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Alfredo Logoluso da Bisceglie

 

 

Stimat.mo arch. Pino De Nuzzo,


felicitazioni e complimenti per il sito web sui megaliti salentini, di grande valore perchè  tende alla difesa dei superstiti monumenti preistorici della nostra regione, di norma abbandonati e bistrattati da cittadini e istituzioni, rovinati o distrutti a un ritmo che negli ultimi anni sembra persino in crescita.


Dal 2005, dopo una interruzione di oltre vent'anni essendomi trovato altrove per lavoro, ho ripreso uno studio diretto sull'archeologia preistorica e protostorica nel territorio di Bisceglie e dintorni, che come noto e' caratterizzato dalla presenza di dolmen, ma anche di altre poco o per niente conosciute manifestazioni affini, capitandomi di fare diverse nuove scoperte, incluse alcune che rivelano interessanti e inedite analogie con il megalitismo del Salento.


Purtroppo il patrimonio culturale delle mie parti e di questo genere è a forte rischio, come e forse più che altri, perchè in massima parte non tutelato, nemmeno amministrativamente, nonostante le segnalazioni fatte sia in passato che recentemente a Soprintendenza e Comune: all'agosto scorso risale la distruzione dell'area cultuale di Strada Abazia, datata tra il periodo eneolitico e l'età del Bronzo antico locale e caratterizzata da altari megalitici scolpiti, rocce affioranti con "coppelle" e una piccola statua- stele antropomorfa femminile (simile a quella di Giurdignano che dal tuo sito ho appreso anche scomparsa di recente): a causa di un intervento di "spietramento" eseguito con mezzi pesanti cingolati e ruotati, sono stati distrutti i banchi di roccia affiorante e con essi un'ara megalitica scolpita delle due presenti, le "coppelle" su roccia e la statua-stele, salvandosi (per quanto ancora?) un'altra ara scolpita e un megalite lavorato a semicerchio, residuo di una struttura anticamente crollata: il sito e gran parte di questi elementi litici erano stati segnalati dal prof. F. Prelorenzo già dal 1987 (e presentati al Simposio internazionale "Communication in Bronze Age - Europe" tenutosi nel settembre 1995 a Tanum in Svezia, pubblicati con gli Atti del "Museum of National Antiquities" nel 1999 a Stoccolma, oltre che sul Notiziario del "Centro Camuno di Studi Preistorici" del marzo 1997 a cura del prof. E. Anati, in uno studio della dott. L. Leone, autrice anche dello scritto "Inedite rocce a 'coppelle' tra i megaliti di Puglia", in Atti del Convegno "Coppelle e dintorni nell'arco alpino meridionale", Cavallasca 28-29 settembre 2002) ma nonostante questo non erano mai stati minimamente tutelati dalla Soprintendenza ne' dal Comune come beni archeologici. Un tardivo intervento delle forze dell'ordine, su sollecitazione di privati presso l'Ufficio tecnico del Comune, si e' avuto soltanto perchè lo sbancamento del suolo era abusivo, insistendo su area tutelata dal Piano Urbanistico Territoriale Regionale, come zona paesaggistica anche se non di valore archeologico.

La Soprintendenza, da me informata, ha fatto un sopralluogo, ma senza ancora pronunciarsi. Altri luoghi come questo sono ancora a rischio, se non già distrutti senza che si sappia, ma certo non dico niente di nuovo a chi ha scelto di occuparsi di questa materia.


Segnalai inoltre alla Soprintendenza (verbalmente e mostrando una fotografia) che il secondo menhir da sud della serie di 4 allineati in 2 Km. a sud di Sovereto era stato spezzato alla base di incastro al suolo e
giaceva a terra, abbattuto da un'automobile nel maggio di quest'anno, ma non so se siano stati presi provvedimenti per il recupero e ripristino in loco.


