Sei nel sito dell'architetto Pino De Nuzzo - You are in the site of architect Pino De Nuzzo - Vous êtes dans l'emplacement de l'architecte Pino De Nuzzo - usted está en el sitio del arquitecto Pino De Nuzzo - sie sind im aufstellungsort des architekten Pino De Nuzzo

 

Home page

generale

                                    

Home page controstoria

 

L'archeologia

Archeologia proibita

MU

La Sfinge di Gavea
Le leggi dei Sumeri

I Messapi

 

Religioni & Spiritualità

Come nacque la Bibbia

I Dieci Comandamenti

Il mito dei Magi

Come vennero tramandati i vangeli?

Maria nei Vangeli e nei Dogmi

il discepolo senza nome

Leggenda e storia delle 7 sorelle

 

Il Risorgimento

GIUSEPPE GARIBALDI

nascita di una colonia

I NOVANTA GIORNI

DI GARIBALDI IN SICILIA

I MILLE 

La banda del Matese

Storie di briganti salentini

 

Personaggi

Galileo Galilei

Giordano Bruno

Celestino V

Giuseppe da Copertino

Quintino  Venneri

Achille Starace

Nikola Tesla

Edgar Cayce

Silvio Berlusconi

Negroponte

 

La storia negata

L’Abbazia di San Nicola di  Casole

Gli Ottocento Martiri di Otranto

La Comune sconosciuta

Kronstadt

Protocolli dei savi di Sion

1964

Golpe in Italia

Piazza Fontana

Il golpe Borghese

Le origini occultiste del Partito Nazista

Agitazioni a Gallipoli dal 1880-1890

 

Misteri, oggetti & co.

Il mosaico pavimentale della cattedrale di Otranto

L'arca dell'Alleanza

I TEMPLARI

La Sindone

La storia del Graal  

La macchina del tempo
La famiglia Bush, la mafia cubana
e l’omicidio di Kennedy

L'isola che non c'è

 

Varie & modernità

GLI INDIANI D'AMERICA

Lettera di Capo Seathl

Guernica:

la verità e

le menzogne

Un secolo di aggressioni

IL P.N.A.C. USA

11 settembre 2001

Lo Tsunami asiatico

Fallujah:  la strage nascosta

Kankropoli

La donna e il femminismo

L'ipotesi B

Forza Mafia

Aviaria

La frottola degli attentati con l'esplosivo liquido

 

 

Società operaie nel Mezzogiorno d'Italia

 

 

Agitazioni a Gallipoli

nel decennio 1880-1890

 

 

 

     

Il presente saggio è nato dall’esigenza di fornire al lettore la conoscenza di come si evolvono, in un determinato periodo storico, i comportamenti sociali di una classe che per millenni ha subito l’egemonia di altre classi.

Esso rientra nel campo dell’"antropologia socioculturale", poiché, prendendo in esame un campo d’indagine "fluido", si rivolge allo studio di determinati comportamenti, degli istituti e delle tecniche di un ceto che bramava ardentemente di emanciparsi.

Siamo di fronte a masse di operai, un mondo disgregato, a cui la legislazione borghese negava quasi ogni diritto, anche quello di associarsi: una classe collocata al margine della vita politica e culturale, esclusa dal banchetto economico e sottoposta a una dura vessazione finanziaria ai limiti del latrocinio. Questa gente rappresentava l’"altra umanità", la massa dei proletari urbani, buoni da sfruttare nelle fabbriche, indispensabili da impiegare come carne da macello nelle guerre coloniali, un’umanità diversa in tutto, persino nel vestire, che nell’associazionismo trovò l’unico mezzo per difendere i propri diritti.

 

 

 

Le società operaie, composte di artigiani e di operai, ma dirette da elementi borghesi che ne facevano parte in qualità di "soci onorari", avevano avuto prima del 1859

uno sviluppo notevole nel Regno sardo, dove avevano potuto usufruire della libertà di associazione concessa dallo Statuto di Carlo Alberto. Esse si dedicavano principalmente al mutuo soccorso, all’istruzione dei lavoratori e allo studio dei mezzi per migliorare le condizioni di lavoro. I borghesi che le dirigevano erano in maggioranza moderati e liberali progressisti; solo a Genova ed in qualche altra località erano mazziniani. Comunque erano tutti più o meno ostili al socialismo e all’idea di lotta di classe; perciò le società operaie rimasero generalmente estranee alle agitazioni e agli scioperi, che pure vi furono qua e là nel decennio 1849-59 per effetto di movimenti spontanei. Inoltre la prevalenza dei moderati mantenne le società estranee alla politica, nonostante la pressione dei democratici in senso contrario. Tuttavia le società operaie nel Regno sardo si collegarono tra loro e tennero tra il ’53 e il ’59 sette congressi, nei quali furono posti vari problemi, generali, come quelli degli orari di lavoro e dell’istruzione obbligatoria.

