacimenti del mondo di coltan, minerale sconosciuto ma essenziale per costruire telefonini e computer e quindi e' una materia prima strategica per il futuro dell'umanità. Quindi avremmo dovuto sentir parlare in altre occasioni del Congo.
Invece no.
Ci siamo stupiti di scoprire, leggendo l'ultimo numero del settimanale "Internazionale", che laggiù c'e' la guerra. Qualcuno dirà: va bhe ma lì e' tutta una guerra... Come si fa a ricordarsene i particolari.
A dir la verità anche noi ne sapevamo poco... Ricordiamo solo qualche notizia di sfuggita... Ma la realtà e' che in Congo, nella Repubblica Democratica del Congo, non c'e' la solita guerricciola che semina qua e la qualche morto collaterale... Qui la guerra e' iniziata nell'agosto 1998 e ha provocato più di 3 milioni di morti. Qualche pignolo precisa 3 milioni e 500 mila morti. E nessuno ha detto niente?
Abbiamo pensato che ci fosse un errore e abbiamo iniziato una ricerca in Internet. Google, uno dei migliori motori di ricerca, digitando "guerra Congo" ci ha offerto una decina di risultati per lo più in spagnolo. Digitando in francese (i congolesi erano colonia belga) abbiamo trovato una ventina di link. In Inglese più di 4000.
Così abbiamo scoperto due cose:
1) Nella Repubblica Democratica del Congo c'e' veramente una guerra che dura da 5 anni e ha fatto più di 3 milioni di morti.
2) Non gliene frega niente a nessuno (o quasi).

Ma come e' potuto succedere?
Perché questa indifferenza dell'Europa? Perché almeno noi democratici e pacifisti non ci siamo mobilitati?
Continuando la ricerca abbiamo scoperto che qualcuno si e' dato da fare: il solito Alex Zanotelli, il frate comboniano che disse: "Voti ogni volta che fai la spesa", alcune associazioni cattoliche, il mensile Nigrizia, Amnesty International, Human Right Watch, Carta, qualche articolo qua e la e' uscito, almeno sui giornali della sinistra (www.warnews.it pubblica decine di articoli).
Ma non c'e' stata certo la mobilitazione che si e' vista per l'Iraq...
Perché? Perché la tv non ne ha parlato, dirà qualcuno. Ed e' indiscutibilmente così.
Se la tv non ti sbatte in faccia le bombe e' come se non ci fossero. Il movimento pacifista non ci fa una bella figura: riesce a mobilitarsi solo se glielo dice la tv. Bhe  ma scusate... ci hanno ammazzato sotto il naso 3 milioni e mezzo di persone e non ce ne siamo neanche accorti?
E' un po' agghiacciante.
Qualcuno dirà: ma e' colpa di D'Alema, Fassino, Rutelli, Bertinotti... Loro sono i leader, loro dovevano tenersi informati e avvisarci di questo genocidio. Loro, dovevano occupare il parlamento, indire cortei, blocchi stradali, scioperi generali, digiunare.
E' vero. E' veramente avvilente che i grandi leader della sinistra si accorgano delle guerre solo quando lo dice la televisione e i pacifisti scendono in piazza, quindi loro se ne accorgono. Ma questo non basta per assolverci: uno sparuto gruppo di volontari e di cattolici missionari da 5 anni cerca di informarci di questo genocidio e nessuno li ascolta.
Andiamo avanti a cercare di  indagare su questo genocidio...spaventoso.
La Repubblica Democratica del Congo e' letteralmente decimata da una mortalità infantile del 98 per mille. L'aspettativa di vita e' di 45 anni per i maschi, 51 per le femmine.
Il livello di inflazione del 358% annuo.
Sono dati sconvolgenti e assolutamente credibili visto che li troviamo sul sito della CIA: http://www.cia.gov/cia/publications/factbook/geos/cg.html
Vi interesserà anche sapere che nella guerra sono coinvolti Rwanda, Uganda, Burundi, Angola, Namibia, Zimbabwe, Sudan. Ognuno di questi stati appoggia una delle fazioni coinvolte nel massacro. Qualcuno tiene anche contingenti militari all'interno del Congo. Ci sono le truppe Governative, brandelli delle truppe Hutu che massacrarono i Tutzi, gruppi armati Hutu, guerriglieri anti governativi congolani a loro volte divisi in fazioni e, infine, una fiorente criminalità che contrabbanda oro, prostitute e diamanti. Poi ci sono i mercenari assoldati dalle compagnie petrolifere. Questi congolesi ce le hanno proprio tutte: pure il petrolio. Come se non bastasse ultimamente e' esploso anche un vulcano... per l'assoluta mancanza di acqua potabile e' scoppiato il colera e il virus Ebola ha fatto almeno 1000 morti. C'e' da chiedersi come mai, con tutta questa ricchezza e tutta questa disperazione, nessuna grande potenza abbia deciso di fare qualche cosa per la Repubblica Democratica del Congo.
Non servirebbe molto dato che la maggioranza dei morti ammazzati sono stati uccisi a colpi di macete.
Lì di certo non hanno ne' armi chimiche, ne' artiglieria, non hanno neanche gli aerei. Si ammazzano a piedi. Tristi come i congolesi sono solo i sudanesi. Infatti anche nel Sudan c'e' la guerra. Meno grave di quella del Congo democratico. "Solo" 2 milioni di morti e 4 milioni di profughi (i dati sono sempre della Cia http://www.cia.gov/cia/publications/factbook/geos/su.html ).

E a realizzare 'sto massacro hanno impiegato venti anni giusti.

E dove eravamo noi con le nostre bandiere di pace?

Tutto questo discorso e' perché, se vogliamo essere coerenti e credibili, non possiamo permetterci di distrarci e abbioccarci davanti alle continue nefandezze del mondo.

Dobbiamo prendere atto che questa mobilitazione contro la guerra in Iraq ha senso solo se e' l'inizio di un impegno vero contro tutte le forme di guerra e di violenza. Altrimenti rischiamo di ritrovarci come le marmotte che si svegliano solo
all'esplodere di particolari suoni, odori e luci colorate

Dario Fo, Franca Rame, Jacopo Fo

Per saperne di più sul massacro:
http://www.warnews.it/index.cgi?action=viewnews&id=8


Lista di imprese e loro partecipazione nella guerra all'Irak.
  1. partecipazione diretta (investimenti e produzione ).

  2. finanziamento alla campagna di Bush.

  3. altro.

SETTORE

 

affiliate o con impotanti compartecipazioni

1

2

3

ALIMENTAZIONE

Philip

Morris

Marlboro, L&M, Chesterfield, Benson& Hedges, Miller, Kraft (Tang, Saimaza, Suchard, Toblerone, Philadelphia, El Caserio, Milka, Oscar Mayer, Sugus, Cate d’Or); Nabisco (ChipsAhoy, Filipinos, Oreo, Royal, Fruco, Apis, Artiach, DubbleBubble, MarbúDorada, Fontaneda, Apis, Chiquilin, Ritz)


 

X

X

PepsiCo

Pepsi, Lipton, Aquafina, Kas, Lays, Ruffles, Doritos, Fritos, Cheetos, Matutano, Tropicana, Quaker, Gatorade


 

X


 

Coca-Cola

Coca-Cola, Aquarius, Fanta, Lit, Sprite, Minute Maid, Nestea


 


 

X

El Corte

Inglés

(Establecimientos)

X


 


 

Reynolds Tobacco

Winston, Camel


 

X


 

Mc Donald’s

(Establecimientos)


 


 

X

PETROLIO ED ENERGIA IN GENERALE.

Esso-Exxon Mobil

ExxonMobil, Mobil, Esso

X

X


 

General

Electric

GE Capital Services, GE Power Systems, GE Power Controls, GE Capital Information Tecnology Solutions, GE APPLIANCES (electrodomestics)

X

X


 

Chevron

Texaco

Texaco, Chevron, Havoline, Caltex


 

X


 

BP Amoco

BP


 

X


 

AUTO E TRASPORTI.

Mitsubishi

Mitsubishi Motors, Mitsubishi Electric

X


 


 

Boeing

Boeing

X

X


 

Ford Motor

Ford, Volvo, Jaguar, Land Rover, Mazda, Aston Martin, Lincoln, Mercury


 

X


 

Daimler Chrysler

Chrysler, Jeep, Mercedes-Benz, Smart, Dodge

X

X


 

Rolls-Royce

PLC

Rolls Royce

X


 


 

General

Motors

Opel, Pontiac, Cadillac, Chevrolet, Vauxhall, Saab, en xarxa amb: Fiat, Fuji-Subaru, Isuzu, Suzuki


 

X


 

Iberia

Air Nostrum, Iberswiss, Viva Tours, Amadeus, Savia

X


 


 

Nissan Motor Ibérica


 

X


 


 

Santana

Motor


 

X


 


 


 

ELETTRONICA E INFORMATICA

IBM / Siemens / Motorola / Dell Computer / Alcatel / Ericsson

X


 


 

Microsoft / AOL Time Warner (America OnLine, Netscape; Warner Bros, CNN, Time) / Walt Disney (The Disney Store, ABC Magazines, Buena Vista Home Entertainment)


 

X


 

BANCHE E ASSICURAZIONI

Citigroup / American Express / Credit Suisse


 

X


 

La Caixa / BBVA / Banco Zaragozano / Caja Madrid / Alliant

X


 


 


Parola di Grillo
Intervista a Beppe Grillo
Colloquio con il comico genovese

Beppe Grillo «La benzina deve arrivare a 5 euro al litro, al suo vero prezzo di mercato. Bisogna imputare al costo del petrolio i suoi costi reali: distruzione dell'ambiente, malattie, guerre». L'opinione di un attore sarcastico e intelligente sulle politiche energetiche del paese
Sempre intelligente, pungente e sarcastico, Beppe Grillo risponde ad alcune domande su energia, mobilità e petrolio. Un tema a lui caro e oggi, più che mai, attuale.

Signor Grillo, che cosa blocca l'avanzata di nuove energie?

Il problema è la demenza senile. Ormai l'alzheimer galoppante ha contagiato gli strateghi dell'energia al governo Beppe Grillo che propongono il carbone come alternativa "pulita" al petrolio, come energia "rinnovabile". Come tutti sappiamo per rinnovare il carbone ci vogliono solo alcuni milioni di anni... Per cui l'Enel, nella figura del suo amministratore delegato Scarroni, ha comprato con i soldi degli azionisti una miniera di carbone in Bulgaria. Credono che il futuro sia questo: il carbone inquina meno, non ha monopolio, è desolfurizzato, riduce l'inquinamento da anidride solforosa… ma triplica l'effetto serra. Per non parlare dell'estrazione mineraria. Io vorrei vedere se il figlio di Scarroni vuole andare a fare il minatore in Bulgaria. Se vedremo i figli di Scarrone che fanno i minatori allora io crederò nel carbone.

E in tema di mobilità?