A proposito di alcune mie nuove scoperte presso Bisceglie, che possono essere poste in relazione con il fenomeno dolmenico salentino, ti segnalo l'individuazione presso Lama Santa Croce di un dolmen "basso" (ovvero poggiato su varie piccole pietre perimetrali, possibilmente non tutte "originali", a soltanto una trentina di centimetri da terra, che ha pianta subrettangolare con angoli arrotondati (misure della lastra: 1,70x1,60x0,25 m.) molto più simile ai tipici dolmen salentini che ai nostri con "dromos" della Puglia centrale, anche perchè presenta un'apertura passante subellittica (assi 50x25 cm.) presso l'angolo rivolto a nord-ovest (è orientato con il lato più lungo in senso est-ovest, e sotto la parte centrale del lato verso est non presenta pietre di sostegno). Altri due blocchi mediolitici (circa 0,8x0,5x0,2 m.) e una tavola litica rettangolare più piccola (1,30 x 1,05 x 0,10 m.) sono presenti a qualche metro di distanza, ma e' difficile dire se possa trattarsi anche di elementi di origine preistorica. Circa cento metri a sud si trova poi una roccia subrettangolare di oltre mezzo metro cubo con "coppelle" naturali sulla superficie.

Credo che il basso megalite forato, come i dolmen salentini, non sia un sepolcro, ma un altare, probabilmente sacrificale per animali, come suggerito dalla posizione dell'apertura passante, in analogia con altre "tavole" litiche come a Monte d'Accoddi in Sardegna (anche là due vicine, piccola e grande, oltre a un menhir alto 3 o 4 metri a sezione quadrangolare e una roccia rotonda con "coppelle"), ovvero per il ritorno od offerta alla terra di parte del sangue della vittima attraverso il foro nella lastra (lo stesso tipo di "collegamento" si aveva nell'ara megalitica distrutta a Strada Abazia). Per questo non sono  d'accordo con la frase riportata da qualche parte nel sito (forum?), secondo la quale l'ipotesi delle are sacrificali sarebbe considerata superata (da chi e perchè?): credo invece che sia ancora la più plausibile, insieme alla piu' generale per solchi e "coppelle", non passanti, relativa a rituali anche differenti, come quelli legati al culto delle acque pluvie.

Inoltre, questo "diverso" dolmen di Bisceglie potrebbe essere molto antico, dato che nelle sue immediate vicinanze (da meno di 50 a circa 200 metri) sorsero ben tre insediamenti capannicoli neolitici, dei quali si
osservano ancora resti ceramici e litici in superficie, mentre i più vicini resti di popolamento eneolitico o di età del bronzo sono più rari e si trovano a distanze maggiori.


E' molto interessante che nella stessa zona, a meno di 100 metri dal dolmen, ci sia un'altra area cultuale preistorica, gia' segnalata dal compianto prof. Prelorenzo, probabilmente anche risalente al periodo
neolitico per le stesse suddette ragioni, caratterizzata dalla presenza di 4 menhir mediolitici, alti tra un metro e un metro e mezzo fuori terra, tutti diversi fra loro e fortemente caratterizzati, molto verosimilmente interpretabili come piccoli totem o statue-stele, due dei quali possibilmente in posizione primaria e due probabilmente ricollocati lungo la locale strada campestre dopo essere stati utilizzati come cippi di confine poderale. Si tratta della più significativa e antica evidenza che conosca a sostegno della tesi sull'origine preistorica dei menhir, pugliesi e non (il nostro Neolitico antico iniziando circa 9000 anni fa), anche se si tratta di quattro pietre grezze e naturali non lavorate o scolpite intenzionalmente, a eccezione forse della maggiore, in giacitura primaria, che presenta un foro passante naturale attraverso le facce rivolte a est e ovest e gli spigoli alla base possibilmente sgrossati in modo rozzo. Questi
piccoli menhir di Bisceglie, anche se non possono attestare direttamente l'antichità dei più alti e squadrati fratelli salentini, indicano tuttavia che nella regione la presenza di "pietrefitte" può senz'altro
farsi risalire in generale a epoche ben precedenti il Medioevo.