Dopo l’Unità la diffusione delle società operaie si intensificò rapidamente in gran parte d’Italia. Secondo una statistica relativa al 1862 già alla fine di quell’anno esistevano in Italia 445 società operaie, concentrate soprattutto nelle regioni settentrionali e centrali; solo 30 di esse erano state fondate nel Mezzogiorno e nelle isole. La stessa statistica dava i seguenti dati relativi a 408 società: 121.635 soci, dei quali 10.198 donne e 10.198 soci "onorari" (cioè benefattori o patroni politici borghesi), e un patrimonio complessivo di 2. 715.748 lire1. Dieci anni dopo il numero delle società era salito, secondo alcuni a 1.146, secondo altri a 1.345; gli iscritti erano 218.822, dei quali 20.956 donne; i soci onorari erano valutati tra l’8 e il 10% del totale; il patrimonio complessivo era di circa 10 milioni di lire2. Il loro numero era aumentato nel Mezzogiorno, dove, tra il ’65 e il ’70, ne furono fondate 41.

La maggior parte delle società continuava a dedicarsi esclusivamente al mutuo soccorso, ma alcune avevano istituito cooperative di consumo ed anche di produzione; mentre altre avevano più o meno appoggiato scioperi e tendevano quindi ad anteporre la resistenza al mutuo soccorso.

Il distacco tra queste due attività si verificò tra il 1870 ed il 1890. Il mutualismo infatti tendeva ad uscire dalle forme primitive di assistenza semicaritativa per assumere sempre più un carattere previdenziale, che richiedeva calcoli complessi, mezzi finanziari adeguati e stabilità organizzativa. Divenne pertanto praticamente impossibile per le società che volevano continuare a dare impulso ad esso occuparsi contemporaneamente della resistenza e si pose d’altra parte l’esigenza dell’intervento dello Stato nel campo della previdenza, che diede luogo, soprattutto dopo il 1880, a continue discussioni collegate con i primi lenti e timidi passi della legislazione sociale italiana. La resistenza invece aveva bisogno di organismi di lotta, guidati da uomini disposti ad affrontare rischi personali non lievi, data la severa e rigida legislazione allora vigente e più ancora la mentalità prevalente negli ambienti padronali e fra le autorità governative. Questi organismi furono appunto le Società o Leghe di resistenza, primi nuclei di movimento sindacale, per le cui origini gli anni 1870-71 segnarono un momento molto importante3.

 

 

A Gallipoli, splendida città marinara, onusta di glorie patrie, importante centro commerciale per l’olio e per il vino, sede di un numeroso proletariato operaio composto di bottai e portuali, già il 4 dicembre 1865 era stata fondata, ad opera dell’insigne medico, letterato, e patriota mazziniano, Emanuele Barba, la Società Operaia di mutuo soccorso ed Istruzione4, della quale fu segretario perpetuo e per la quale compilò lo Statuto ed il Regolamento che furono approvati il 25 dicembre 1866.

Lo Statuto, elaborato dal Barba, ricalcava quello approvato dall’undicesimo Congresso delle società operaie, riunito a Napoli nell’ottobre ’64, ispirato sostanzialmente alle idee del Mazzini e al quale fu dato il nome di Atto di fratellanza delle società operaie italiani5.

Questa Società, a Gallipoli, nei primi anni fu tenuta dai suoi dirigenti al di fuori di ogni influenza politica: essa si interessò, soprattutto, del miglioramento delle condizioni economiche, dell’assistenza e dell’istruzione degli operai e delle loro famiglie.

Il 28 novembre 1865, su proposta del Consigliere comunale Emanuele Barba, l’Amministrazione Municipale aveva dotato il Monte dei projetti, che provvedeva ad accogliere i bambini abbandonati e ad assisterli, per mezzo di una balia, fino all’età di quattro anni, dì "un servizio speciale per trovatelli", destinando alle loro cure un medico che percepiva lo stipendio annuo di L. 2506.

Grazie all’impegno ed alle continue sollecitazioni della Società Operaia, il Consiglio comunale, il 25 giugno 1867, decise l’istituzione in Gallipoli di un Monte di Pegni, con lo scopo di venire incontro alle necessità delle classi meno abbienti e per cercare di combattere l’usura7. Lo Statuto organico del Monte di Pegni venne approvato dal Consiglio comunale il 21 gennaio 18698 e dalla Prefettura di Lecce il 24 aprile 1869; Vittorio Emanuele II lo elevò a Corpo Morale con Decreto Regio del 21 giugno 18699.

Nel 1868 fu istituito anche il Ricovero di Mendicità e di Vecchiaia10 che fu affidato alla gestione della Congregazione di Carità.

Furono aperte Scuole serali e festive per adulti dirette da Emanuele Barba e frequentate da centinaia di operai ed artigiani11. Molti ragazzi di famiglie del popolo frequentarono la Scuola di musica diretta dal maestro Michele Panico che fondò a Gallipoli una famosa Fanfara.

Nel 1865 iniziò a funzionare anche un Asilo infantile12 che raccoglieva circa 80 bambini di famiglie povere, con lo scopo "di sottrarre i bimbi del proletariato ed i proietti da tanti pericoli corporali di cui ne è derivazione l’abbandono sulla pubblica via e nel tugurio, e di mondarli dal morboso sudiciume a cui tengono dietro per naturale conseguenza le malattie, e massimamente a sanarli e mondarli dalla corruzione morale ed instillare elementi di umana e sociale virtù, abito di nettezza e d’ordine, sentimento di benevolenza al prossimo, amor di Patria, rispetto alla Religione, riconoscenza ai benefattori, ed inspirare, sin dalla prima età, orrore al vizio"13.

