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CELESTINO V

IL PONTEFICE
CHE FUGGI' DAL TRONO DI S. PIETRO

di MATTEO F. M. SOMMARUGA

 

 

 La storia poco nota di un papa del XIII sec., travolto dalle lotte per il potere fra i cardinali del Vaticano.

Nella "Commedia" Alighieri lo accusò di "viltade"

Di tutti i diciotto pontificati che si susseguirono nel XIII secolo, quello di Celestino V, pur di soli cinque mesi, non fu il meno durevole. Neppure risultò essere il più infruttuoso, perché, durante il suo breve regno, vennero creati tredici cardinali. Tanti quanti ricevettero l'alta carica nei quattordici anni di pontificato di Gregorio IX, e solo due in meno dei

quindici cardinali scelti durante quello ancor più significativo di Bonifacio VIII. Celestino V fu però l'unico, fra i sommi pontefici di quel periodo, uno dei più travagliati e densi di avvenimenti per la lunga storia della Chiesa, a venire canonizzato. Confermando in questo modo una delle tante leggende che, per quanto possano essere nate nel fervido immaginario dell'agiografia, contribuirono alla notorietà della sua singolare figura. La tradizione vuole infatti che un giorno la madre avesse chiesto chi, fra i propri figli, sarebbe diventato santo. Il futuro Celestino V, non ancora ragazzo, senza esitazione, esclamò: "Io, mamma! Io diventerò santo". Il fanciullo si chiamava in realtà Pietro ed era l'undicesimo dei dodici figli di una famiglia di modeste origini.
Il padre, Angelerio, era un povero contadino e la madre, Maria, divenuta vedova poco dopo il parto dell'ultimogenito, dovette affrontare non pochi sacrifici per crescere la numerosa famiglia. Nonostante le ristrettezze, fu però in grado, per la stessa testimonianza del santo, di educare i figli nella devozione di Dio. La figura paterna rimane invece piuttosto vaga sia nelle abbondanti fonti agiografiche che nelle memorie del papa. Probabilmente da Angelerio ricevette solo il cognome, Angeleri, spesso associato al nome di battesimo, frutto dell'inventiva degli araldisti pontifici. Nel XIII secolo l'uso del cognome era infatti ancora raro, se non nelle città, e anche in quei casi limitatamente alla poche famiglie che avevano accesso a cariche pubbliche o fossero soggette a censo. Dal momento che il soglio pontificio era solitamente riservato ai rappresentanti delle grandi famiglie aristocratiche italiane, la tradizione ha forse scelto di nobilitare in questo modo le origini di Celestino. Il quale non fu però l'unico, fra i sommi pontefici dell'epoca, a essere stato privato della nascita in un nobile casato. Urbano IV, che regnò dal 1261 al 1264, era infatti il figlio di un ciabattino francese, così come di umile estrazione era Nicola IV.

Certo non era una situazione comune, ma se Celestino V si distinse in questo senso dai suoi predecessori, e soprattutto da coloro che lo seguirono, fu per la totale assenza di riscontri che avrebbero potuto autorizzare l'uso di uno stemma gentilizio. Nonostante la pratica venne istituzionalizzata solo da Urbano VIII. Esistono però alcuni documenti che consentono di fissare, pur approssimativamente, la nascita di Pietro Angeleri fra il 1210 e il 1215, nelle vicinanze di Isernia, negli Abruzzi, all'epoca dipendente dalla corona di Napoli. Non si ha notizia di avvenimenti di particolare rilievo occorsi durante la fanciullezza del santo, e molti dei suoi più autorevoli biografi preferiscono concentrarsi sugli anni seguenti alla vocazione religiosa. La quale non fu eccessivamente prematura, né tarda, ma piuttosto conforme con le usanze dell'epoca. Pietro aveva comunque già rivelato un carattere schivo, amante della quiete e della solitudine. Il che, per i fratelli, era piuttosto sintomo di propensione verso l'ozio e la pigrizia. Essendo oltretutto apparentemente più preoccupato alla salvezza della propria anima che alle fatiche dei lavori manuali. Aveva diciassette anni quando, accolto dal monastero di Santa Maria in Faifoli, a Montagano, attualmente in provincia di Campobasso, ricevette il saio dell'ordine dei Benedettini.