 

Avendo considerato per analogia, nel mio studio in corso, i dolmen salentini a lastra subrettangolare più o meno bassa su diversi supporti, o con fori passanti, scanalature o "coppelle" sulla tavola, ho notato che
permangono confusioni circa la loro denominazione e ubicazione, per cui sottopongo qualche interrogativo, da girare eventualmente anche ai frequentatori del sito.


1 -  Il dolmen Orfine presso Giurdignano non sarebbe nella posizione indicata nel libro di Malagrino' ne' di dimensioni originarie 2,30 x 1,45 m. (ca. 3,3 mq): è riportato di dimensioni originarie circa 4 x 2,70 m.
come "diametri" della sua forma romboidale in pianta, da A. Jatta (ca. 5,4 mq; da Nicolucci, 1893) situato a circa 1 Km. di distanza da Giurdignano (est ?); si tratta quindi di due dolmen diversi? In questo caso, quale potrebbe essere il dolmen chiamato Orfine da Malagrino'? Secondo A. Jatta inoltre, un altro dolmen fu scoperto nel 1910 in localita' Orfine da Maggiulli: fu quello chiamato Chiancuse II?


2 - Il dolmen Chiancuse presso Giurdignano non sarebbe nella posizione indicata nel libro di Malagrino' ne' di dimensioni originarie 2,22 x 1,76 m. (ca. 3,9 mq): è riportato di dimensioni originarie circa 4,60x2,40 m. da A. Jatta (ca. 11 mq; da Nicolucci, 1893) a circa 1 Km. da Giurdignano (est ?); si tratta quindi di due dolmen diversi? In tal caso, quale potrebbe essere quello chiamato Chiancuse da Malagrino'?  Secondo A. Jatta inoltre, un altro dolmen fu scoperto nel 1910 presso Giurdignano da Maggiulli nel "fondo Pesco", o Peschio?


3 - Nella cartina geografica dal libro di A. Jatta, sono indicati nella zona intorno a Giurdignano 11 dolmen: 1 più a nord (presso Palmariggi, Quattromacine nel testo), 3 a ovest, 4 a est, 3 a sud (Scusi presso Minervino, Cocumola e Poggiardo-Vasto nel testo). I 7 rimanenti dovrebbero essere Chiancuse, Orfine, Chiancuse II (secondo nel fondo Orfine?), Sferracavallo, Pesco o Peschio, Grassi e Cauda: come sarebbero collocati, rivedendo la cartina di Malagrino'?


Grazie per l'attenzione e a risentirci

Alfredo Logoluso

Un dolmen "salentino" a Bisceglie.

     Il mese scorso scrivevo all'arch. De Nuzzo e ad "Antiche Pietre del Salento", parlando fra l'altro di una mia recente scoperta nell'agro di Bisceglie: ho visto poi che la lettera è diventata una pagina del sito e ho quindi pensato di integrarla con qualche notizia e immagine aggiuntiva, documentando meglio la cosa per quanti si interessino di studi preistorici nella nostra regione e sostengano la necessità di una maggiore tutela e salvaguardia dei segni più antichi del nostro passato, troppo spesso indifesi e distrutti per indifferenza o presunzioni lucrative, come si incendia un bosco o si cementifica una costa, e altrettanto spesso perduti per latitanze o connivenze politiche, istituzionali o amministrative.

Vista frontale del "dolmen di Santa Croce"    Si tratta di un "dolmen" nel senso letterale della parola, ovvero una "tavola di pietra" avente spessore medio pari a circa un ottavo delle altre due dimensioni (riportate in figura) e peso stimabile in quasi una tonnellata e mezza. Si trova in una zona dell'agro di Bisceglie tra le più rappresentative in Italia per vestigia preistoriche: l'area basso-murgiana attraversata dalla "lama Santa Croce", tra sei e sette chilometri dalla costa adriatica e quote intorno a 100 metri sul livello del mare.