Il Barba, nel 1868, organizzò, assieme al maestro elementare Nicola Cataldi, nipote del defunto ed omonimo Canonico, anche una Compagnia Filodrammatica degli operai della quale fu direttore14.

Negli anni ’70, specie nel Mezzogiorno, si verificarono da parte delle società operaie numerose agitazioni e proteste, spesso con l’intervento della truppa armata, motivate dai bassi salari, dai duri regolamenti di fabbrica, dai pesantissimi orari di lavoro, dai balzelli comunali, dal carovita causato dal rialzo generale dei prezzi avvenuto in quegli anni.

Pertanto l’intensificazione delle agitazioni e degli scioperi fu in sostanza un mezzo con cui una parte almeno della classe operaia cercò di reagire, in modo spontaneo, spesso disordinato, e quindi inadeguato, alla politica economica della classe dominante, che aveva determinato un peggioramento delle già dure condizioni di vita dei lavoratori.

 

 

Fu in questa atmosfera di acuita tensione sociale che si attuò la svolta ideologica in senso rivoluzionario e socialista di quella parte del movimento operaio che era influenzato dalle correnti politiche di sinistra.

Verso l’inizio degli anni ’80, a Gallipoli, si guardò con attenzione da parte delle masse operaie più colte e degli artigiani alle idee libertarie dei seguaci di Carlo Pisacane, Giuseppe Fanelli, Carlo Gambuzzi, Raffaele Mileti, democratici non mazziniani, fondatori dell’associazione Libertà e giustizia che predicava l’emancipazione del lavoro dal "servaggio sociale al dispotismo della terra e del capitale per mezzo dell’istruzione e dell’associazione proletaria", e che raccomandava agli operai di non aspettare "nulla dalla provvidenza del governo, anche se fosse repubblicano", e così pure "dai capitalisti, dai banchieri e dai redditieri", e di convincersi che il segreto della loro redenzione era nelle loro mani. Li incitava quindi a formare delle associazioni non "meramente negative o passive, siccome lo sono quelle dette di mutuo soccorso e che meglio si chiamerebbero delle disgrazie", ma "positive ed attive", capaci di trasformarsi in "associazioni cooperative di produzione e di credito al lavoro" e di collegarsi tra loro15.

Così a Gallipoli, affianco alla Società operaia di muto soccorso ‘Pensiero ed Azione’, sorsero la Società Cooperativa dei Bottai, la Società Cooperativa di Costruzione e Produzione (composta di falegnami, fabbri e muratori), la Società Cooperativa dei Calzolai, la Società Democratica Artigiana, che iniziarono ad operare di comune accordo

La categoria dei bottai era la più numerosa e la più dinamica: nelle numerose fabbriche di bottame esistenti in Gallipoli lavoravano, nei periodi di prosperità economica, oltre 400 operai che fabbricavano fusti che servivano per l’esportazione dell’olio, del vino e, vuoti, per essere venduti in località italiane e straniere come Spagna, Grecia e le Isole Ionie16. Nel porto, che dava lavoro a quasi 500 facchini (bastagi), giungevano navi da ogni parte d’Italia e d’Europa per caricare specie l’olio che, nelle annate buone, si produceva abbondantemente nella Penisola salentina e che era trattato da importanti Case commerciali17.

A partire dall’inizio degli anni Ottanta e per tutto il decennio, nel Salento, si era verificata una grave crisi economica determinata da una serie concomitante di fattori: la mosca olearia e le cattive condizioni atmosferiche avevano in alcune annate distrutto il raccolto delle olive; a ciò si deve aggiungere la caduta dei prezzi dell’olio sui mercati internazionali. Si era anche verificato un ristagno dell’esportazione del vino da taglio verso la Francia che cessò completamente di importare il nostro prodotto nel 1888 a causa della rottura dei trattati di commercio con l’Italia.

Questa crisi, che prostrò l’economia gallipolina, iniziò a manifestare i suoi deleteri effetti sin dal 1882, ripercuotendosi negativamente, in particolar modo, sull’industria di bottame, causando enorme disagio tra la categoria di operai addetta a questa produzione che entrò ben presto in agitazione.

La Società Cooperativa dei Bottai, il 7 gennaio 1882, inviò un’urgente richiesta di lavoro, firmata da 600 bottai ai quali si erano aggiunti numerosi facchini del porto, al Prefetto di Lecce18. Quest’ultimo chiese notizie al Sottoprefetto di Gallipoli che lo informò che "i bottai erano in agitazione per le loro disagiate condizioni economiche a causa della disoccupazione". Comunicava che "il lavoro presso le fabbriche di botti era quasi totalmente cessato in quanto non si producevano più botti poiché gli importatori di olio e di vino facevano giungere nel porto di Gallipoli fusti che si usavano per il trasporto di petrolio che pagavano a prezzi molto bassi"; informava, inoltre, che "il Municipio di Gallipoli non era in grado di impiegare in lavori pubblici la numerosa manodopera disoccupata" e che "tutto ciò stava compromettendo seriamente l’ordine pubblico", e perciò si richiedeva "l’invio di numerosa truppa poiché oltre 300 bottai minacciavano di sfasciare i fusti vuoti che i piroscafi sbarcavano sulle banchine"19.