Il problema non è tanto cambiare automobile o carburante. Prima o poi qualcuno tirerà fuori una cella a idrogeno. Il problema è che siamo di fronte a una nuova rivoluzione copernicana: la Terra è piatta no? Bisogna dire che non è piatta. Questa è la vera svolta.
In tema di mobilità bisognerebbe rivedere la vita nelle città. Le città vanno pensate e vissute come 200 anni fa. Uno deve uscire a piedi e in 5 minuti raggiungere il posto di lavoro, deve trovare luoghi in cui passare il tempo libero e dove fare la spesa. Tutto a 5 minuti a piedi.
In questa situazione poi ci possono essere più o meno macchine a idrogeno.
Ma ormai l'infarto c'è... Qui in Liguria una frana a Ventimiglia ha creato 250 km di coda fino a La Spezia. Tra Monaco e Francoforte è lo stesso. Ormai i segnali di infarto sono chiari. E l'industria dell'auto è stata solo capace di sistemare nuove apparecchiature elettroniche nell'abitacolo. Per far passare il tempo alla gente che sta ferma, oggi ci sono auto con il computer e il Dvd.

Quindi le persone prima di cambiare l'energia dovrebbero cambiare stile di vita?

Sì, il problema dell'energia è politico. Bisognerebbe che il prezzo fosse tutelato dallo Stato. Questa è la manovra più importante dei prossimi 30 anni. Si deve fare una legge che faccia aumentare il prezzo dell'energia di 5 volte in 5 anni. La benzina deve arrivare a 5 euro al litro, al suo vero prezzo di mercato. Bisogna imputare al costo del petrolio i suoi costi reali: distruzione dell'ambiente, malattie, guerre. Questo non lo possiamo pagare Beppe Grillo in scena noi, se lo paga chi consuma petrolio. Oggi il greggio è venduto in un regime di economia pianificato, ha un prezzo truccato deciso da un'economia di bolscevichi. Io combatto i comunisti veri, sono l'anticomunista per eccellenza.

Ma chi sono i veri comunisti?

I comunisti sono questi petrolieri che fanno guerre, che sono tutti imprenditori sovvenzionati dallo Stato. Oggi non c'è un'impresa americana che non sia finanziata dal Pentagono, che è un Ente statale. Come in Italia. I grandi imprenditori sono tutti sovvenzionati dallo Stato. Nel nostro paese c'è un'imprenditoria di sinistra che va eliminata per tornare al capitalismo vero. Quello che permetterà, tra 30 anni, a chiunque di farsi l'energia come meglio crede e con quel che ha.

Per cui via anche i monopoli?

Invece di fare 250 megacentrali fallimentari, dovremmo andare verso la microproduzione: chi si fa l'energia col vento, chi col sole e poi ce la si scambia tra cittadini. Via i monopoli, questa è la nuova rivoluzione. Ma siamo pieni di gente che è ferma al Giurassico, questo è il vero problema.

4 aprile 2003 - Margherita Scaramella

Fonte: http://www.lanuovaecologia.it    


«Je serai probablement retrouvé mort dans les bois»

David Kelly, le spécialiste des armes chimiques et biologiques devenu conseiller auprès du ministère britannique de la Défense, qui s'est apparemment suicidé le 17 juillet en se coupant les veines du poignet gauche.

Son corps avait été précisément retrouvé dans un bois, à proximité de son domicile à l'ouest de Londres.

Cette confidence de Kelly a été révélée jeudi par un diplomate britannique en poste à Genève, David Broucher, devant la commission d'enquête Hutton chargée d'enquêter sur les circonstances ayant mené à la mort du scientifique. Celle-ci cherche notamment à savoir si les autorités n'ont pas poussé Kelly au suicide en livrant son nom en pâture aux médias comme source probable d'un reporter de la BBC qui accusait le gouvernement d'avoir monté en épingle le danger représenté par Saddam Hussein pour justifier une guerre en Irak.

D'après Broucher, le sens de la confidence de Kelly est le suivant: «Si l'invasion a lieu malgré tout il passerait pour un menteur, il aurait trahi ses contacts, [ses interlocuteurs irakiens à qui il avait dit qu'ils n'avaient rien à craindre s'ils coopéraient avec les missions d'inspection des Nations unies auxquelles il collaborait] dont certains pourraient payer de leur vie le résultat de son action.» Prié par Broucher de dire ce qui se passerait alors, Kelly aurait répondu: «On me retrouvera mort dans les bois.» Broucher a précisé n'avoir alors prêté aucun crédit à ces propos prémonitoires.

Par Libération.fr, d'après Reuters
vendredi 22 août 2003  (Liberation.fr - 11:15)

 http://www.liberation.fr/page.php?Article=131966

traduzione

"Sarò probabilmente trovato morto nel bosco"

Così disse David Kelly, lo specialista delle armi chimiche e biologiche diventato consulente presso il ministero britannico della difesa, che si è apparentemente suicidato il 17 luglio tagliandosi le vene del polso sinistro.

" Il suo corpo era stato precisamente trovato in un bosco, vicino la sua casa ad ovest di Londra."

Questa confidenza di Kelly è stata rivelata giovedì da un diplomatico britannico a Ginevra,  David Broucher, dinanzi alla commissione d'indagine Hutton incaricata di indagare sulle circostanze che hanno condotte alla morte dello scienziato.

Questa cerca in particolare di sapere se le autorità non hanno spinto Kelly al suicidio consegnando il suo nome in pasto ai mass media come fonte probabile di un reporter della BBC che accusava il governo di avere montato il pericolo rappresentato da Saddam Hussein per giustificare una guerra in Iraq..

Secondo Broucher, il senso della confidenza fatta da Kelly è il seguente: "Se l'invasione ha luogo tutto sommato sarebbe passato per un mentitore, avrebbe denunciato i suoi contatti, (i suoi interlocutori iracheni ai quali aveva detto che non avevano nulla da temere se cooperavano con le missioni d'ispettorato delle Nazioni Unite alle quali lui collaborava) che certamente avrebbero potuto pagare con la loro vita il risultato della sua azione."

"Pregato da Broucher di dire ciò che avvenne allora, Kelly avrebbe risposto:" "Mi troveranno morto nei boschi."o nei boschi."

"Broucher ha precisato di non avere allora prestato alcun credito a questa dichiarazione premonitrice."


Monsignor mistero. La vera storia delle morti in Vaticano

Di Andrea Cinquegrani - "La Voce della Campania" - pubblicato su Nuovi Mondi Media

Vaticano in fibrillazione. Santa Sede sotto i riflettori. Torna alla ribalta la misteriosa - e mai chiarita - morte di papa Luciani dopo appena 33 giorni di pontificato. Ne parla Giovanni Minoli nella nuova serie di Mixer. Riaffiorano dubbi, incongruenze, versioni contrastanti, una verità ufficiale poco, pochissimo credibile. Un'autopsia mai fatta, rapide perizie nel segreto delle stanze vaticane, un cuore normale che improvvisamente cede; l'incredibile storia delle gocce di cardiotonico ingurgitate in eccesso dal papa, l'altra - invece - a base di una digitalina che non lascia traccia. Morto in piedi, oppure a letto? Mentre leggeva sacre scritture o abbozzava il nuovo organigramma dei vertici pontifici? Oppure cominciava a mettere nero su bianco le nuove regole da impartire a uno Ior recalcitrante davanti a ogni ipotesi di trasparenza, col 'nemico' Marcinkus sempre alacremente all'opera? E poi il sogno di una suora, ricordato in uno scritto da monsignor Balthazar: due ombre si introducono furtive nella camera da letto di Luciani e nel suo bicchiere fanno scorrere il liquido di una misteriosa pozione. Dall'Inghilterra, intanto, lo scrittore-giornalista David Yallop - autore per Tullio Pironti di una celebre ricostruzione di quella 'morte' - continua con pervicacia a sostenere la sua tesi: il papa venne 'suicidato'. Così come venne 'suicidato', sotto il ponte dei frati neri lungo il Tamigi a Londra, il patròn del Banco Ambrosiano, Roberto Calvi. L'inchiesta è riaperta, la famiglia dopo tanti anni vuole finalmente giustizia.
"Il rituale dell'esecuzione - scrive l'avvocato investigativo californiano Jonathan Levy nel volume Tutto quello che sai è falso edito in Italia da Nuovi Mondi Media - è tipicamente massonico, con delle grosse pietre nelle tasche". E la matrice? Levy punta dritto in una direzione: quella dei poteri forti della Chiesa, rappresentati secondo lui dall'Opus Dei, che - scrive - "ha desiderato ardentemente la Banca Vaticana e i cui quartieri generali si trovano casualmente a Londra".
La spiegazione, ricavata dalle conversazioni con un grosso banchiere internazionale, viene così sintetizzata: "Mi spiegò che la banca di Calvi era sull'orlo del collasso a causa della sparizione di centinaia di milioni di dollari passati attraverso i flussi finanziari dello Ior che erano collegati al riciclaggio di danaro della mafia. Preso dalla disperazione Calvi si trasferì a Londra per ottenere un pacchetto finanziario di salvataggio proveniente da un rappresentante anziano dell'Opus Dei". L'operazione però, secondo la ricostruzione di Levy, non andò in porto e il corpo di Calvi fu trovato 'appeso' sotto il ponte dei Blackfriars.

L'altra pista porta direttamente alla mafia, che si sarebbe vendicata dell'affronto subito da Calvi, il quale non avrebbe restituito un'ingente somma di danaro da 'ripulire' (utilizzato invece per riossigenere le casse dell'Ambrosiano). Sul fronte dell'esecuzione, comunque, fa ancora capolino la pista di camorra: "nei giorni in cui Roberto Calvi era a Londra - ricordano a Scotland Yard - vennero segnalate diverse presenze interessanti: quella di Flavio Carboni e di alcuni camorristi, fra cui Vincenzo Casillo". Luogotenente di Raffaele Cutolo, soprannominato 'o nirone, in contatto con i servizi deviati e in particolare col faccendiere Francesco Pazienza, Casillo due anni dopo saltò per aria a Roma in un'auto imbottita di tritolo. A fine settembre scorso, poi, due botti. A Londra la polizia decide di riaprire le indagini su quella morte, a Roma l'inchiesta portata avanti dai pm Luca Tescaroli (che ha già indagato sulla strage di Capaci) e Maria Monteleone (casi Mitrokin e "spectre" all'italiana) si arricchisce di una verbalizzazione esplosiva: un pentito di mafia, Vincenzo Calcara, per l'omicidio Calvi tira in ballo Giulio Andreotti, elementi deviati dello Stato e dei Servizi, massoneria e ambienti vaticani.
E sotto il Cupolone ci porta anche un'altra esistenza - e un'altra fine - avvolta nel mistero: quella di Giorgio Rubolino, morto in piena calura ferragostana, immediata la diagnosi d'infarto che non perdona, niente autopsia, funerali in pompa magna in Vaticano, poi il silenzio. Fino alla decisione dei magistrati romani, dopo neanche un mese, di vederci più chiaro, chiedendo la riesumazione del cadavere per poter effettuare una normale autopsia. Ma chi era Rubolino?