     Nelle immediate vicinanze di questo megalite, che può senz'altro chiamarsi "dolmen di Santa Croce", è attestata la presenza di un sito paleolitico e tre insediamenti neolitici databili tra 9000 e 7000 anni fa con luoghi cultuali annessi, mentre, entro il raggio di circa un chilometro, si trovano i dolmen "della Chianca" e "di Albarosa", oltre a due "ricoveri sotto roccia" frequentati in epoca preistorica, un grande insediamento eneo, un altro di media estensione e un terzo minore (culture Protoappenninica e Appenninica), un'area cultuale enea caratterizzata da rocce a "coppelle", un insediamento apulo Misure del "dolmen di Santa Croce"del V-IV Sec. a. C. e un insediamento di epoca romana, oltre ad alcuni siti minori di interesse archeologico preistorico o protostorico.

     Il "dolmen di Santa Croce" sarebbe quindi il sesto scoperto nell'area dolmenica di Bisceglie e immediati dintorni, dopo quelli della "Chianca", "Albarosa", "Frisari", "Paladini" in territorio confinante di Corato e "Giano" in territorio confinante di Trani, quest'ultimo distrutto nel 1975: tuttavia, mentre coerentemente i cinque "classici" dolmen dell'area di Bisceglie erano in origine tutti sepolcri megalitici a "galleria e tumulo", quello di Santa Croce si differenzia completamente dagli altri e presenta invece evidenti e interessanti analogie con i "classici" dolmen del Salento, a tavole relativamente "basse", su sostegni multipli di limitate dimensioni, e spesso lavorate con scanalature scolpite nella parte superiore, incavi o fori passanti nello spessore.
     Il "dolmen di Santa Croce" si trova attualmente appena sollevato sul livello del terreno (con la superficie superiore a poco meno di mezzo metro dal suolo), poggiando su una dozzina di pietre allineate in due file sotto i lati più lunghi, nord e sud, mentre il lato ovest si trova a contatto di un muricciolo di pietrame a secco: potrebbe quindi trattarsi di un megalite posizionato volutamente in basso, oppure originariamente sostenuto più in alto e poi ricollocato o caduto (accanto al pietrame esistono infatti due grezzi monoliti calcarei, misuranti circa 80 x 50 x 20 cm., che potrebbero rappresentare sostegni precedenti).

     Le differenze del "dolmen di Santa Croce" dai dolmen biscegliesi e le parallele analogie con quelli salentini si possono sintetizzare in alcune osservazioni:

  • le lastre dei sepolcri a galleria dell'area biscegliese sono sempre costituite da pietra calcarea o roccia carbonatica a grana relativamente fine di formazione mesozoica cretacea (Aptiano), mentre quelle dei dolmen salentini sono normalmente arenarie o calcareniti più recenti (plioceniche - mioceniche): il "dolmen di Santa Croce" è in conglomerato di breccia compatta, macroscopicamente diverso dal calcare più omogeneo dei megaliti dolmenici biscegliesi e più somigliante ai materiali con grana maggiore, detti anche "sabbioni", dei dolmen del Salento;

  • le lastre orizzontali a copertura delle celle dolmeniche nei sepolcri dell'area biscegliese sono di conformazione naturale irregolare e non lavorate, come comprensibile dato il loro originario ricoprimento dal tumulo, mentre il dolmen di "Santa Croce" e spesso quelli del Salento risultano approssimativamente sagomati a forma subrettangolare, presentando un'apertura decentrata plausibilmente a scopo funzionale-cultuale, o altri elementi in vista scolpiti ed eventualmente solo ritoccati partendo da discontinuità naturali, che indicano pertanto megaliti non destinati alla tumulazione ma a diverso uso esteriore, probabilmente come altari;

  • i dolmen sepolcrali dell'area biscegliese sono sorretti su tre appoggi dagli ortostati megalitici di parete e fondo delle celle dolmeniche, ad altezza di circa due metri dal suolo interno, mentre i dolmen salentini, su multipli appoggi monolitici o spesso in colonne di pietre piatte, sono generalmente alti circa un metro dal suolo: il "dolmen di Santa Croce" si presenta attualmente più basso, su appoggi multipli e almeno in parte probabilmente secondari, costituiti da una o due piccole pietre calcaree sovrapposte.