Durante il Consiglio comunale del 16 maggio 1882, i Consiglieri democratici Antonio Franza ed Eugenio Rossi stigmatizzarono aspramente il comportamento dell’Amministrazione Municipale, presieduta dal Sindaco conservatore, Bonaventura Garzya, "per aver messo in dimenticanza" gli impegni precedentemente presi "per il miglioramento delle condizioni economiche dei lavoratori poveri, mettendo a disposizione L.2000"20.

Il Sindaco Garzya, durante la tornata del Consiglio Comunale del 19 giugno 1882, relazionò "sulla proposta di provvedimenti per impedire l’estrazione dei barili di petrolio", così esprimendosi: "[…] da qualche tempo è prevalso il sistema di esportare l’olio d’oliva in barili coi quali viene importato il petrolio, cosicchè la fabbricazione delle botti è andata man mano scemando e ora si può dire quasi del tutto cessata. […]. Né il male gravissimo si riduce soltanto a far mancare il lavoro a tante migliaia di operai, a mettere sul lastrico tante e tante famiglie. Vi è anche di più: il commercio del legname destinato alla costruzione delle botti è oltre misura diminuito per conseguenza; la importazione del ferro per cerchiare le botti è ridotta quasi a niente; e ciò anche con danno dell’Erario Nazionale che vede scemato il dazio in questo articolo. Gli stessi inconvenienti si verificano in Spagna. La stessa America che esporta questi barili ne ha proibito la reimportazione. In Italia è necessità che si adotti qualche provvedimento che valga a salvare una delle più utili e floride industrie: la produzione di botti".

Il Consiglio comunale, poi, su proposta del Sindaco, "fa voti presso le Camere del Commercio ed Arti del Regno perchè vogliano provocare dal Governo del Re quell’espedienti che saranno creduti più opportuni onde impedire che la importantissima industria della fabbricazione delle botti abbia ad essere assolutamente distrutta dalla concorrenza che viene dai barili di petrolio", suggerisce, poi, che siano presi, dalle Autorità superiori, "provvedimenti rigorosi atti a proibire la riesportazione dei barili usati per il trasporto di petrolio, o di sottoporli a gravoso dazio"21.

Anche il Sodalizio dei bottai rivolgerà la stessa richiesta al Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio che nel mese di dicembre rispose che "il Governo non [era] in grado di adottare nessun provvedimento, circa all’oggetto della istanza di cui si parla[va], non p[oteva] imporre un dazio d’uscita sui barili che [avevano] già servito all’importazione di petrolio, poiché trattati di commercio esistenti vieta[va]no d’imporre nuovi dazi d’uscita; tanto meno potrebbe proibire del tutto la produzione dei barili medesimi"22.

Nel mese di luglio la situazione si aggravò quando i bottai disoccupati impedirono alla Casa commerciale di Vincenzo Starace l’imbarco su di un bastimento di centinaia di botti piene di olio poiché il commerciante non aveva aderito alla loro richiesta di far riparare i fusti, non completamente a tenuta stagna, prima che fossero riempiti di olio. Contemporaneamente centinaia di operai minacciarono di sfasciare, per poi ricostruire dietro mercede, i numerosi fusti vuoti usati per il trasporto di petrolio che giacevano sulle banchine. Solo l’intervento della truppa impedì il peggio.

Una relativa calma tornò quando i rappresentanti della Società dei bottai raggiunsero un accordo con Vincenzo Starace, "che più sensibile ai bisogni degli operai, promise di dare 30 centesimi per ogni barile vuoto [già usato per il trasporto di petrolio] che giungesse a Gallipoli, bisognevole di riparazione, e 15 per ogni barile vuoto che era già stato riparato fuori". Questo espediente però non poteva risolvere il grave problema poiché i bottai disoccupati avrebbero lavorato solo un giorno alla settimana: allora, per evitare guai maggiori, intervenne l’Amministrazione civica che impiegò la maggior parte dei disoccupati nei lavori della costruzione della ferrovia Gallipoli-Zollino ed in altri lavori pubblici.

 

Altre turbolenze da parte delle Società operaie si verificarono nel luglio del 1883 quando un gran folla di popolani impedì che la nave Europa, di proprietà della Società di Navigazione Adriatica, attraccasse nel porto: si era sparsa la notizia, che poi risultò infondata, che a bordo della nave ci fosse il colera23.