UNA VITA VORTICOSA
Il suo nome balza alle cronache nazionali per l'omicidio di Giancarlo Siani, il giornalista ucciso il 23 settembre 1985 (vedi riquadro). Due anni dopo il procuratore generale del tribunale di Napoli, Aldo Vessia, avoca a sé l'inchiesta bollente, fino a quel momento capace solo di racimolare una serie di flop.

Vessia vola negli Usa, e interroga Josephine Castelli, un'avvenente bionda al centro di strani giri. Dopo un paio di mesi scattano le manette per il capoclan di Forcella Ciro Giuliano, per un 'gregario', Giuseppe Calcavecchia, e per un insospettabile, il ventiseienne Giorgio Rubolino, intimo di Josephine, una stirpe di magistrati nel pedigree (il padre è stato pretore a Torre Annunziata), già inserito negli ambienti che contano (fra le alte prelature soprattutto) e nella Napoli bene.

Per lui inizia il calvario, quattordici mesi nel carcere di Carinola, fino a quando una delle tante toghe che si sono alternate al capezzale di un'inchiesta che non riesce a decifrare colpevoli (esecutori e, soprattutto, mandanti), Guglielmo Palmeri - sorrentino d'origine e in ottimi rapporti con la famiglia Rubolino - lo rimette in libertà (due mesi prima erano stati rilasciati anche Giuliano e Calcavecchia). Cade il teorema Vessia, non regge l'ipotesi di un omicidio eseguito dai Giuliano su ordine dei Gionta di Torre Annunziata. E, soprattutto, sparisce la pista di via Palizzi. La pista che portava alla casa d'appuntamenti, frequentata da giovanissime squillo (tra cui Josephine e la sorella Pandora), e da vip della Napoli che conta: in primis, magistrati e politici.

Fra le toghe, spicca il nome di Arcibaldo Miller, per anni pm di punta alla procura di Napoli (sua la maxi istruttoria per il dopo terremoto finita in prescrizione per tutti) e oggi 007 di punta del guardasigilli Castelli. Lo stesso Miller - viene precisato in un documento al vetriolo elaborato dalla camera degli avvocati penali di Napoli nel 1998 - ha subìto un procedimento per "trasferimento d'ufficio" a causa di una serie di fatti, fra cui "l'aver frequentato una casa di appuntamenti gestita da pregiudicati affiliati alla camorra negli anni 1984-1985 in via Palizzi". Lo stesso Miller seguirà il caso Siani: collaborerà proprio con Palmeri per cercare di sbrogliare quel pasticciaccio brutto. Sempre più brutto. E, soprattutto, sempre senza colpevoli.

DA ROMA A LONDRA
Torniamo a Rubolino. Riacquistata la libertà, non riesce però a ritrovare ancora la serenità. Vessia, infatti, ricorre contro la scarcerazione dei tre. Trascorre un anno e, a dicembre 1989, la Cassazione respinge il ricorso, confermando l'impostazione assolutoria di Palmeri. Il quale, però, non riesce ancora a dare un volto, e tanto meno un nome, ai colpevoli. Né agli esecutori, figurarsi ai mandanti.

Ma come era saltato fuori il nome di Rubolino per il caso Siani? Non solo dal filone di via Palazzi, ma anche in seguito alle primissime indagini sulle cooperative di ex detenuti che, proprio a partire dal 1985, a Napoli stavano aggregandosi e iniziando a bussare con forza ai portoni di palazzo San Giacomo.
Il Comune - allora retto dal socialista Carlo D'Amato - nell'autunno '85 diede disco verde per l'ingresso fra i ranghi di ben 700 detenuti raggruppati in sei liste ("La carica dei settecento", titolò la Voce in una cover story del dicembre 1985): nei mesi seguenti un putiferio, una fortissima polemica a sinistra, con una Lega delle cooperative alla deriva. "E' in quel contesto che veniva fuori anche il nome di Rubolino - ricordano a palazzo di giustizia - una storia intricata, tra minacce, camorra, affari e promesse. Insomma, una vera giungla". Rubolino, riuscì a cavarsela. "Ma non la smetteva di ficcarsi sempre in storie pericolose, sbagliate, comunque tra soldi, salotti e personaggi poco raccomandabili".

Esce con la ossa rotte e il morale a terra, Rubolino, da queste vicende. Si trasferisce a Roma. "Ha cercato di buttarsi tutto alle spalle e ricominciare da capo. Ce l'ha messa tutta. Ha fatto anche un sacco di opere di bene, volontariato, assistenza", racconta un amico. "Non c'è riuscito a rompere col passato - aggiunge un operatore finanziario capitolino - aveva perso il pelo ma non il vizio, continuava a frequentare ambienti dai miliardi facili e spesso inesistenti". Due versioni contrastanti.

Un perverso destino, comunque, sembra perseguitarlo. Nel 1999 ri-finisce nelle galere, questa volta londinesi, per una presunta truffa da 100 milioni di sterline ai danni di una vera e propria istituzione britannica, la Cattedrale di San Paolo. Il classico 'pacco' organizzato secondo il miglior copione di Totò formato fontana di Trevi: siamo venuti qui (i Magi sono cinque, due italiani, un finlandese, un canadese e un americano) per donarvi la bellezza di 50 milioni di sterline. Unica piccola, microscopica condizione, quella che voi depositiate per dieci giorni, appena dieci giorni, il doppio, ovvero 100 milioni, su un conto svizzero. Nessuno li toccherà quei soldi, assicurano.

La truffa non riesce, i cinque finiscono in gattabuia, lui, Rubolino, viene messo in libertà e prosciolto da ogni accusa. Anche la procura di Napoli, che si era accodata con un suo filone investigativo, lo scagiona. E lui avvia un procedimento per ottenere un indennizzo per quella ingiusta detenzione. "Ne aveva raccolti, comunque, di soldi per le denunce fatte contro alcuni giornalisti che lo avevano accusato per Siani - ricorda un amico - soldi che donò in beneficenza".

STANLEY & PROMAN
Un anno fa la svolta sembra dietro l'angolo. Decide di cominciare a far sul serio l'avvocato e, quindi, di iscriversi al consiglio dell'ordine di Roma. Raccoglie la documentazione, presenta la domanda, altra delusione: c'è ancora una pendenza con la giustizia, per via di un procedimento non ancora chiuso, millantato credito. "Non è cosa - raccontano ancora nel suo entourage - non è cosa, ha pensato. Ed è ripiombato nei suoi problemi, nella sua tristezza di prima, quando subiva accuse e attacchi". La voglia di business, comunque, non lo abbandona: per lui è una seconda pelle, una droga, non può farne a meno.

Ed eccolo entrare nei santuari della finanza, acquisire partecipazioni azionarie, frequentare il mercato ristretto e la City.

Un bel giorno, diventa il padrone di una misteriosa sigla, Proman. A quel punto, le voci cominciano a rimbalzare. Perché lui risulta "intestatario fiduciario". Di chi, di cosa?

Ma vediamo cosa è Proman. A quanto pare si tratta di una società a responsabilità limitata. Nel suo portafoglio spicca una partecipazione di lusso, il 25 per cento delle azioni Stayer, una grossa sigla nel settore elettrico, avamposti a Ferrara e Rovigo, interessi in mezzo mondo. Un'altra consistente fetta di Stayer - pari al 29 per cento del pacchetto azionario - fa capo a Efi, ovvero European Financial Investments, a sua volta controllata da un'altra sigla, Danter.
Efi, dal canto suo, naviga in acque agitate, trovandosi in amministrazione controllata, per i problemi finanziari che stanno passando i fratelli Bergamaschi, suoi soci di riferimento, e un pignoramento azionario effettuato da un creditore, la Euroforex. E' per questo motivo che l'assemblea straordinaria di Stayer convocata lo scorso 27 agosto per deliberare l'aumento di capitale a 10 milioni di euro, è saltata. Ma non solo per questo. Ecco cosa scrive, proprio quel giorno, un dispaccio dell'agenzia Reuter: "Il 26 agosto scorso Stayer ha ricevuto una comunicazione dall'intermediario presso cui sono depositati i titoli che informava del decesso di Rubolino e affermava che i diritti sulla partecipazione spettano ai suoi eredi.
Stayer - viene aggiunto nel comunicato - non sa se e come Proman intende resistere contro questa posizione dell'intermediario".

Resta il mistero Proman. Nei cervelloni Cerved, collegati con tutte le camere di commercio italiane, non v'è traccia di Proman spa. Né si segnala alcuna Proman nel cui carniere figuri una qualsiasi partecipazione azionaria di Stayer. Un bel rebus. Val la pena, comunque, di scorrere la lista dei soci targati Stayer. A parte due medi azionisti (Gianfranco Fagnani e Roberto Scabbia), fanno capolino quattro sigle. A parte un'italiana (BSPEG SGR spa, una società di gestione del risparmio privato, con 140 mila azioni), le altre tre sono estere. Le quote minori fanno capo a Electra Investiment Trust Plc (26 mila azioni) e a Power Tools International (30 mila azioni). A far la parte del leone c'è Ipef Parters Limited (664 mila azioni), sigla londinese.

Osserva un operatore finanziario milanese: "Potrebbe esserci la presenza di Ipef nell'azionariato di Proman. Il mistero comunque è fitto". E resta un mistero, per ora, la destinazione finale delle azioni Proman: rimarranno nelle mani delle due sorelle di Rubolino, o che fine faranno? E cosa c'è dietro il reticolo di sigle, incroci azionari, spesso e volentieri giocati oltremanica? Un gioco forse pericoloso?
Il 28 luglio scorso, poi, l'infarto. Una vita stroncata a 42 anni, dopo un'inutile corsa all'Aurelia Hospital, "dove però è giunto privo di vita", commenta in un dettagliato reportage il Mattino. L'autopsia - scrive il solerte cronista, Dario Del Porto - "ha chiarito immediatamente la natura del malore". E a scanso di equivoci aggiunge: "Del caso pertanto non è stata neppure interessata la procura di Roma". E ancora, ad abundantiam: "sulle ultime ore dell'uomo non sembrano esserci misteri. Rubolino è stato colpito da un arresto cardiocircolatorio manifestatosi durante la notte nell'abitazione della capitale dove si era trasferito ormai da anni".

Altri commenti nel racconto della cerimonia funebre - che si è svolta nella chiesa di Sant'Anna dei Palafrenieri, l'unica parrocchia dello Stato Vaticano - per la penna di un vaticanista doc, Alceste Santini. "Si può, quindi, dire che Giorgio Rubolino ha avuto il privilegio di avere avuto la celebrazione delle esequie, non solo in una chiesa ambita da molti nei momenti di gioia o di dolore come nel suo caso, ma in un luogo, qual è lo Stato Città del Vaticano, in cui la penitenza si intreccia con il perdono come sofferente superamento dei peccati e degli atti illeciti commessi nella vita".

Equilibrismi logici e sintattici a parte, Santini riesce comunque a porsi qualche interrogativo. Per celebrare in Sant'Anna ci vuole la chiave giusta: "occorre una particolare autorizzazione - scrive Santini - ciò rivela che chi ne ha fatto richiesta aveva ed ha entrature nel mondo vaticano. I parenti? Gli amici? Non è dato saperlo". Avvolti nel dubbio amletico, riusciamo però a sapere che fra le personalità presenti alla cerimonia c'erano "i parenti e gli amici di Giorgio, fra cui il senatore a vita Emilio Colombo e altri esponenti della borghesia napoletana". A officiare la messa funebre il cappellano delle guardie svizzere, Alois Jehle.