Faifoli era in effetti il nome della località dove un gruppo di frati provenienti dalla congregazione di Santa Sofia di Benevento decisero di fondare una nuova comunità, probabilmente prima del 1134. Abbarbicato sulle montagne del Sannio e circondato dalle foreste che si arrampicavano tutt'intorno, il monastero doveva offrire al giovane religioso un paesaggio suggestivo, conforme con i suoi bisogni spirituali. La regola benedettina, di cui è giunta fino ai giorni nostri una probabile versione autografa, conservata a Oxford, vantava già circa settecento anni di storia e si era rapidamente diffusa in tutt'Europa. L'origine dell'ordine risaliva infatti, con buona approssimazione, al 530, con la fondazione del monastero di Monte Cassino per opera di San Benedetto di Nursia. Mentre lo stesso Benedetto era ancora in vita, sorsero, non distanti da Cassino, altre quattordici comunità che si ispiravano alla condotta del santo, ma fu solo per opera di San Gregorio che l'ordine trovò la propria identità. Nel corso dei secoli l'impostazione originaria aveva seguito una lenta trasformazione, pur mantenendo lo spirito originario e avendo attraversato alcuni periodi di crisi, ma è forse un segno del destino se i benedettini furono direttamente coinvolti da quanto stabilito nel corso del Quarto Concilio Lateranense.

Tenutosi nel 1215, l'anno più probabile per la nascita di Pietro Angeleri. Il dodicesimo canone del concilio decretò infatti, influenzando radicalmente la futura storia dell'ordine fino ai giorni nostri, che tutti i monasteri venissero raggruppati in congregazioni, sulla base delle province ecclesiastiche di appartenenza. A capo di ogni congregazione sarebbe stato scelto, ogni tre anni, e per elezione degli stessi monaci, un priore, il quale avrebbe potuto esercitare una certa autorità, pur nel limite del rispetto dell'autorità del padre abate delle singole comunità. Se, almeno nei primi anni venne rispettato quasi esclusivamente in Italia, il decreto rivelava la necessità di stabilire una precisa gerarchia all'interno di un ordine, come quello benedettino, che alla morte di Celestino V poteva contare circa 37.000 monasteri. Un numero considerevole perfino all'interno di un tessuto sociale profondamente coinvolto dai problemi spirituali. Così come ne era preoccupato il giovane Pietro, il quale, trascorsi tre anni di preghiera a Santa Maria, fino al dicembre del 1534, sentì ancora più forte la propria vocazione spirituale. Sarebbe diventato un eremita, scegliendo la strada che gli avrebbe assicurato uno spazio di assoluto rilievo all'interno della storia della Chiesa e, forse, anche europea.
La pratica di una vita dedicata interamente alla preghiera e lontana dal mondo, sebbene non più tanto diffusa come durante i primi secoli del cristianesimo, poteva però essere seguita solo per dispensa papale e il giovane monaco decise di presentare la propria richiesta intraprendendo, a piedi, il cammino per Roma. Sul soglio pontificio sedeva allora Gregorio IX, eletto alla suprema carica nel 1227 ed erede di una delle più illustre casate italiane. Il papa, il cui nome secolare era Ugolino, conte di Segni, era infatti il nipote di Innocenzo III e si stava già distinguendo per il vigore con cui sosteneva il contrasto fra l'autorità ecclesiastica e quella imperiale. Un carattere molto distante dalla figura di Celestino V (questo papa fu promotore delle crociate contro gli albigesi e acerrimo nemico di Federico II di Svevia), ma al cospetto di Gregorio IX padre Pietro Angeleri era solo un semplice monaco particolarmente devoto.