Durante gli anni Ottanta aumentò il numero dei lavoratori che aderirono alle Società operaie che potenziarono le loro strutture modificandole profondamente e favorendo obbiettivamente sia lo sviluppo di forme nuove di lotta di classe sia la penetrazione della propaganda e dell’organizzazione socialista: esse dimostrarono di aver raggiunto una buona maturità politica adottando una linea di condotta unitaria ogni qualvolta dovettero affrontare situazioni che riguardavano problemi inerenti il miglioramento delle condizioni economiche delle classi lavoratrici. Il repubblicano Ettore Eugenio Barba, figlio di Emanuele, scriveva sullo Spartaco che "le energie giovanili si ribellarono una buona volta ai monumentali maestri di egotismo deleterio e depauperatore, e, liberandosi delle viscide braccia di essi, iniziarono l’era nuova, ingaggiando le nuove battaglie dell’ideale".

Le Società operaie furono vicine all’Associazione democratica elettorale, della quale era presidente Emanuele Barba, ed appoggiarono il Partito Democratico Repubblicano nella lotta politica contro il locale Partito Conservatore24.

Dalle colonne del giornale gallipolino Spartaco, al quale "più d’ogni altra cosa stava a cuore il progresso e l’avvenire dei fratelli operai", che combatteva per l’emancipazione civile, intellettuale ed economica delle classi diseredate, e che sosteneva energicamente la "necessità dell’istruzione e dell’educazione popolare, senza le quali le masse non potevano affrancarsi dall’ignoranza e dall’abbrutimento e non sarebbe stata possibile nessuna rivendicazione sociale"25, il 9 novembre 1887, su sollecitazione del Circolo Repubblicano di Napoli, che raccomandava il Patto di Fratellanza delle Società Operaie Italiane26, Ernesto Barba, con lo pseudonimo di Fra Barbino, si rivolgeva "a tutti i liberali democratici, che, nella provincia di Lecce, specialmente, ten[evano] in mano le direzioni dei vari sodalizi operai, facendo appello al loro patriottismo e alla loro attività, perché nel più breve tempo possibile si adoperassero a mandare al Comitato Centrale delle Società affratellate l’adesione di quelle Associazioni artigiane e di mutuo soccorso, che ancora non [erano] cadute fra le reti insidiose di qualche pasciuto borghese o di qualche larva di sagrestia. […]"27, e agli operai, "che sudano per un pane che non basta a sfamarli e che cadono vittime dei sagrifizi e del lavoro", additava "questo Patto come uno dei più grandi ed efficaci mezzi per giungere un giorno al compimento delle rivendicazioni sociali".28

L’appello del Barba non fu vano e lo prova il fatto che tutte le Società operaie di Gallipoli delegarono Valentino de Noie ed Ernesto Barba, redattori dello Spartaco, quali loro rappresentanti al XVII Congresso delle Società Operaie Italiane affratellate, tenuto a Napoli dal 20 al 24 giugno 1889.29

All’Amministrazione comunale, retta dal Sindaco Michele Perrin, che durante la maggior parte degli anni Settanta aveva governato onestamente, realizzando numerose opere pubbliche, era subentrata quella guidata dal conservatore Bonaventura Garzya, che, intenta solo a curare le proprie clientele, ed insensibile ai bisogni delle classi popolari, continuamente travagliate dalla disoccupazione e dalla miseria, si distinse, per tutti gli anni Ottanta, per inefficienza, malversazione e corruzione.

Alcuni giornali locali come il Lucifero,30 diretto da Nicola Patitari, fustigarono gli Amministratori disonesti; quello, però, che maggiormente si distinse nell’opera di severa censura fu, dopo l’ottobre 1887, lo Spartaco. Dalle sue pagine il Diavolo Rosso, nella rubrica Fasti dell’Amministrazione Comunale di Gallipoli, denunziava continuamente lo stato disastroso delle finanze comunali e "lo stato deplorevole in cui gli amministratori avevano ridotto il nostro paese",31 ed invitava il Prefetto di Lecce ed il Procuratore del Re ad allontanare e perseguire gli Amministratori disonesti "onde salvare il paese, lungamente dimenticato, da certissima e vicina catastrofe".32

Nell’agosto 1888, Edoardo Fiorentino, "accreditato commerciante della nostra piazza", in una sua relazione sul commercio a Gallipoli, così si esprimeva: "[…] lo stato attuale è insopportabile per queste province che non hanno, né possono avere altro cespite che l’Olivo e la Vigna", e continuava che "nonostante ci fosse stato negli ultimi mesi un lieve incremento per quanto riguarda[va] l’esportazione del vino, molto prodotto restava invenduto nelle cantine, da formare la tanto lamentata crisi vinicola, cagionata da esuberante produzione e resa più evidente ed acuta dal cadente trattato commerciale con la Francia". Per quanto, poi, riguardava il commercio dell’olio, che era il principale prodotto trattato a Gallipoli e che nei secoli aveva dato tanta prosperità a tutte le categorie di abitanti, riferiva che "regnava sovrana la calma nel nostro caricatoio", poiché, in special modo la Russia, che era una delle nostre maggiori importatrici, preferiva l’olio di Gioia di Calabria che forniva olio mangiabile di alta qualità. "Il nostro deposito attuale – continuava il Fiorentino - si valuta circa salme 30.000. I prezzi a Gallipoli, alla Borsa, vivono una vita stentata, si mantengono costantemente al ribasso e le pochissime richieste e la prospettiva di un buon raccolto li avviliscono maggiormente. Il listino del giorno 19 corrente (agosto) segna D.23,55 salma contanti".33