CASO SIANI A SENSO UNICO
Caso Siani. Chiuso per sentenza. La Cassazione ha ormai inchiodato i colpevoli dei clan torresi che - secondo la ricostruzione del pm Armando D'Alterio - decisero ed eseguirono quell'omicidio. Una volta tanto, la parola fine. Tutto chiaro, allora? Molti dubbi restano in piedi. Vediamo quali.

Il movente. Debole. Debolissimo. Un articolo scritto mesi prima. "Per punire lo sgarro", hanno spiegato gli inquirenti. "In quell'articolo Siani faceva capire che i Nuvoletta avrebbero tradito i Gionta. Per mettere le cose a posto e recuperare l'onore, la cosa andava lavata col sangue". Credibile? Possibile che una camorra allora più che mai rampante avesse deciso di tirarsi addosso riflettori, inquirenti, forze dell'ordine?
Un articolo non (ancora) scritto è molto più pericoloso di uno già scritto. Non ci vuole la maga per intuirlo, solo un minino di fiuto e buon senso. Quello che non sembra aver smarrito Amato Lamberti, presidente della Provincia di Napoli e a quel tempo (siamo nel 1985) responsabile dell'Osservatorio sulla camorra, avamposto, in quegli anni, per scrutare, capire e radiografare i movimenti, le mutazioni e le infiltrazioni della Camorra spa. Lamberti fu l'ultima persona a sentire Giancarlo, avevano appuntamento per la mattina dopo, ma "lontani dal Mattino", come raccomandava Giancarlo. Un appuntamento andato a vuoto, perché la sera prima l'abusivo e ormai prossimo praticante giornalista veniva freddato a bordo della sua Mehari in piazza San Leonardo al Vomero, a un passo da casa. "Non era particolarmente preoccupato - ricorda Lamberti - però doveva dirmi una cosa che gli premeva. Ed era urgente. Stava lavorando ad un'inchiesta per la rivista dell'Osservatorio sugli intrecci politica-affari-camorra nell'area torrese. Uno dei grossi affari, allora, era rappresentato da un'area, il quadrilatero delle carceri. E lui stava mettendo il naso in quei rapporti, sia sui referenti locali, che su quelli più in su, di imprese e camorristi".
A corroborare la tesi di Lamberti, un docente universitario, Alfonso Di Maio, padre di uno dei pm più in vista, oggi, alla procura di Salerno. La Voce lo intervistò dieci anni fa. "Avevo incontrato diverse volte Giancarlo in quegli ultimi mesi - affermava Di Maio - stava lavorando, mi raccontava, a una grossa inchiesta sugli appalti nell'area stabiese. In particolare, voleva capire se dietro al paravento di un'impresa ci fosse lo zampino di qualche politico eccellente e operazioni di riciclaggio della camorra". Il nome dell'impresa era Imec (del gruppo Apreda, poi acquirente addirittura della Buontempo Costruzioni Generali), quello del politico Francesco Patriarca, ras gavianeo della zona, ex sottosegretario alla marina mercantile. Di Maio cercò di raccontare quei fatti alla magistratura. Senza riuscirci. "Mi presentai in procura. Parlai col dottor Arcibaldo Miller. Mi disse che ne avrebbe riferito al dottor Guglielmo Palmeri che seguiva di persona l'indagine. Sono andato due volte in procura, dietro appuntamento, ma non sono stato mai ricevuto. Allora non mi fu data la possibilità di verbalizzare quel che sapevo sulle ultime settimane di Siani". Parole dure come pietre. Mentre decine e decine di testi hanno fatto passerella davanti alla mezza dozzina e passa di toghe che si sono alternate al capezzale di un processo quasi impossibile.
Del resto, é lo stesso fratello del cronista, Paolo, pediatra, a rivelare qualche ombra nell'inchiesta, un 'buco nero' rimane ancora oggi lì a lasciare spazio ai dubbi. "Giancarlo lascia la redazione di Castellammare - ricorda - va in cronaca di Napoli, scrive sempre meno di Torre ma si interessa sempre più della ricostruzione post terremoto e dei rapporti camorra-appalti. Stava preparando un libro e i materiali, dopo la sua morte, sono spariti". Una ricostruzione che lega perfettamente con quelle di Lamberti e Di Maio.
Altri, però, ancora oggi in procura storcono il naso. "C'era un'altra pista, battuta soltanto in fase iniziale. E solo parzialmente. E' la pista di via Palizzi, la casa di appuntamenti, i suoi segreti forse inconfessabili. Tanti anni fa ne parlò esplicitamente Corrado Augias nel suo Telefono GialloŠ poi il silenzio più totale".

Chissà se il regista Marco Risi, arrivato un paio di volte a settembre a Napoli per completare il copione del film su Giancarlo (ispirato in parte a "L'abusivo", il libro di Antonio Franchini, sceneggiatura dell'esperto di misteri Andrea Purgatori, ex Corsera), riuscirà a vedere oltre i muri di gomma che ancora circondano quella tragica morte. "Emerge - dice Risi alla Voce - un delitto tuttora carico di misteri e interrogativi rimasti senza risposta, nonostante i processi e le sentenze. Questa sarà la chiave del mio film su Giancarlo".
GUARDIE E KILLER
Primavera vaticana '98. Tre morti avvolte nel mistero. Sono le nove di sera e una suora - sulla cui identità verrà sempre mantenuto il più stretto riserbo - entra nell'alloggio di servizio del neo comandante delle Guardie Svizzere, Alois Estermann. Davanti ai suoi occhi una scena raccapricciante: tre corpi, in un mare di sangue, massacrati da revolverate. Quello di Estermann, di sua moglie Gladys Meza Romero e del vice caporale Cedric Tornay.

Ecco come ricostruisce i primi momenti dopo la scoperta Sandro Provvisionato, scrittore e giornalista, nel suo sito Misteri d'Italia. "Tra i primi ad arrivare sul luogo sono il portavoce del papa, Joaquin Navarro Valls, laico di origine spagnola, membro numerario dell'Opus Dei; monsignor Giovanni Battista Re, sostituto delle segreteria vaticana; e monsignor Pedro Lopez Quintana, assessore per gli Affari generali della Segreteria di Stato vaticana. La scena del delitto non viene sigillata, anzi già alla 21 e 30 sono decine le persone che si aggirano tra i cadaveri. Elementi di prova importanti vengono rimossi o spostati.

A differenza di altri episodi avvenuti all'interno del perimetro vaticano, come l'attentato al Papa, nessuna richiesta di collaborazione viene inoltrata alle autorità italiane. Delle indagini si occupa il Corpo di Vigilanza Vaticana. Prima ancora dell'arrivo del magistrato, il Giudice Unico Gianluigi Marrone che arriva sul posto un'ora dopo, mani ignote hanno già provveduto a perquisire non solo l'ufficio, ma anche l'appartamento di Estermann e l'alloggio di Tornay. Quando i corpi verranno rimossi, non sarà adottata alcuna precauzione utile alle indagini. Anche l'autopsia sui tre cadaveri si svolgerà all'interno delle mura vaticane".

Detto fatto, non passano nemmeno tre ore - siamo a mezzanotte - e l'infaticabile Navarro Valls può sentenziare: "I dati finora emersi permettono di ipotizzare un raptus di follia del vice-caporale Tornay. E' tutto molto chiaro, non c'è spazio per altre ipotesi". Caso dunque chiuso in 180 minuti, per Valls. Uno 007 perfetto, capace anche di estrarre dal magico cilindro la prova delle prove: una lettera, nientemeno che una lettera d'addio, affidata qualche ora prima (le 19 e 30, precisa Navarro) a un commilitone dal folle vice-caporale con una lacrima e queste parole: "Se mi succede qualcosa, consegnala ai miei genitori".
Spiega il portavoce-detective nella rapidissima conferenza stampa, che risolve a tempi di Guinness una matassa altrimenti destinata a intrecciarsi negli anni: la missiva - precisa - è stata consegnata al Giudice Marrone, il quale la darà ai parenti di Tornay in arrivo a Roma. "Spetterà ai familiari del vice caporale - aggiunge Valls - decidere se rendere noto il contenuto della lettera oppure no". Commenta Provvisionato: "Nella fretta l'astuto portavoce della Santa Sede non si rende conto di aver commesso un errore macroscopico. Come si può conciliare un raptus di follia con una lettera scritta almeno un'ora e mezza prima dello stesso raptus? Spesso la fretta è cattiva consigliera".
Intanto circola già qualche indiscrezione sull'imminente uscita del nuovo libro-choc di Ferdinando Imposimato (autore, con Provvisionato, del volume d'inchiesta sullo scandalo Tav). Al centro, rivelazioni sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, figlia di una guardia vaticana. Che secondo l'ex magistrato, sarebbe ancora viva.

Fonte: "La Voce della Campania", ottobre 2003


«Basta con la guerra» Parola di carabiniere.

Il maresciallo Pallotta, direttore del Giornale dei carabinieri, attacca la missione in Iraq: «Peacekeeping? Ma quale pace? Altro che terrorismo, è guerra. E a combattere mandiamo padri di famiglia. Non deve essere il nostro Vietnam». Contro di lui si schiera il Cocer, il comando dei Cc potrebbe punirlo
ALESSANDRO MANTOVANI

Il Cocer, la rappresentanza istituzionale dei carabinieri, lo accusa di «strumentalizzare» i morti di Nassiriya. E il comando generale dell'Arma potrebbe assumere iniziative giudiziarie e disciplinari. Ma il maresciallo capo Ernesto Pallotta, vent'anni di servizio nella Benemerita e quasi altrettanti di battaglie per democratizzarla, ha deciso di non mollare. «Il nostro governo deve essere chiaro, deve constatare che in Iraq vi è la guerra e che la missione di pace è un'operazione di guerra», ha dichiarato ieri Pallotta, direttore editoriale de Il Giornale dei carabinieri e delegato del Cobar Lazio (è la rappresentanza regionale corrispondente ai Cocer). «Peacekeeping - ricorda Pallotta - significa mantenimento della pace. Ma quale pace? Chi ha deciso? Il presidente americano ha decretato l'inizio e la fine della guerra. Ma unilateralmente, senza ascoltare i suoi nemici che invece proseguono nelle azioni bellicose». Pallotta la vede così: «In assenza dei caschi blu, dell'Onu e dei partner europei che si sono ben guardati dal mandare le truppe, la parola giusta per quanto accade in Iraq è guerra. E poiché oggi la guerra è cambiata non si fa più viso a viso, come vorrebbero gli americani che sono i più forti, ma si chiama anche terrorismo, guerriglia, resistenza... Gli Stati Uniti usano la parola terrorismo per cercare di coinvolgere altri paesi». Il maresciallo polemizza anche con il ministro della difesa. «Martino - prosegue Pallotta - ha detto che questo è il nostro 11 settembre. Noi invece non vogliamo che l'Iraq diventi il nostro Vietnam. Chiediamo quindi un dibattito politico sulla missione per decidere se questa è una guerra. E quel punto saranno altri gli uomini e i mezzi impiegati, non dei semplici padri di famigli convinti di essere lì per la pace o per mantenerla».