E il pontefice accolse volentieri la richiesta del giovane benedettino. Il quale a Roma arrivò soltanto nel 1238, perché, durante il suo viaggio, si fermò prima, per un breve periodo, in una grotta nei pressi di Castel di Sangro, e successivamente, per una lunga penitenza di tre anni, a Palena, dove sarebbe sorto l'eremo della Madonna dell'Altare, uno dei luoghi più significativi del culto di San Celestino. Il santuario, tuttora esistente, è collocato sulle falde del Monte Porrara, in una posizione angusta dalla quale è possibile dominare l'intera vallata circostante. La tradizione vuole che, ricevuti a Roma gli ordini religiosi nel 1538 e tornato sui propri passi, il futuro pontefice abbia avuto proprio a Palena l'importante visione della Vergine Maria. Uno dei tanti episodi in grado di sottolineare la profonda fede del monaco, probabilmente determinante per la sua stessa carriera ecclesiastica. La Madonna avrebbe infatti sconsigliato Pietro di chiedere la dispensa dalla celebrazione della Messa. Era il 1541, e il giovane benedettino si diresse allora, nel suo lungo pellegrinaggio, fino a Sulmona.

Da dove, ritiratosi sulle pendici del monte Morrone, una vetta di circa 2100 metri nel massiccio della Maiella, iniziò a diffondersi la fama della santità del futuro papa. Una fama unita a un particolare carisma, che gli permise di raccogliere intorno a sè i primi discepoli. Devoto al culto di Maria e preso a modello San Giovanni Battista, l'immagine di Celestino V tramandataci da alcune testimonianze dell'epoca è piuttosto drammatica. Si racconta che, ricoperto da un abito reso duro dal numero elevato di nodi, una catena di ferro intorno al suo corpo emaciato, digiunasse ogni giorno, fatta eccezione per la domenica, che dedicava interamente alle preghiere. Inoltre sembra che osservasse quattro quaresime all'anno, per tre delle quali si nutriva di pane e acqua, riservando una buona parte delle notti alla preghiera. Se la pratica consentì a Pietro di purificare la propria anima, non gli permise però di soddisfare la costante necessità di solitudine. Impressionati dalla sua condotta, in breve tempo si unirono a lui centinaia di penitenti, al punto che nel 1264 papa Urbano IV, il figlio del calzolaio, scelse di riconoscere l'ordine dei suoi seguaci, pur sempre un ramo dei benedettini.
Più tardi indicata con il nome dei Celestini, la congregazione venne in un primo tempo riconosciuta come la comunità degli Eremiti di San Damiano. Sopravvissuto fino al 1807, soppresso per via delle vicissitudini legate alle guerre napoleoniche, la regola dell'ordine venne però approvata definitivamente da Gregorio X, durante il Concilio di Lione, nel 1273. Al secolo Teobaldo Visconti, nativo di Piacenza, Gregorio X fu in realtà un abile diplomatico,

che dovette la tiara più al successo delle proprie missioni all'estero, legato pontificio presso le corti europee, piuttosto che per le proprie attitudini spirituali. Fu però il primo a intravedere, nella figura di Pietro da Morrone, come era ormai chiamato il monaco benedettino, le caratteristiche di una guida, seppur limitatamente all'ambito morale, per l'intera comunità ecclesiastica. Non è da escludere che l'interesse del pontefice verso le pratiche del religioso abbruzzese fosse motivato dal tentativo di riportare l'armonia all'interno della Chiesa, la cui unità, specialmente in quegli anni, era troppo spesso minacciata da gravi dissidi interni. Nella maggior parte dei casi sostenuti dagli interessi contrastanti delle dinastie italiane ed europee.