Vista laterale del "dolmen di Santa Croce".     Ammessa per i "classici" dolmen salentini e per quello di "Santa Croce" una funzione non sepolcrale (tra l'altro, non essendo mai stati rinvenuti al loro interno, o nei pressi, resti umani o di corredi funebri come nel caso dei dolmen a galleria e tumulo di Bisceglie), e ammettendo per gli stessi una funzionalità o fruibilità all'aperto, ovvero l'assenza originaria di coperture tumuliformi che avrebbero reso inutili oltre che invisibili le ricorrenti sculture sulle superfici superiori delle lastre, resta da considerare l'ipotesi che si tratti effettivamente di altari dedicati a culti e rituali preistorici. Tra questi, candidati  plausibili rimangono i riti sacrificali di animali domestici, a scopo propiziatorio ma non solo: è verosimile infatti che ogni generica occasione di abbattimento del prezioso bestiame, anche a ordinario scopo alimentare per la comunità, potesse presupporre una cerimonia, per quanto semplice e sbrigativa, nel corso di prolungati periodi della nostra preistoria, tenendo infatti presente che, tra il Neolitico Antico e la Prima Età del Ferro, per le popolazioni preistoriche e protostoriche sedentarie sia salentine che bassomurgiane, fonti primarie di sostentamento sarebbero state l'agricoltura e la raccolta di vegetali e frutti spontanei, integrate dalla caccia per gli abitanti dei territori interni e dalla pesca per quelli stabilitisi presso i litorali, insieme all'allevamento di bestiame che in ogni caso si sarebbe sfruttato principalmente nelle risorse rinnovabili come il latte, piuttosto che con la macellazione abituale a scopo alimentare, la quale sarebbe rimasta quindi un avvenimento, se non raro, almeno contenuto ed etnicamente disciplinato.

    È probabile quindi che le aperture o fori passanti nel "dolmen di Santa Croce" e in diversi dolmen salentini ("Scusi", "Peschio", "Montarruni"), i solchi scolpiti lungo i bordi e terminanti in rudimentali "grondaie" laterali ("Peschio", "Quattromacine", "Sferracavallo", "Orfine") o gli incavi ("Scusi", "Quattromacine", "Placa"), siano da collegarsi a un rito sacrificale, comprensivo della restituzione simbolica od omaggio propiziatorio alla "divinità terrestre" o "dea madre terra", di parte del sangue della vittima, che defluiva e gocciolava lungo la scanalatura perimetrale scolpita nella pietra e dalla piccola "grondaia" marginale, o passando direttamente dai fori e colando sul terreno sottostante, oppure raccogliendosi negli incavi da dove era ripreso e offerto dall'officiante.

Ara preistorica di Monte d'Accoddi     Analoga interpretazione si è data dell'altare litico rappresentato da una lastra orizzontale calcarea, come il "dolmen di Santa Croce" poco sollevata dal suolo poggiando su pietre minori, trovata accanto al "tempio" eneolitico sardo di Monte d'Accoddi presso Sassari, sulla quale incavi e perforazioni marginali nella pietra avrebbero avuto ugualmente la funzione di raccogliere o dirigere e restituire alla terra il sangue di vittime sacrificali. L'ara di Monte d'Accoddi ha forma in pianta approssimativamente quadrilatera a lati convessi e angoli arrotondati, misurando circa 320 x 315 x 35 cm.; presenta in posizioni periferiche sulla superficie dieci incavi o "coppelle", alcuni sfocianti in cavità a gomito aperte sui bordi laterali della lastra, le quali, oltre eventualmente a incanalare verso terra il gocciolamento di liquido, sarebbero servite anche a legare le vittime all'altare; questo si riferirebbe a un periodo precedente l'erezione del tempio, ovvero a epoca neolitica recente locale, corrispondente alla cultura di Ozieri, circa 6000 anni dal presente: nel caso del popolamento neolitico di lama Santa Croce quindi, le analogie cultuali e rituali sarebbero più antiche di circa due millenni.