Ma se l'Italia dichiarasse la guerra non violerebbe l'articolo 11 della Costituzione? «Certo - risponde il maresciallo Pallotta - Sarebbe necessario il mandato dell'Onu, come per la guerra del Golfo nel `91 e più avanti per la Bosnia». E in quel caso dovrebbe toccare ai carabinieri? «Ma no. I carabinieri sono organo di polizia militare e dovrebbero occuparsi soltanto dei reati eventualmente commessi dai nostri militari. Per il resto possono partecipare a operazioni di peacekeeping a tutela dell'ordine e della sicurezza, ma solo in situazioni diverse da quella irachena attuale. Il problema, insomma, dovrebbe porsi in un secondo momento. E comunque per la guerra non siamo attrezzati: non abbiamo obici semoventi, né missili, né aerei. I nostri blindati non bastano». In Iraq, oltre ai paracadutisti e agli altri specialisti della guerra, sono andati anche decine di carabinieri dei reparti territoriali, attirati dalle cospicue indennità di rischio (98 per cento dello stipendio) ma forse (il comando nega) non del tutto preparati alla situazione.

Pallotta è scomodo perché le sue parole colpiscono la strategia dei vertici dell'Arma, che invece scommettono parecchio sulla Seconda brigata mobile che riunisce i parà del Tuscania, i reggimenti speciali di Laives e Gorizia e gli uomini del Gis. Le missioni all'estero, per la Benemerita, vogliono dire soldi, prestigio e ruolo internazionale, tant'è che i carabinieri sono arrivati in Iraq prima ancora dell'esercito e i loro generali, se potessero, ne manderebbero molti di più degli attuali 350 (su 2400 militari italiani). Pallotta su tutto ciò non si esprime. Ricorda solo che «il parlamento europeo, più di una volta, ha approvato raccomandazioni che chiedono la smilitarizzazione delle forze di polizia».

Per la polizia la riforma c'è stata nel 1981. I carabinieri invece mantengono l'ordinamento militare che impedisce loro di parlare, se non altro attraverso liberi sindacati come quelli dei poliziotti. Pallotta le sue battaglie le ha pagate a caro prezzo: nel febbraio del `93, quando insieme a un gruppo di carabinieri democratici fondò l'associazione Unarma, il maresciallo in pochi giorni venne deferito alla commissione di disciplina e rischiò la radiazione. E dopo anni di pressioni, nel 2001, il Consiglio di Stato ha deciso che Unarma aveva «natura sindacale» e che pertanto era «legittimo» applicare le sanzioni previste dalla legge 382/1978 che vieta l'iscrizione dei militari di professione alle associazioni sindacali. Le adesioni, così, si sono fermate a quota tremila. «Eravamo - racconta Pallotta - un luogo di libero dibattito e di confronto tra carabinieri». Sarebbero potuti arrivare a decine di migliaia, raccogliendo una bella fetta dei 112 mila carabinieri esistenti in Italia. Per questo è calata la mannaia del Consiglio di Stato, nell'assordante silenzio del centrosinistra al governo. Contro la decisione Unarma ha fatto ricorso alla Corte europea dei diritti umani, la cui pronuncia è attesa nel 2004. E intanto Pallotta ha subito attacchi di ogni tipo, dai comandi dell'Arma e da alcune procure (militari e non).

All'indomani del massacro di Nassiriya Pallotta e i responsabili del Sindacato carabinieri in congedo (Sinacc) hanno chiesto il ritiro del contingente (i comunicati sono in rete: www.nsd.it). E il primo a reagire è stato il Cocer: «E' un tentativo di strumentalizzazione di poveri ragazzi deceduti che hanno invece bisogno solo di pietà e, soprattutto, di rispetto». E' un organo istituzionale, il Cocer, l'esatto opposto di un sindacato: lo presiede un generale che era iscritto alla P2, Serafino Liberati, e oggi (oltre a rappresentare la truppa) comanda il Raggruppamento investigazioni scientifiche dal quale dipende il Ris di Parma. «Pallotta parla a titolo personale», dicono i generali. Il comando ha diramato una nota che potrebbe preludere ad azioni disciplinari, facendo sapere che le parole del maresciallo «non rappresentano nel modo più assoluto il pensiero del comando generale, né quello di tutto il personale dell'Arma». Replica Pallotta: «E' risibile, non ho mai parlato a nome dell'Arma. Esistono le rappresentanze militari e io ne faccio parte. Mi sembra che il comando commetta lo stesso errore che imputa a me: nemmeno il comando, infatti, è proprietario del pensiero dei carabinieri».

indirizzo internet: http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/15-Novembre-2003/art33.html


Iraq, quella sporca faccenda dei mercenari e delle "guerre private"

di  R.diNunzio 11 Apr 2004

Alla luce del rapimento dei quattro italiani avvenuto nei giorni scorsi in Iraq, presumibilmente dei "contractors" alle dipendenze delle compagnie di ventura angloamericane (in pratica dei professionisti della guerra o "mercenari"), ripubblichiamo il reportage di Reporter Associati del 15 ottobre 2003 che per primo ha svelato in esclusiva lo scandalo dell'impiego dei soldati di ventura nella guerra in Iraq.

Un terzo dei soldati americani impiegati in Iraq sono a tutti gli effetti dei mercenari.

Reporterassociati è in grado di svelare il nuovo business militare della Casa Bianca: ingaggiare mercenari pagandoli a peso d'oro. Ed arricchire così le società di "consulenza" degli amici di famiglia, come nel caso della "Halliburton" di Dick Cheney, il vice presidente degli Stati Uniti. Quale era in realtà l'obiettivo dell'attentato del 12 maggio 2003 a Ryad, in Arabia Saudita ed attribuito ad "Al Qaeda"? Il Parlamento italiano era stato informato che i militari italiani sarebbero stati schierati fianco a fianco con dei mercenari negli scenari di guerra dell'Iraq e dell'Afghanistan?

Secondo i dati forniti dal Pentagono risultano impegnati ancora oggi in Iraq circa 180.000 soldati americani, divisi in compagnie e plotoni dislocati su tutto il territorio iracheno al comando degli ufficiali dei vari corpi, che rispondono a loro volta al comando militare centrale di Tampa, in Florida.

Conosciamo le difficoltà che l'esercito di occupazione incontra dalla "fine" della guerra per normalizzare il paese arabo, dell'ostilità sempre più visibile della popolazione civile, ultimi gli studenti dell'Università di Baghdad.

Sappiamo delle polemiche che continuano ad avvolgere la spedizione militare anglo-americana basata su dossier falsi o, nella migliore delle ipotesi, gonfiati e drammatizzati ad arte per forzare la mano anche alle più deboli resistenze di quanti, nei palazzi del potere di Washington, Londra, Madrid e Roma avrebbero preferito un percorso che passasse attraverso le procedure e le regole delle Nazioni Unite prima di intraprendere una campagna di guerra il cui esito è, a tutt'oggi, ancora del tutto indefinibile.

Abbiamo sotto agli occhi una mobilitazione internazionale, ormai perenne e senza precedenti, in opposizione ad un conflitto ed un'occupazione che definire arbitrari è dir poco. Ma quello che trapela in queste ore sembra far impallidire ogni polemica e scontro fin qui aperti.

Dei 180.000 soldati impiegati in Iraq, ben un terzo, ovvero 60.000 di loro, sono "mercenari". Soldati privati, dipendenti da agenzie e società private americane che hanno firmato dei contratti che potremo definire di "leasing" con il Pentagono per la fornitura di uomini, istruttori e mezzi. Un business calcolato (per difetto) in 100 miliardi di dollari. E che getta una luce inquietante e davvero sinistra sulla gestione del conflitto in Iraq e che pone domande ed interrogativi che arrivano fino a noi. Alla Presidenza del Consiglio italiana, al Ministero degli Affari Esteri ed al Ministero della Difesa.

Le "Mpc" (Military private companies) che hanno firmato i contratti segreti con il Pentagono per il "noleggio" dei "corporates warriors" (i soldati privati al soldo delle autorità militari americane) appaiono saldamente presenti nella classifica delle 500 compagnie più potenti degli Usa, e nel gotha delle "Mpc" appare la "Halliburton", la compagnia che ha visto in qualità di vicepresidente, l'attuale braccio destro alla Casa Bianca del presidente George W.Bush, Dick Cheney. L'elenco prosegue con la "Vinnell Corp", la "Dyn Corp", quindi la "Mpri", la "Cubic" e la "Ici".

L'impiego delle "Military private companies" non è soggetto per il loro impiego ad alcuna approvazione da parte del Congresso degli Stati Uniti, e vengono gestite direttamente dal Pentagono, in concorso con i servizi di sicurezza militari e la Casa Bianca.

Ai vertici delle "Mpc" siedono ex alti ufficiali dell'esercito Usa e non è infrequente il caso di compagnie create "ad hoc" dai servizi di sicurezza americani, ponendovi al comando uomini di fiducia, per poter così aggirare ogni comunicazione ufficiale al Congresso per il loro invio in aree del mondo di particolare interesse politico-strategico-militare-economico per la Casa Bianca.

La presenza dei moderni "soldati di ventura", oltre che in Iraq, è segnalata in Afghanistan, e sono proprio i corpi militari privati di fiducia dell'amministrazione Bush ad essere presenti da qualche settimana nella Liberia del dopo Taylor devastata dalla guerra civile. I corpi speciali "privati" vengono impiegati anche in operazioni ancor meno convenzionali come ci ricorda Giovanni Porzio:

"Il Pentagono ricorre da tempo all' outsourcing, l'impiego di freelance esterni in lavori semiclandestini. In Colombia "Mpri" e "Dyn Corp" sono utilizzate per aggirare i limiti imposti dal Congresso al dispiegamento dei militari Usa. Gran parte del miliardo e mezzo di dollari per la lotta alla droga stanziati da Washington per il "Plan Colombia" è stato assegnato alle due società, i cui piloti, veterani del Vietnam e della guerra del Golfo, sono impegnati nella fumigazione delle coltivazioni di coca nel Putumayo e in operazioni segrete contro la guerriglia marxista".

Anche François Misser in un articolo apparso sul mensile "Nigrizia" svela i retroscena dell'impiego in Africa delle "Mpc". Senz'ombra di ambiguità o di fraintendimenti William Thom, responsabile della "Dia" per l'Africa, giustifica in questi termini, in nome dell'efficacia, il nuovo mercenariato: "L'Africa prima e dopo l'era coloniale, e dopo le indipendenze, ha una lunga tradizione di ricorso a truppe straniere incaricate di garantire, a pagamento, la sicurezza nazionale. E in ogni caso" pronostica Thom" la domanda è destinata a crescere per vari motivi: l'indifferenza del mondo sviluppato, la riluttanza dell'Occidente a impegnare i propri eserciti e l'inadeguatezza delle regole di ingaggio dei caschi blu delle Nazioni Unite nei conflitti etnici".