Nel 1276, dopo cinque intensi anni di regno, Gregorio X passò a miglior vita. Questi era stato eletto dopo tre anni di interregno, durante il quale il concilio dei cardinali, riunitisi a Viterbo, aveva trovato una difficile soluzione di compromesso fra le richieste degli Angioini, del re di Francia e le continue pressioni dell'Imperatore. Una situazione analoga si sarebbe ripresentata di lì a poco. Nello stesso anno della morte del Visconti, si succedettero, nel giro di pochi mesi, altri tre papi, Innocenzo V, Adriano V e Giovanni XXI, il quale sarebbe morto nel 1277. La stabilità del potere pontificio sembrò comunque venire restaurata dall'elezione di Giovanni Gaetani Orsini, Niccolò III, divenuto cardinale a soli 28 anni e personalità complessa quanto influente. Anch'egli raggiunse però la più alta carica della Chiesa dopo sei mesi di interregno e dovette a lungo confrontarsi con l'ingerenza del Regno di Napoli. Anticipando, in questo modo, i contrasti fra la famiglia Gaetani e gli Angioini, più tardi decisivi per l'andamento della breve parabola di Celestino V. Seguirono il francese Martino IV, Onorio IV, appartenente all'importante famiglia romana dei Savelli, pronipote di Onorio III, e anch'esso vivamente coinvolto dalle sorti della dinastia Angioina.
Niccolò IV, l'immediato successore di Onorio IV, salì al trono nel 1288 e vi rimase per quattro anni. Il primo papa proveniente dall'ordine francescano, scompaginò la politica di alleanze negli anni precedenti e, appoggiando questa volta gli Angioini, la Chiesa aprì il confronto con gli Aragona, che, secondo quanto stabilito da Onorio IV, erano stati fino ad allora riconosciuti come i legittimi sovrani del Regno di Sicilia. Le decisioni di Niccolò IV furono però probabilmente influenzati dal potere, a Roma pressoché incontrastato, della famiglia Colonna. In quello stesso periodo, mentre sul soglio pontificio si prendeva attivamente parte agli equilibri geopolitici dell'Europa e, in misura più limitata, del Medio Oriente, Pietro di Morrone perseguiva con altrettanta determinazione la regola che si era imposto. Le sue responsabilità, a capo dell'ordine che aveva creato, non gli permettevano più di dedicarsi a una vita fatta esclusivamente di preghiere, penitenze e digiuni. E difatti concentrò la propria attenzione nello sviluppo delle comunità monastiche sorte nella zona della Maiella.

Solo nei pressi di Sulmona si contavano ormai sedici fra chiese e dipendenze, e, fra il 1276 e il 1278, ritornò a Santa Maria in Faifoli, assumendo la carica di abate. L'animo inquieto che lo accompagnava, non gli permise di rimanervi a lungo e, dopo brevi soggiorni a Apricena, a Roma e in Toscana, prese la decisione di costruire una grande basilica consacrata alla Vergine Maria. Il progetto, tuttora la più grande basilica negli Abruzzi, prese forma nella località di Collemaggio, all'Aquila. Probabilmente Pietro di Morrone aveva individuato il sito durante il ritorno dal viaggio a Lione, dove, bisogna ricordare, Gregorio X aveva approvato la regola del suo ordine. La tradizione agiografica aggiunge che in quel luogo passò una notte e la Madonna, apparsagli in sogno, abbia espressamente voluto la costruzione della chiesa. Il 25 agosto del 1288 la costruzione fu ultimata, mentre sulle falde del Morrone, la piccola costruzione che lo aveva inizialmente accolto aveva assunto le dimensioni di un monastero e il ruolo della casa madre della comunità. E fu proprio nell'eremo del Morrone che Pietro ricevette, ormai avviato verso una tranquilla vecchiaia, l'imprevista visita di Carlo II d'Angiò, re di Napoli.