     Presso un'altra civiltà preistorica mediterranea, la presenza di altari megalitici o mediolitici di forma subrettangolare o diversa, destinati al sacrificio cruento di animali e caratterizzati da fori o cavità interpretabili come varchi di colata per il sangue delle vittime, è attestata negli antichi templi dell'arcipelago maltese, dove in vani delle stesse costruzioni megalitiche si sono rinvenute ossa carbonizzate di caprovini e bovini evidentemente sacrificati sul posto, come nei complessi di Mnajdra, Hagar Qim e Tarxien sull'Isola di Malta e di Ggantija sull'Isola di Gozo. L'intervallo cronologico attribuito ai complessi dei templi megalitici maltesi è compreso tra circa 6100 e 4500 anni dal presente, interessando la preistoria locale dal relativo periodo neolitico finale all'eneolitico, anche in questo caso quindi riferendosi a epoca successiva di circa due millenni rispetto agli insediamenti neolitici antichi di lama Santa Croce.

     Le posizioni decentrate delle aperture passanti, o delle "coppelle" e dei solchi scolpiti sulle lastre presumibilmente destinate al sacrificio di animali, indicherebbero come il corpo delle vittime dovesse essere collocato verso il centro dell'altare e di conseguenza con la testa vicina al bordo della tavola litica,  giustificando quindi la predisposizione periferica degli elementi funzionali dell'ara, in corrispondenza del collo dell'animale, che sarebbe stato verosimilmente sgozzato con una lama di selce, ossidiana o metallo. Le dimensioni del "dolmen di Santa Croce", come dell'ara di Monte d'Accoddi e dei dolmen salentini, sono infatti evidentemente compatibili con la corporatura media di caprovini e suini adulti o di giovani vitelli. Si  differenziano i grandi "dolmen" Scusi e Montarruni, che presentano fori passanti in posizioni quasi centrali rispetto ai bordi delle lastre: in questi casi tuttavia, le dimensioni degli altari erano tali da consentire agevolmente il posizionamento di un caprovino di grossa corporatura o altro animale di taglia equivalente da un lato o dall'altro delle cavità e anche di due animali contemporaneamente, con le teste rivolte verso il centro delle lunghe tavole litiche.

     Nello stesso agro di Bisceglie, a distanza di circa un chilometro e mezzo dal "dolmen di Santa Croce", esisteva nell'ambito dell'area cultuale preistorica di Strada Abbazia, sino alla sua assurda distruzione avvenuta il 18 agosto 2006, una interessante ara megalitica lunga circa due metri e mezzo, caratterizzata da una vasca subrettangolare scolpita nella roccia calcarea, sul fondo della quale erano ricavati due incavi cilindrici di diverso diametro che "collegavano" la vasca al terreno sottostante, permettendo il deflusso per gravità di eventuale liquido raccoltovi: anche questo megalite lavorato pertanto, la cui antichità può farsi risalire approssimativamente fra il periodo Eneolitico e l'Età del Bronzo antico locale (circa 5000 - 4000 anni fa, in base all'esame di frammenti ceramici rinvenuti in superficie sul posto dal prof. F. Prelorenzo, che segnalò la scoperta alla locale Soprintendenza Archeologica nel 1987), può essere interpretato come un altare sacrificale per animali, sul quale il corpo della vittima sarebbe stato deposto nella parte sgombra e più ampia della superficie litica, mentre collo e testa si sarebbero trovati in corrispondenza della vasca decentrata.