Il meccanismo di reclutamento degli attuali mercenari non ha nulla di "romantico" o di avventuroso: i caffè di Marsiglia o qualche hotel fuori mano di Instanbul o di Vienna. Se non addirittura le pagine degli annunci economici dei quotidiani popolari francesi come per decenni usava fare il mercenario più famoso del mondo, quel Bob Denard che tra un arresto ed una rocambolesca cattura ha passato la vita a levare le castagne dal fuoco, per conto del governo di Parigi, in tutti i paesi dell'Africa francofona.

Bob Denard: una leggenda tra i moderni soldati di ventura, dopo una vita spesa a combattere in Estremo Oriente e in Africa, era sbarcato alle Comore nel '76, prima per rovesciare e poi per reinsediare, sempre per incarico del governo francese, il presidente Ahmed Abdallah, considerato l'uomo più ricco dell'intero Oceano Indiano. Diventato poi suo uomo di fiducia, aveva creato e diretto la temutissima Guardia presidenziale. A conclusione di lunghe e violente vicissitudini, Denard era stato accusato a Parigi dell'omicidio di Abdallah avvenuto nel 1989 e solo dieci anni più tardi era stato assolto. Ma ormai il clima non era più buono per lui nelle Comore, dove possiede una gigantesca tenuta e molteplici interessi. Che tuttora intende tutelare, costi quel che costi, nel solo modo che la vita gi ha insegnato: un esercito di mercenari e armi fornitegli dai "soci" residenti in Sud Africa e Mozambico e che sono in pratica la sua polizza di assicurazione sulla vita.

"Il fenomeno dei mercenari è vecchio come la guerra", afferma Stefano Gulmanelli in un articolo apparso su KontroKultura (www.kontrokultura.org/archivio/mercenari.html):

" la stessa etimologia della parola "soldato" lo lascia intuire, e nel recente passato, soprattutto negli anni '60 e '70 ha avuto anche qualche esponente di punta avvolto da un certo alone di leggenda. Come il francese Bob Denard, aficionado dei colpi di Stato nelle isole tropicali dell'Oceano Indiano - con una particolare predilezione per le Comore - o come "Mad Max" Hoare, celebre per aver soffocato la rivolta dei Simba nell'ex-Congo belga negli anni Sessanta.

Ma accanto a quelli che comunque sono pur sempre poco più che gruppi di sbandati pronti a tutto, sta emergendo un'altra figura di combattente a pagamento: il professionista della guerra, messo sotto contratto o alle dipendenze di "private security companies" che, alla stregua di qualsiasi multinazionale, hanno proprie strategie di mercato, pubblicizzano il loro prodotto con "show reel" televisivi e stipulano regolari contratti secondo la legislazione internazionale".

Le moderne "Pmc" si presentano come delle aziende super tecnologiche, con grandi sedi reali sparse sul territorio degli Stati Uniti ed altre sedi di rappresentanza nel mondo, soffici moquettes e grandi carte geografiche alle pareti. Sale riunioni insonorizzate ed a prova di "ascolto" dove vengono firmati i contratti più importanti e delicati: come il contratto stimato in 800 milioni di dollari l'anno che la "Vinnel Corp" ha stipulato con il Pentagono e le autorità dell'Arabia Saudita per l'addestramento globale e la fornitura di uomini e mezzi per i corpi speciali sauditi.

E proprio questo contratto di "consulenza" ha contribuito a far luce sul recente attentato compiuto lo scorso 12 maggio a Ryad, la capitale saudita: quella notte duecento chili di plastico "C4" furono fatte saltare nei pressi di un condominio residenziale abitato da cittadini stranieri. L'attentato venne subito attribuito alle cellule islamiche di Al Qaeda. Ma quello che non venne mai rivelato è che una parte di quel residence era stato affittato ed adibito a sede locale operativa proprio dalla "Vinnell Corp".

Su Internet sono numerosi i siti di società internazionali che mettono a disposizione dei clienti uomini e mezzi per risolvere, a colpi di fucile e di intelligence, qualsiasi crisi politica nazionale ed internazionale. All'indirizzo web http://www.sofmag.com troviamo la home page della rivista più autorevole, a livello mondiale, per quanto riguarda i mercenari: il "Soldier of Fortune Magazine", stampato in America e distribuito nei cinque continenti. La rivista contiene articoli sulle varie crisi politiche internazionali e schede tecniche sugli ultimi prodotti dell'industria bellica internazionale. Tra le società che offrono a clienti istituzionali o privati personale e supporto logistico per la sicurezza e l'attività di intelligence c'è la "Dyn Corp".

Secondo il "Soldier of Venture", questa società ha affiancato in attività di intelligence e con forniture di uomini e mezzi il governo americano nel corso dei momenti più acuti di crisi nel Kosovo. La "Dyn Corp" fornisce anche servizi complessi di sicurezza ed è in grado di impiegare unità navali, aeree e terrestri armate fino ai denti. Un altro "qualificato" gruppo di mercenari è disponibile al sito www.combatgroup.co.za. L'unità ha sede in Sud Africa ed è già operativa in diverse nazioni: dal Sud Africa alla Gran Bretagna. All'indirizzo web www.sandline.com è possibile consultare le pagine di una delle più importanti ed affermate compagnie di mercenari britanniche.

Per fugare ogni dubbio circa la partecipazione delle autorità americane alle attività delle "Mpc", i bandi di reclutamento presenti sul sito internet della "Dyn Corp" per selezionare soldati da inviare in Iraq sono preceduti dalla frase in bella vista " Ricerca di personale specializzato per conto del Dipartimento di Stato americano".

Impressionante leggere la scheda dati fornita dalla "Dyn Corp" stessa che denuncia esplicitamente un giro di affari di oltre 15 miliardi di dollari l'anno, ben 40.000 "dipendenti" e 750 sedi sparse per il mondo.

Infine, i neo ministri del governo provvisorio iracheno insediato dalle autorità Usa a Baghdad figurano tutti sul libro paga della "Saic": 6 miliardi di dollari di fatturato, 35.000 "dipendenti" e sedi in 150 città del mondo.

I "corporates warriors" che lavorano per la difesa americana in Afghanistan come in Iraq e come in Liberia, sono gruppi militari completamente autosufficienti (persino le uniformi e le razioni di cibo sono fornite dalle società "madre") e con un proprio comando autonomo. In pratica viene loro indicato un obiettivo preciso: la copertura di un'area, l'incursione in una enclave ostile, la sorveglianza ed il controllo di obiettivi strategici, e gli ufficiali che guidano i "corporates warriors" devono svolgere il compito loro assegnato e rispondono direttamente, e solo, al comando americano.

Normalmente vengono impegnati nelle aree più rischiose o in quelle zone dove sarà più facile smentire la propria presenza ufficiale in caso di "incidenti".

Sotto il loro comando ricadono anche quelle compagnie militari di altri paesi presenti sul teatro del conflitto e che ufficialmente affiancano le forze Usa nella campagne militari. Come nel caso degli inglesi, dei polacchi e degli italiani, per citare l'esempio dell'Iraq.

A questo proposito, il Parlamento italiano è stato preventivamente informato dal Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, dal Ministro degli Esteri Franco Frattini e dal ministro della Difesa Antonio Martino della presenza nello scenario di guerra afghano e iracheno di compagnie mercenarie al soldo del Pentagono e del dipartimento di Stato degli Stati Uniti? E della possibilità che ufficiali "privati" possano assumere il comando di operazioni nelle quali sono o saranno coinvolti militari italiani? O, anche in questo caso, come nella vicenda tuttora aperta del falso dossier dell'uranio del Niger, le autorità italiane nulla sapevano e di nulla erano state informate?

I nuovi mercenari, non facendo parte strutturalmente di un esercito regolare, non godono di alcun trattamento non solo pensionistico, ma neppure sanitario. In caso di ferite sul campo di battaglia vengono rimpatriati e dovranno curarsi a spese loro. In caso di morte, il corpo viene restituito alla famiglia senza tante formalità. E neppure il funerale con la bandiera a stelle e strisce ed il picchetto d'onore. Il trattamento salariale è circa il doppio di quello di un soldato "regolare": dai 7.000 dollari al mese per non graduato fino, ed oltre, i 15.000 dollari al mese per gli ufficiali di grado maggiore.

Circola una battuta a Washington, tra gli analisti militari ed i componenti del congresso, come ha rivelato recentemente Alix Van Buren su "La Repubblica": " le Mpc? Hanno più generali per metro quadrato del Pentagono". La stessa battuta è però il motto di una delle più floride compagnie private, la "Mpri". Solo una coincidenza?

Roberto di Nunzio

r.dinunzio@reporterassociati.org

tratto da: http://www.reporterassociati.org/index.php?option=news&task=viewarticle&sid=1958  


Tabella sulla guerra e i morti americani

date salienti della guerra in Iraq
Il 20 marzo 2003 inizia l¹aggressione angloamericana all¹Iraq. Tra il 9 aprile e il 10 aprile, con lo squagliamento della difesa irachena, c¹è la caduta di Bagdad. A metà aprile si hanno le prime notizie di imboscate contro gli occupanti. Il 28 aprile la rivolta popolare a Falluja (seguita da una cruenta repressione americana) segna l¹avvio su ampia scala della Resistenza . Il 1 maggio G. Bush dichiara ufficialmente finita la guerra. Per tutto il mese di maggio continuano a trapelare notizie di agguati mortali antiamericani a Bagdad. Ai primi di giugno gli americani denunciano attacchi pressoché quotidiani in varie zone del paese. Il 24 giugno a Bassora, vengono linciati e uccisi dalla folla diversi soldati inglesi e altri feriti. Il 7 agosto un¹autobomba distrugge l¹ambasciata giordana a Bagdad, causando la morte di 17 persone. Il 14 agosto il Consiglio di Sicurezza dell¹ONU, con il solo voto contrario della Siria, approva la risoluzione 1500, che di fatto legittima il governo fantoccio presieduto da Bremer e quindi l¹occupazione angloamericana. Il 19 agosto un kamikaze, alla guida un camion bomba, si schianta contro la sede ONU. L¹alto Commissario resta ucciso assime a decine di persone.

I caduti tra gli invasori angloamericani
148 dal 20 marzo al 9 aprile
24 dal 10 aprile al 1 maggio
152 dal 2 maggio al 23 agosto
Totale: 324 (già il doppio della prima guerra del Golfo)

Soldati americani uccisi a causa invasioni
Libano - agosto1982-febbraio 1984 - 254
Grenada - ottobre-novembre 1983 - 19
Panama - dicembre 1989-gennaio 1990 - 23
G. del Golfo - gennaio-febbraio 1991 - 147
Somalia - dicembre 1992-maggio 1993 - 43
Haiti - settembre 1994-aprile 1996 - 0
Kosovo - 29 marzo-9 giugno 1999 - 0
Afganistan - ottobre 2001-???? - ???