Questa era la critica situazione economica, che continuava a produrre disoccupazione e miseria specie tra le classi cittadine meno abbienti, quando il Consiglio comunale, presieduto dal Sindaco Bonaventura Garzya, nella speranza di far quadrare i conti del bilancio comunale dissestato, deliberò all’unanimità di introdurre "la tassa sul materiale da costruzione" per un introito di L: 25.000.34 Questo nuovo balzello colpiva gravemente le classi lavoratrici già prostrate da anni dalla crisi economica che le aveva ridotte alla più nera miseria. Ma proprio nel momento in cui si attendevano disordini ed insurrezioni le Società operaie, opportunamente e saggiamente guidate, dimostrarono il loro ottimo grado di capacità organizzativa e la loro maturità politica.

Così riferiva lo Spartaco: "Il Municipio di Gallipoli, in una delle sedute ordinarie di questi giorni, ha deliberato l’imposizione di alcune nuove tasse sul materiale da costruzione. Appena la classe operaia ha avuto sentore di ciò è stata commossa profondamente, e siccome avviene nelle forti sensazioni, nei gagliardi affetti psichici, l’impressione dolorosissima ha minacciato di manifestarsi nei modi più energici, colla violenza, senza il previo ragionamento. Ma per quella virtuosa prudenza, per quella intelligente serietà, che distingue i nostri laboriosi operai, i primi sentimenti di immediata ed irragionevole reazione sono stati strozzati da una logica, e necessariamente apprezzabilissima, decisione di voler tentare tutte le vie che la Legge lascia aperte prima di scendere a vie di fatto. Una commissione di operai eletta dai compagni, costituitasi in comitato promotore ha saputo, molto sennatamente, persuadere la coscienza popolare e discutere in un pubblico Comizio le proprie idee, tentare di convincere l’autorità tutoria di non permettere l’imposizione del dannevole balzello, e stabilire la maniera di agire in caso la loro protesta non avesse accoglienza favorevole".35

I dirigenti locali del Partito Democratico Repubblicano, per "non dare agio ai ciurmadori ed ai malviventi di ripetere la vecchia frase: - che è la turbolenza (!) dei soliti caporioni ed apostoli da strapazzo che compie una delle tante gesta inconsulte –", si erano "astenuti dal prendere la più piccola parte" ed avevano "lasciato ampia libertà d’azione agli operai", adoperandosi "con tutti i loro sforzi ad ottenere la calma, a raccomandarla, a mantenerla per il momento".

Il Comitato operaio promotore organizzò "un pubblico meeting", affiggendo alle cantonate della città il seguente comunicato: "Cittadini, avendoci un gruppo di operai fatto istanza, acciocché questa Società di Bottai si faccia promotrice di una pubblica riunione, per discutere sulla deliberazione del Consiglio Comunale riguardante la tassa sui materiali da costruzione, facendo adesione insieme ad altre Società consorelle, invitiamo tutti i cittadini e particolarmente gli operai ad intervenire nella sala di questa Società il giorno 18 corrente alle ore 9 ant. - Gallipoli 17 Novembre 1888. - Per la Società, il Presidente Giuseppe Mosco" -.

Domenica, 18 novembre, risposero all’appello del Comitato un grandissimo numero di cittadini tanto che nella grande sala delle adunanze della Società dei Bottai si erano assiepati circa 800 operai: altrettanti sostavano lungo le scale che conducevano ai locali e nella sottostante via.

Apertasi la seduta sotto la presidenza dell’operaio Giuseppe Mosco, "prendono la parola diversi oratori che con stringata parola, con felicità di concetto, con logica dimostrazione fanno il processo della comunale Amministrazione e del balzello". Attilio Passeri, Girolamo Rossi, Andrea Solidoro, Arturo Senape, Luigi Arlotta, Stanislao Senape, Antonio Franza, Federico Portone ed Eugenio Rossi stigmatizzarono l’operato della civica Amministrazione.

L’Assemblea, infine, votò, all’unanimità, il seguente ordine del giorno:

"Le Società operaie, i lavoratori e i cittadini di Gallipoli, riuniti in pubblico comizio, oggi 18 Novembre 1888;

Presa visione del deliberato di questo Consiglio comunale, in data 29 Ottobre 1888, col quale, per rimediare allo sfacelo della finanza del Comune, si aggravano i contribuenti di nuovi ed insopportabili balzelli, tra cui quello sui materiali da costruzione che colpisce più direttamente i lavoratori in questo triste periodo di crisi economica, distruggendo totalmente quelle poche e tisiche industrie che finora hanno dato un magro lavoro alla numerosa classe operaia;

Considerando che mentre il Municipio non si perita di aggravare i cittadini di nuove ed odiose imposte per l’ammontare di oltre L. 50,000 continua pur tuttavia nell’usato pessimo sistema dello scialacquo, facendo della finanza del Comune una Cassa di mutuo soccorso e di sussidio a beneficio di pochi interessati alla pubblica azienda;