     Altri "dolmen" con lastra forata sarebbero segnalati anche lungo la fascia geografica mediterranea occidentale che dalla Spagna si estende alle Isole Baleari e alla Sardegna (cfr.: P. Malagrinò, "Monumenti megalitici in Puglia", Schena Editore, Fasano di Brindisi, 1997, pag. 31), databili approssimativamente tra 6000 e 4000 anni fa.Particolare dal sarcofago di Haghia Triada, restaurato Ovviamente più recenti risultano le evidenze iconografiche degli antichi rituali che in area mediterranea, come altrove, prevedevano il sacrificio di animali su tavole litiche più o meno sollevate dal suolo. Per esempio, l'affresco a colori trovato su di un sarcofago litico ad Haghia Triada sull'isola di Creta, risalente a 3400-3100 anni fa, presenta la scena sacrificale di un vitello con il corpo e le zampe legati, posto di fianco sulla tavola di un altare che si eleva per meno di un metro dal suolo e retta da sostegni colonnari lavorati: come officiante è significativamente rappresentata una giovane sacerdotessa con veste elaborata che, apparentemente adoperando due lame rappresentate come prolungamenti dei propri pollici, taglia la carne dell'animale all'altezza dell'anca che gocciola sangue dalle due ferite incise, lineari e parallele, mentre un musico suona uno strumento a fiato come evidentemente uso del cerimoniale e sotto la tavola attendono di essere immolati a loro volta una capra e un montone (un'altra figura del sarcofago mostra due vitellini da latte, probabilmente destinati allo stesso sacrificio, portati in braccio da due uomini uniformemente abbigliati).


     In conclusione, data l'indubbia presenza di notevoli insediamenti del Neolitico antico nelle sue immediate vicinanze, il piccolo "dolmen di Santa Croce" potrebbe rappresentare cronologicamente una delle prime attestazioni di determinate pratiche cultuali e rituali sviluppatesi in area mediterranea, ed eventualmente contribuire anche, come elemento di un complesso non isolato e termine di confronto, allo studio interpretativo di quei megaliti salentini ai quali specialmente somiglia, per essere considerato al contempo come espressione culturale non estranea, anche se non necessariamente coeva, al fenomeno megalitico del Salento, dove la particolare tipologia dolmenica è soprattutto concentrata.

 

Bisceglie 12 novembre 2006

                                               Alfredo Logoluso

La scelta di dedicare una pagina del sito al Signor Logoluso è stato il risultato dell'aver intuito, da subito, quanto Lui poteva offrire in termini di serietà e di passione circa la tutela, valorizzazione e la catalogazione del megalitismo in Puglia.

Non nascondiamo che molte segnalazioni ci giungono da tutto il meridione d'Italia, segnalazioni alle quali, purtroppo, non riusciamo a dare il giusto spazio che vorremmo, essendoci limitati a questa regione d'Italia.

Ma da qui vengono fuori, giustamente, una serie di considerazione:

  • se degli "appassionati volontari" senza alcun sostegno economico istituzionale, danno sfogo alla loro voglia di far conoscere, non è forse per carenza istituzionale di strutture idonee che svolgano "professionalmente" questo compito?

  • se questi monumenti della "nostra" storia sono continuamente in pericolo d'estinzione, non è forse colpa/merito del non aver capito il loro valore in termini cultural/storici?

  • forse non si è capito (anche a causa dell'enormità di beni culturali presenti sul territorio nazionale) il valore economico che questi "nostri" monumenti possono generare.

A noi piacerebbe che qualche politico/amministratore facesse un giro per l'Europa, ad osservare come in altri luoghi per poter ammirare il raro fenomeno del megalitismo bisogna sobbarcarsi centinaia di chilometri, mentre qui da noi il fenomeno, che è molto esteso, non viene quasi per nulla apprezzato, rischiando, come detto dianzi, l'estinzione "per incuria".

Grazie Signor Alfredo, e grazie a tutti quelli che usano la loro passione, la loro voce, in difesa della nostra cultura, delle nostre radici, della nostra storia.

lo staff redazionale di www.pinodenuzzo.com

 
 
 

Ultimo aggiornamento

31 gennaio 2007  

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