Un incontro che avrebbe inaspettatamente mutato il destino del sant'uomo. Niccolò IV era deceduto nel 1292, aprendo la strada a uno dei più lunghi conclavi che la storia ricordi. Per due anni e quattro mesi, i cardinali, riunitisi in concilio a Perugia, non riuscirono a trovare un accordo. Sei di loro erano romani, quattro italiani e due francesi. Gli italiani erano fra loro divisi fra la fazione guelfa e quella ghibellina, esistente perfino in seno alla Chiesa; l'unità dei delegati romani era similmente minacciata dalla lunga lotta fra Colonna e Orsini. Questi ultimi legati, come si è visto, da un rapporto di parentela con i Gaetani e nemici dichiarati degli Angioini. I Gaetani godevano però di buoni rapporti con gli stessi Colonna, i quali, almeno attraverso il pontificato di Niccolò IV, avevano dimostrato la propria ostilità verso gli Aragonesi e la casa regnante di Palermo. I francesi cercavano invece di influenzare il concilio in maniera tale che l'elezione del nuovo papa accrescesse l'influenza del proprio sovrano. Oltretutto Carlo II d'Angiò era determinato a riconquistare la Sicilia. Solo dopo un'attenta valutazione dei danni che la mancanza di un'autorità centrale avrebbe comportato per il prestigio, e il potere, della Chiesa, il cardinale Latino Orsini intervenne allora accennando a uno strano sogno.

Il sogno era stato compiuto da Pietro da Morrone, cui il Signore aveva rivelato che, se il concilio non avesse trovato un accordo nel giro di quattro mesi, sulla stessa Chiesa si sarebbe abbattuta l'ira divina. Il monaco era con tutta probabilità sinceramente preoccupato dal lungo interregno e il concilio, commosso dalle sue parole, decise allora che Pietro, l'eremita, sarebbe divenuto Papa. Una singolare delegazione, guidata per l'appunto da Carlo II di Napoli e dal figlio Carlo Martello, nominalmente Re d'Ungheria, raggiunse Morrone il 22 luglio. Il conclave aveva già pronunciato l'elezione il 5 luglio. La reazione di Pietro fu senza dubbio stravagante, almeno agli occhi di una curia i cui principali esponenti sarebbero stati disposti a ricorrere a ogni mezzo pur di assurgere agli stessi onori. In un primo tempo cercò di fuggire, ma, dopo ore di angoscia e di ripensamenti, accolse il pesante fardello che gli era stato offerto. Paradossalmente fu invece l'unico, fra i pontefici, a venire incoronato più volte. Dal momento che Pietro, ora papa Celestino V, si rifiutò di recarsi presso il conclave, ancora riunito a Perugia, invitando piuttosto i cardinali a incontrarlo all'Aquila.
La città, sulla frontiera con lo stato pontificio, era difatti sotto il dominio della corona di Napoli e, con questo atto, Pietro di Morrone dimostrava la propria riconoscenza verso Carlo II d'Angiò e, al contempo, un incauto disinteresse verso l'indipendenza politica della Chiesa. Solo tre cardinali giunsero all'Aquila nei tempi stabiliti, ma all'incoronazione non mancarono i due Re, padre e figlio, della dinastia Angioina. Il cardinal Gaetani, nipote di Niccolò III e futuro Bonifacio VIII, fu l'ultimo a riconoscere, seppur con riluttanza, l'autorità del nuovo pontefice. I dissapori fra Celestino V e il patriziato romano furono però ancora più evidenti quando, anziché prendere la strada dell'Urbe, il papa preferì seguire il consiglio di Carlo II e trasferire la curia a Napoli. Oltretutto nominando, attraverso una speciale bolla, e in un lasso di tempo eccezionalmente breve, tredici nuovi cardinali, sette dei quali francesi e sei napoletani. Un gesto sconsiderato, perlomeno agli occhi delle alte sfere ecclesiastiche, che avrebbe posto le premesse per il Grande Scisma e l'esilio ad Avignone. Giunto a Napoli e stabilitosi a Castel Nuovo, si fece allestire una piccola cella, sul modello di quella in cui viveva sul Morrone.