Considerando che le condizioni economiche di tutta la cittadinanza sono tali da non potere sopportare in nessuna guisa le nuove imposte;

Unanimemente protestano contro la detta deliberazione del 29 ottobre 1888;

Invitano l’Amministrazione a cessare una buona volta dal cennato sperpero sostituendo al sistema dilapidatorio un sistema di amministrazione e di finanza schiettamente democratico ed onesto, inspirato ai principii dell’economia e della prudenza e proporzionato alle risorse reali della città;

Invocano, dall’autorità tutoria, specialmente dal Prefetto della provincia, provvedimenti d’urgenza che valgano a scongiurare i disastrosi effetti, di cui già se ne sentono purtroppo le conseguenze nella fiera concorrenza che le nascenti industrie subiscono da altri luoghi;

E reclamano, specialmente nel pubblico interesse, la respinsione di tale deliberazione e la fine di uno stato di cose che perdura da tempo e che da un giorno all’altro aggravandosi, potrebbe produrre serii guai al paese;

E delibera infine inviare una Commissione36 al Prefetto della provincia per esporre verbalmente le tristi e critiche condizioni, in cui versa questa città".

Dopo, i componenti l’Assemblea, ordinatamente e pacificamente, giunsero al Largo Briganti, sede della Sottoprefettura, dove la Commissione, trovandosi in congedo il Sottoprefetto, espose al segretario Achille Massa, il contenuto dell’ordine del giorno approvato, e comunicò la richiesta di essere ricevuta dal Prefetto della Provincia.

Il giorno seguente il Prefetto Cav. Daniele Vasta s’intrattenne per circa un’ora con la Commissione promettendo "di prendere a cuore la questione vitalissima, cercando tutti i mezzi per provvedere e fare giustizia".37

Nei giorni seguenti lo Spartaco non fu avaro di lodi nei riguardi della grande e pacifica manifestazione, quando così scrisse: "[…]. Gli operai gallipolini che finalmente hanno compreso dover loro stessi pensare ai casi propri, con questa protesta, consigliata dalla legge medesima, hanno dimostrato eloquentemente che l’ora del "redde rationem" continua a suonare e che deve aver termine uno stato di cose deplorevole. […], l’operaio nostro ha compreso la questione, ha visto che il nodo gordiano non può sciogliersi che con un colpo ben dato di spada. Ha atteso che il venefizio cancrenoso delle corruttele e dell’immoralità delle alte sfere avesse cominciato a cariare le ossa dell’organismo, di troppo disfatto, del nulla tenente, del lavoratore, per dare il grido d’allarme, per dare la prima avvisaglia, per affidarsi alla riscossa, da lungo tempo preparata, e per molte considerazioni a stento procrastinata. […].38

 

Ancora agitazioni delle Leghe operaie che, la sera del 12 gennaio 1889, assieme all’Associazione Democratica Elettorale, organizzarono un Comizio nell’ampia sala dei Bottai per protestare contro la politica autoritaria e militarista del Crispi: la relazione fu tenuta da Eugenio Rossi.39

E il redde rationem giunse, finalmente, nel 1889, quando il Crispi, il 17 ottobre, cedendo alle continue denunzie della parte onesta del popolo gallipolino, sciolse l’Amministrazione comunale,40 e il 10 novembre inviò a Gallipoli il Commissario Regio, Pio Mencato.41

Nelle elezioni amministrative per il rinnovo del Consiglio Provinciale, che si tennero domenica 15 novembre, l’appoggio delle Società operaie fu determinante per sconfiggere il candidato conservatore Bonaventura Garzya e per eleggere il democratico-repubblicano Antonio Franza che prevalse sull’avversario per 30 voti.

Era la prima volta che il raggruppamento della Sinistra (Partito Democratico Repubblicano) sconfiggeva i Conservatori e questo anche grazie alla riforma della legge elettorale comunale e provinciale che aveva ampliato il numero degli elettori, concedendo il diritto di voto alla piccola borghesia, al colto artigianato e ad una parte del proletariato locale.42

Il 2 dicembre, il Commissario Regio, in sede di redazione del Bilancio di previsione per il 1890, decise l’innalzamento di tutte le tariffe daziarie:43 dopo qualche giorno, nel Teatro Garibaldi, le Società operaie organizzarono un Comizio "per protestare contro le nuove gravissime imposte".

Quel giorno il Teatro era gremito: presiedeva Santo Barba, vecchio operaio; gli interventi più interessanti e più applauditi furono quelli di Ernesto Barba, di Eugenio Rossi, dell’operaio Fiorentino Spada e di Vincenzo D’Elia. Si votò un ordine del giorno che, tra l’altro, affermava che "le nuove tasse imposte dal Regio Commissario e le variazioni apportate al Bilancio del Comune [erano] intollerabili con l’attività economica del paese". Si decise anche di nominare una Commissione che, dopo aver redatto un’esauriente e circostanziata relazione, si recasse presso il Prefetto della Provincia per affidare "al suo senno e alla sua giustizia l’interesse del paese".44

Le forti proteste, "giuste, sante ed inevitabili", però, non erano contro il Commissario, Pio Mencato, "perla di galantuomo", bensì, come giustamente affermò Ernesto Barba, "contro i veri responsabili dello stato deplorevolissimo in cui era ridotto il bilancio del Comune, contro i ‘pantofagi’ ed i dilapidatori, i quali per anni avevano fatto man bassa di tutto ed avevano guastato e rovinato a loro bell’agio, senza curarsi mai dell’avvenire, senza mai sentire la voce della miseria delle classi diseredate".