In Vietnam vennero uccisi durante la lunga e vittoriosa guerra di liberazione un totale approssimativo di 50.000 soldati americani.

soldati americani FUORI DAGLI USA
364.000 dislocati in più di 120 StatI di cui:        
117.000 In Europa OCC.
3.100 in Bosnia
7.000 in Kosovo
4.300 in Liberia
10.000 in Afganistan
31.500 in Corea del sud
23.000 in Giappone
1.500 nelle Filippine
160.000 in Iraq

Budget a confonto
368,6 miliardi di dollari nel budget USA per la spesa militare nel 2004.
Mentre: è di 2,17 miliardi di dollari il budget dell¹ONU per missioni di peacekeeping 2003-04


Ma la RAI paga il "canone"?
Come disdire il canone RAI: istruzioni per il disuso

La RAI – Radio Televisione Italiana è sempre più utilizzata come strumento di potere, alla faccia di qualsiasi libertà e diritto di informazione obiettiva. Come la gran parte della stampa, la RAI è sotto stretto controllo delle “forze” che controllano lo Stato Italiano, e con ciò non si intende parlare solo di partiti politici … Vengono opportunamente nascoste o distorte le informazioni più scomode, dando una visione della realtà dei fatti quasi regolarmente deformata a fini di controllo del pensiero.

Ad ogni cambio di governo la prima attenzione è sempre rigorosamente rivolta al rimpasto della dirigenza RAI, perché è da lì che si controllano le informazioni che arrivano alla gente, e da lì si controllano di conseguenza le opinioni ed i loro orientamenti politici. Solo il 10% della popolazione si informa infatti anche tramite i giornali, così l’etere tutto sotto controllo, è di fatto l’esclusivo detentore dell’informazione.

Oltre al danno la beffa: la RAI si mantiene grazie ad un canone di “abbonamento” obbligatorio istituito per Decreto del Re Vittorio Emanuele III nel lontano 1938, quando il fascismo era una realtà e non era molto consigliabile criticare le cose poco democratiche.
Non solo, la RAI prende soldi dallo Stato Italiano, vale a dire dalle tasche dei cittadini ancora una volta. E come se non bastasse questo carrozzone vuole anche gli introiti pubblicitari!
In sostanza è come pagare tre volte per avere in cambio un indicente disservizio. A ben vedere per lo stato italiano è una consuetudine far pagare le stesse cose più volte, basta vedere la Sanità, le pensioni, le bollette con doppia tassazione.
Pochi sanno però che la RAI deve allo Stato il 7% sui canoni per pagare la vera tassa. Pochi sanno che per ben tre anni la RAI non ha versato questa tassa e che quindi i cittadini sono obbligati dalla legge a sovvenzionare un palese EVASORE FISCALE.
Se siete d’accordo su quanto sopra citato, togliamoci una soddisfazione, facciamoci almeno un po’ di giustizia:

DISDICIAMO IL CANONE!

DI CERTO NON FALLIRANNO, MA ALMENO NON AVREMO CONTRIBUITO AD UN VERGOGNOSO DISSERVIZIO CHE HA BEN POCO A CHE FARE CON LA VERA CULTURA E LA LIBERA INFORMAZIONE.


Dr. Fracasso

 

Da: http://www.collepasso.it/notizia.phtml?value=503&tb=notizie   -  Data articolo: 03/04/2004


L'80% dell'8x1000 va in missioni militari
I soldi degli italiani sono utilizzati per finalità diverse da quelle previste dalla legge

"Ormai da anni i fondi dell'8 per 1000 gestiti direttamente dallo Stato (destinati annualmente dai contribuenti allo Stato all'atto della dichiarazione dei redditi) vengono utilizzati per gli scopi più disparati, e tra questi il finanziamento delle missioni militari all'estero. Nel 2004 si è arrivati ad una situazione che ha dell'incredibile: ben 80 dei poco più dei 100 milioni di euro destinati allo Stato dai contribuenti sono stati stornati per finanziare le missioni militari italiane e in particolare quella in Iraq, che pesa per oltre il 50% sui costi di tutte le missioni militari italiane", E' quanto afferma Giulio Marcon, portavoce della Campagna Sbilanciamoci sostenuta dalla società civile italiana.

 

Nonostante la legge 222 del 1985 (che istituisce il fondo 8 x 1000) affermi che le somme destinate allo Stato, devono essere utilizzate "per interventi straordinari per fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione dei beni culturali" (art. 48) attualmente agli interventi per la fame nel mondo vengono destinate lo 0,9% delle risorse, ai rifugiati lo 0,6%, ai beni culturali il 13,8%, alle calamità naturali il 5,0%, mentre ben il 79.6% va alle missioni e alle spese militari. "Si tratta di una violazione di sostanza e di merito della legge 222" - nota Marcon. "I soldi degli italiani sono utilizzati per finalità diverse da quelle previste dalla legge: la volontà dei contribuenti non è rispettata ed è palesemente ingannata - continua Marcon. Il trucco contabile utilizzato dal Governo e dal Parlamento è quello di ridurre, in ogni legge finanziaria, il fondo 8 per mille, stornandone una parte per esigenze di finanza pubblica. In questo caso lo storno è stato di 80 milioni per le missioni militari, che non si sarebbero potute finanziare seguendo la lettera della legge 222/85."

In particolare, il finanziamento della missione in Iraq "Antica Babilonia" supera di gran lunga gli 80 milioni di euro l'anno da 8 per mille. Dai dati messi a disposizione dalla Camera dei Deputati e pubblicati ieri dal Sole 24 ore, risulta che da quando (all'inizio dell'estate 2003) è stato dato il via ai nostri militari a Nassirya e dintorni, è stato speso un totale di 1,3 miliardi di euro, oltre 2.500 miliardi di vecchie lire, una cifra che è quasi il triplo di quanto viene erogato annualmente dallo Stato alla cooperazione internazionale. Dalle relazioni tecniche della Ragioneria generale dello Stato sui cinque decreti che hanno finanziato sinora "Antica Babilonia" (in media uno ogni sei mesi), emerge che solo 90 milioni di euro sul totale complessivo di 1,3 miliardi di euro è destinato a interventi umanitari e di ricostruzione. I restanti 1,21 miliardi di euro finanziano operazioni militari. Il costo giornaliero per l'utilizzo di uno dei nostri elicotteri Mangusta, è stato stimato dalla Ragioneria generale dello Stato in 27mila euro, mentre per pagare i nostri 3252 soldati, nella seconda metà del 2005 occorreranno 118,5 milioni di euro, ovvero 236 miliardi delle vecchie lire.

 

La campagna Sbilanciamoci! "denuncia questa operazione che fa aumentare ancora di più le spese militari in Italia, cresciute di oltre il 10% negli ultimi tre anni, e che finanzia un intervento militare, come quello in Iraq, che non ha niente di umanitario e di pace, ma che sostiene una logica di guerra e di occupazione militare contraria al diritto e alla legalità internazionale". La campagna Sbilanciamoci! condurrà una ferma iniziativa anche in occasione della discussione della prossima legge finanziaria per impedire nuovamente lo storno dei fondi 8 x 1000 […] [GB]

Fonti: Sbilanciamoci, Vita, Metamorfosi. unimondo.onerworld.net


Se siamo nel guano fino al collo, la colpa è tutta nostra

La questione voto/non-voto torna ciclicamente fra di noi, e lo farà probabilmente sempre più spesso, da oggi alle elezioni di primavera. Cercherò quindi di riassumere quello che si è detto finora, per cercare di creare, da qui in avanti, un punto di partenza che non ci obblighi ogni volta a ripartire da Adamo ed Eva.

Le posizioni manifestate nel corso del tempo, sul sito, sono state molte, ma si possono raggruppare genericamente in tre "scuole" di pensiero. A) Io non voto (più), perchè comunque non ci credo. B) Io faccio un voto "di protesta", cioè scheda bianca, o nulla, e infine C) Io voto, e scelgo se non altro il meno peggio. Tra questi ultimi, infatti, vanno messi anche tutti quelli che sono perfettamente contenti di come vanno le cose, e che votano pienamente convinti di scegliere ciò che gli va bene.

Prima di definire meglio le varie posizioni, bisogna chiarire bene le differenze fra i tre "tipi" di gesto, nel loro significato profondo. Il primo infatti si separa nettamente dagli altri due, che sono molto più vicini. "Non andare a votare" significa rifiutare in partenza un sistema…

... che si ritiene inefficace, inutile, o comunque illusorio. E' come dire "è inutile cambiare le candele, quando la macchina ha il cambio rotto, il serbatoio bucato e le fasce da rifare". Non va comunque da nessuna parte, anche se ci metti le candele d'oro zecchino. Nei casi B e C invece il gesto stesso di recarsi alle urne, ed apporre un tipo di voto comunque previsto dalla Costituzione (valido, bianco, oppure nullo), implica di per sè un'accettazione del sistema, anche se accompagnata da un giudizio momentaneamente negativo. Se infatti, andando a votare, comparisse per miracolo sulla scheda una candidatura che ci soddisfa, invece di annullare quella scheda noi la utilizzeremmo per appoggiarla. (Sbaglia, a mio giudizio, chi va alle urne per annullare il voto "come gesto di rifiuto al sistema", poichè nel farlo riconosce proprio a quel voto la capacità di "trasmettere" il suo messaggio, e quindi riconosce al sistema una suo relativa validità. E' come Saddam, che dice "non riconosco questo tribunale", ma poi risponde alle domande).

Insisto, la differenza è sottile, ma fondamentale: una cosa è rifiutare il sistema in quanto tale (chiunque mi proponiate, non funzionerà mai), un'altra è rifiutare quello che il sistema offre in quel momento, oppure anche quello che è venuto offrendo da cinquant'anni a questa parte (teoricamente, una proposta valida può sempre esistere, anche se finora non c'è mai stata). Certo, chi crede al sistema ma riconosca che una proposta valida non c'è mai stata, rischia di fare la figura dell'allegro boccalone, ma la distinzione qui è teorica, di principio, e non necessariamente pratica. (Come molti sanno, io sono uno di quelli, quindi permettetemi di non scavarmi da solo una fossa troppo profonda).

Cerco ora di riassumere, come meglio posso, i ragionamenti che hanno supportato finora le tre posizioni di fondo.
Nel gruppo A le motivazioni date sono state molto diverse, e vanno da un "semplice" stato di delusione generalizzato, che in termini scientifici si chiama "sminchiamento", ad una vera e propria posizione "politica", che andrebbe qui definita con "anarchismo" - e non "anarchia, che è una cosa ben diversa - e cioè il rifiuto di principio per l'autorità.