Se l'organizzazione della curia, in seguito a risoluzioni tanto improvvise e imprevedibili, era ormai nel più totale disastro, i cinque mesi del regno di Celestino V videro il nuovo papa febbrilmente impegnato nel tentativo di riformare la Chiesa. Particolarmente significativa fu la bolla del 10 dicembre 1294, emessa solo tre giorni prima della sua deposizione, in cui si stabilivano i criteri per l'elezione del pontefice: per acclamazione, in seguito alla pubblica proposta di uno o più cardinali, per compromesso o per un ballottaggio segreto che richiedesse la maggioranza dei due terzi degli aventi diritto al voto. Quest'ultimo principio è peraltro rimasto in vigore fino ai giorni nostri, mentre i primi due furono aboliti solo nel 1996, per volere di Giovanni Paolo II. I nemici che il monaco si era creato con le proprie singolari decisioni erano però tanti e, tali, che, costantemente in preda ai rimorsi per essere assurto a una carica di cui non si ritenne mai degno, Celestino V scelse ufficialmente la strada dell'esilio. Il cardinal Gaetani, il maggiore artefice delle insolite dimissioni, avvallò l'idea sostenendone la validità teologica.

Se un papa possa o meno abdicare non è in effetti un argomento tanto singolare. Se ne è discusso recentemente, in seguito alle precarie condizioni di salute di Giovanni Paolo II, e l'episodio di Celestino V aveva già degli antecedenti nella storia della Chiesa. Clemente I, il terzo, dopo Pietro, a divenire vescovo di Roma, rinunciò al soglio nell'anno 97, così come Ponziano, nel 235, per permettere a un successore di prendere il suo posto, mentre veniva deportato in Sardegna per ordine di Massimino di Tracia. Infine Benedetto IX, nel 1045, il quale oltretutto riprese il suo posto in un secondo tempo. E, con l'eccezione di quest'ultimo, tutti gli altri papi "dimissionari" vennero canonizzati. Il 13 dicembre del 1294 terminò il breve regno di Celestino V, il 24 dicembre il cardinal Gaetani sarebbe diventato il nuovo papa. Costui, assunto il nome di Bonifacio VIII, sarebbe passato alla storia per l'energia con cui fronteggiò Filippo IV di Francia, ma dimostrò altrettanto vigore nei confronti di Pietro da Morrone. Il quale venne condotto a Roma con la forza, benché il suo unico desiderio fosse quello di tornare sulla Maiella e alle pratiche eremitiche.
Bonifacio vedeva nel papa deposto un potenziale nemico, specie se gli Angioini o i francesi avessero saputo approfittare di quella strana situazione. Nonostante l'attenta custodia cui era stato sottoposto, il vecchio uomo, aveva ormai quasi ottantanni, riuscì a raggiungere San Germano e la Maiella. Il pontefice emise allora l'ordine di arresto, e Celestino V condusse per diversi mesi una precaria esistenza da fuggiasco. In ultimo venne catturato, mentre cercava di raggiungere la Grecia via mare. Il verdetto di Bonifacio VIII non ebbe pietà per l'eremita e lo fece rinchiudere nella fortezza del monte Fumone, nei pressi di Anagni. Dove Pietro da Morrone, in odore di santità, passò a miglior vita il 19 maggio del 1296. Alcuni sostengono che la morte fosse stata anticipata per espresso ordine del Gaetani, ma, per quanto brutale possa essere stato il trattamento riservato all'umile frate, tale ipotesi non è stata finora avvalorata. Riabilitato, nel 1313 Celestino V venne canonizzato da papa Clemente V. Le sue spoglie sono tuttora custodite all'Aquila, nella chiesa che lui stesso volle erigere. La ricorrenza di San Pietro Celestino è celebrata il 19 maggio.

tratto da: http://www.storiain.net/arret/num88/artic6.asp

 

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Ultimo aggiornamento:

 29 ottobre 2006