(Brevemente, e solo per chiarezza: con "anarchia" si definisce oggi, erratamente, uno stato di caos incontrollato, e quindi inauspicabile. Mentre l'anarchismo, inteso come movimento storico, non ha mai nè supportato nè implicato il disordine sociale. Prevede (o ipotizza) semplicemente che in assenza di autorità l'individuo sia in grado, da solo, di limitare e controllare le proprie azioni al fine di un civile e pacifico convivere. Si può quindi discutere su quanto utopica sia questa ideologia, ma non la si può bollare negativamente solo perchè una sua applicazione porterebbe oggi, con tutta probabilità, ad uno stato di caos. E' come dire che fascismo o comunismo siano filosofie da gettare, solo perchè hanno dato pessimi risultati in Italia, in Russia o altrove. Una cosa è il principio, ben altra la sua applicazione. Per quel che riguarda l'anarchismo, resta ancora da dimostratre che un domani gli umani non siano in grado di gestirsi autonomamente (rispondendo ad una legge morale interiore, in questo caso), senza più bisogno di leggi esterne o di autorità precostituite, e quindi fino a quel momento l'anarchismo, come pensiero sociale, rimane assolutamente inattaccabile).

Torniamo alle motivazioni, passando al voto "B" (voto attivo, ma negativo, cioè scheda bianca o nulla). Unifichiamo intanto le due cose, anche se sono un pò diverse, perchè anche a chi vota scheda bianca è caldamente consigliato di annullarla, sia perchè va altrimenti a favore della maggioranza, sia perchè rischia di essere "validata" da altri, come a noi non piacerebbe. Chiamiamola nulla, quindi, per ambedue i casi.

Qui le motivazioni date sono invece tutte abbastanza simili, e si possono riassumere nel "diritto alla non rappresentabilità": salve, io sono venuto a votare (accetto quindi il sistema, e ci credo) ma l'offerta di oggi è talmente bassa che non mi riterrei rappresentato degnamente da nessuno di voi. Scrivo "vaffanculo" di traverso, bello grosso, e la prossima volta cercate di presentare qualche candidato che sia almeno degno di quel nome. Buonasera.

Specialmente in "tempo di guerra", la maggior parte dei "B" considerano anche il proprio voto una delega ad autorizzare o negare la partecipazione del nostro esercito, e nel momento in cui nessun partito garantisse a priori il proprio impegno a rinunciarvi - pur essendo il partecipare una violazione della nostra Costituzione - non desiderano delegare nessuno a rappresentarli in quella scelta. In altre parole, vai in guerra, dicono, ma "non nel mio nome". Fanno quindi una scelta di tipo morale, prima ancora che politico.

Veniamo ora ai votanti veri e propri, il tipo "C", e cioè quelli che scelgono di partecipare attivamente alla scelta dei proprio rappresentanti, anche se questi non li soddisfassero del tutto. Se lasciamo fuori coloro che votano convinti di votare chi ben li rappresenta (a destra, voglio ben sperare che qualcuno ci sia, no? Oppure vogliamo proprio farci del male a tutti i costi?), stiamo parlando soprattutto di persone che votano a sinistra, scegliendo il famoso "turarsi il naso" di Montanelli, ovvero il "meno peggio".

La pochezza della sinistra di oggi infatti è raramente in discussione, fra di loro, ma la priorità assoluta, in questo momento, è "mandare a casa il governo Berlusconi". Per cui voteranno comunque, dicono, soddisfatti o meno che siano degli impegni programmatici del loro schieramento. [Scusate il commento personale, ma in questo caso non si riesce davvero a capire perchè non si possa contemporaneamente mandare a casa Berlusconi e impegnarsi ad uscire al più presto dall'alleanza con un esercito di criminali. Dove sta la difficoltà a coordinare le due cose, se davvero a quella guerra si è contrari?]

Essi ritengono invece uno "spreco" il voto nullo, sia perchè "tanto non cambia niente", sia perchè va proprio ad indebolire la "potenza di fuoco" del voto progressista.

Fin qui, sperando di non aver tralasciato posizioni importanti, il riassunto generico del sito-pensiero.

°°°
Prima di lasciare il campo a quella che mi auguro diventi una discussione succosa e costruttiva (me lo auguro in questo caso, oltre che "per il sito", perchè siamo ormai in tanti, siamo letti da tanti, e le idee sane che vanno in circolo sono importanti per tutti), spezzo una lancia a favore dell' "allegro boccalone" che mi ritrovo ad essere, per mia stessa definizione.

Io infatti riconosco apertamente che il sistema "democratico", almeno in Italia, non abbia mai offerto una gamma di candidati abbastanza ampia da poter sempre trovare qualcuno che ritenessimo degno di rappresentarci. Negli anni sessanta/settanta, se non altro, si votava soprattutto l'ideologia, per cui il "comunista" o il "liberale", convinti della propria, votavano chi, almeno a parole, dicesse di condividerla. Ma dal crollo delle ideologie, che è coinciso abbastanza di vicino con quello del Muro di Berlino, il voto "variegato" di una volta si è andato man mano cristallizzando attorno ai due schieramenti principali - progressisti e conservatori - che hanno poi portato al maggioritario (unitario?).

La mia speranza quindi, di ritrovarmi alle urne una posizione che mi rappresenti adeguatamente, sembra piuttosto diminuire nel tempo che non aumentare. Da allegro boccalone, rischio presto di passare per coglione patentato.

Eppure.
Quando io dico che "credo nelle istituzioni", non lo faccio certo come il diligente cittadino che si beva tutta d'un fiato la bugia democratica. Please, un pò di rispetto per gli anziani, se non altro.

La "bugia democratica" è palese, per me come per molti altri fra di noi, ma solo nella misura in cui è palese l'utilizzo bieco che ne è stato fatto nei tempi moderni. Ma le istituzioni democratiche in-quanto-tali, hanno tutte le caratteristiche, necessarie e sufficienti, per esserlo davvero. Esse sono perfettamente in grado di produrre vera democrazia, se solo imparassimo ad usarle meglio.

In altre parole, l'inganno non sta nello strumento in sè, ma nell'uso limitato che si calcola, biecamente, che ne faremo, per ignoranza, per pigrizia o per qualunque altro motivo.

E come se ci avessero messo sotto il sedere la Ferrari di Schumacher, sapendo che tanto il gas fino in fondo non lo spingeremo mai, per cui di gare non ne vinceremo comunque.

Contano sulla nostra inesperienza, appunto, sulle nostre paure, e sulla nostre pigrizie, che poi pensano ad alimentare a suon di tette, goal e formaggini, che ci tirano addosso ogni giorno dal televisore.

Ma la Ferrari sotto il culo ce l'abbiamo sempre. Cosa succederebbe se un giorno imparassimo davvero a guidarla?
La quintessenza del sistema democratico, ovviamente, è la rappresentatività del cittadino. Tutti insieme in parlamento non ci si può andare, quindi scegliamo alcuni di noi, che rappresentino al meglio le idee di tutti quelli che li avranno votati. Si chiama delegare, e senza una valida delega, come è noto, il candidato vale quanto una scarpa bucata.

Ma qui inizia il trucco. Dopo aver proclamato la "democrazia" - anzi, raffinatissimi, hanno fatto scegliere a noi pure quella, col referendum del '48 - coloro che stanno al potere si sono distribuiti le magliette, rosse per alcuni, nere per altri, bianco-celesti per altri ancora, dopodichè tanti auguri, chi è più bravo a raccattare voti comanda, gli altri aspettano il turno successivo per riprovarci.

L'inganno poggia quindi, chiaramente, sulla premessa che noi a votare ci andremo comunque. Poi però, una volta chiuse le urne, chi si è visto sì è visto, a fare il governo ci arrangiamo noi, voi tornate a lavorare, e cercate di non rompere le scatole.

Salvo romperle loro a noi, ogni volta che si arriva in vista della prossima tornata elettorale. Ecco che allora il cittadino ridiventa di colpo importante - nei discorsi, ovviamente, mai nei fatti - ed ecco che veniamo di nuovo aizzati l'uno contro l'altro, comunisti contro fascisti, cristiani contro musulmani, interisti contro juventini (basta dividere, per imperare, dicono), finchè ci scaldiamo abbastanza da non vedere l'ora di correre alle urne, per "bastonare" quello che crediamo il nostro avversario, dando nel frattempo la preferenza alla maglietta che meglio delle altre ha saputo accalappiarci. Cornuti, e pure mazziati.

Poi di nuovo chi s'è visto s'è visto, … eccetera eccetera eccetera.

Bello il giochino, vero? Ma i furbacchioni che l'hanno inventato si sono dimenticati che nella Ferrari che ci hanno dato, per tenerci buoni, c'è anche il turbocompressore. Entra solo a novemila giri, è vero, ma quando entra picchia in maniera tale che non ti sta dietro più nessuno.

Il nostro turbo si chiama facoltà di dare il voto a… nessuno. Lo ripeto, anche se è ormai superfluo, non è quella di "non votare", che è pure tecnicamente un reato. No, io a votare ci vengo eccome, perchè al sistema io credo, ma sfortunatamente il voto oggi on lo do nè a te nè a lui nè a quell'altro. E adesso cosa fate, cari i miei volpini?

Ne avete comunque abbastanza da fottervene, mi dite? Benissimo, io so aspettare. Aspetterò uno, due, anche tre turni elettorali, se necessario, finchè ci saranno abbastanza persone che hanno mangiato la foglia, ed hanno capito che il coltello dalla pare del manico l'abbiamo noi. Non dimenticare che oggi c'è Internet, fra l'altro, e non è più come una volta, che basta che mi cancelli un comizio, e per un altro mese stai tranquillo.
Esattamente come quella donna, che disse alla ragazza più giovane "figliola, tu siedi sulla tua fortuna e nemmeno lo sai", la fortuna su cui noi tutti sediamo, senza rendercene conto, è la nostra scheda elettorale ancora intonsa. Vergine, appunto. Senza di quella, i nostri cari "rappresentanti in Parlamento" possono fare ben poco.

Non dimentichiamo inoltre che il voto, in realtà, avviene "prima" di andare alle urne, e non durante l'apertura dei seggi. Lì vai solo a confermare quello che hai già deciso nelle settimane precedenti. Ma se in quelle settimane, metti caso, i nostri cari eleggendi venissero a sapere che tre o quattrocentomila persone - e la cifra già oggi non sarebbe così impossibile da raggiunere, grazie alla rete - non voteranno per nessuno, a meno di impegni precisi da parte tua su determinati argomenti, secondo voi davvero non succede niente?

Chi invece rinuncia a far valere il proprio diritto, e vota comunque il meno peggio "perchè tanto non cambia niente", non fa che rendersi complice di quel disegno bieco che impedisce proprio alla democrazia di funzionare come dovrebbe. (Oltre che rendersi complice, in questo caso, di tutti i reati commessi nell'ambito dell'alleanza militare, che col suo voto sottoscrive).

Sulla Costituzione non c'è scritto di votare chi ti fa meno schifo. C'è scritto di sceglierti chi vuoi che ti rappresenti in Parlamento. Se non c'è non c'è, e tu non puoi farci niente, puoi solo aspettare che un giorno ci sia. Ma se tu per primo usi il sistema democratico in modo sbagliato, dando il tuo voto anche a chi non lo merita, poi cosa fai, vieni a lamentarti che "comunque non funziona"?


Ecco perchè dico che è soltanto colpa nostra.

Massimo Mazzucco

Tratto da: http://www.luogocomune.net/site/modules/news/article.php?storyid=903


 

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Ultimo aggiornamento:

 29 gennaio 2007