I pantofagi ed i dilapidatori che nuovamente si erano presentati nella lista dei Conservatori, nelle elezioni amministrative del 23 febbraio 1890, per il rinnovo del Consiglio Comunale, furono sconfitti, grazie anche al voto dei proletari, organizzati nelle Società operaie, dal Partito Democratico Repubblicano che, il 9 marzo, elesse Sindaco l’avv. Stanislao Senape.45

 
 


BIBLIOGRAFIA e note

1 Cfr. N. Rosselli, Mazzini e Bakunin. Dodici anni di movimento operaio (1860-1872), nuova ed., Einaudi, Torino, 1967, pp. 100-102.

2 Cfr. A. Cherubini, Profilo del mutuo soccorso in Italia dalle origini al 1924, nel volume di vari autori, Per una storia della previdenza sociale in Italia. Studi e documenti, Roma, edito a cura dell’INPS, 1962, p.103.

3 Cfr. G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna. Lo sviluppo del capitalismo e del movimento operaio, vol. sesto, Universale Economica Feltrinelli, Milano, 1986, pp. 33-34.

4 Agli operai di Gallipoli, "adunatisi nel giorno 4 Dicembre 1865", così il Barba parlò: "Fratelli Operai, confortati dagli esempi splendidissimi di altre città italiane voi volete costituirvi in società di mutuo soccorso ed istruzione, del cui statuto e regolamento vi piacque commettermi la compilazione – Ebbene a ringraziarvi per tamt’onore e fiducia vi dirò poche e franche parole, quali si addicono a leale operaio in libera terra. A me pare che col volervi affratellare in questa maniera mostrate di essere capaci e degni di ogni bene, perché volete onestamente usare dei due primi e più antichi diritti dell’uomo, che sono la libertà e l’associazione. Io spero ancora che voi conseguirete ogni bene, perché volete compiere i due primi doveri dell’uomo sociale, che sono lo scambievole soccorso e l’istruzione. Io anzi affermo che voi possedete i due maggiori beni che possono avere quaggiù gli operai Cristiani, cioè la volontà di perseverare nel lavoro, il quale è l’origine più santa di ogni proprietà, la fine di ogni miseria, e il desiderio di uscir dall’ignoranza, la quale è il più funesto retaggio delle classi laboriose, la cagione precipua d’ogni loro sciagura – Voi dunque potete andare alteri d’imitare in ciò l’eroe più caro d’Italia nostra, GIUSEPPE GARIBALDI, che è il primo Cristiano ed operaio del mondo, perché egli interpreta e professa la Religione di Gesù Cristo con la ragione madre di verità. Non con la superstizione fonte di menzogna, con l’amore e l’unione, non con l’odio e l’isolamento, con la virtù e il lavoro, non col vizio e l’ignavia, perché egli ha dimostrato col proprio esempio che Cogli operosi è Dio, né volge il guardo / Su l’affanno del pigro e del codardo. Quanti qui siete bottai, ebanisti, facchini, marinai, muratori, calzolai, industriosi, vi convinceste che l’Associazione produce e moltiplica quella forza, per la quale si ottiene più facilmente e prontamente il morale e materiale miglioramento vostro, dei figli e simili vostri – Consideraste che ciascun di voi pensando e lavorando da sé solo e per sé solo senza istruzione, senza un patrimonio e la speranza di aiuti diuturni, può, quando meno sel pensa, essere colla propria famiglia vittima della povertà, che sopravviene alla vecchiaia, ad una malattia, ad una qualunque sventura – Vi persuadeste che un operaio isolato è simile a quel sottil legno da cerchio di botte, che il braccio più debole può rompere, ma che stretti tutti in associazione formerete quel fascio, che nessuna forza potrà mai piegare, non che spezzare. Se di tanto vi convinceste, vi tornerà facile comprendere che ogni associazione deve aver le sue leggi, e che un’Associazione operaia, per aver vita e prosperità durevoli, deve statuir leggi accomodate alle condizioni peculiari del luogo in cui nasce. […]. Ed è perciò che nell’accozzare questi pochi articoli del nostro Statuto, posi mente alle peculiari nostre bisogne, e mirai soprattutto a fermare quattro cose fondamentali, da cui la nostra Società potesse togliere vita ed incremento duraturi. E considerando che l’istruzione, la perseveranza nel lavoro, il risparmio, e la temperanza sono i soli antidoti contro il veleno che consuma lentamente la nostra classe, le leggi che debbono rigenerarla, le fonti uniche della materiale e morale sua ricchezza; da esse, come da quattro virtù cardinali dell’operaio, derivai le seguenti norme del nostro patto sociale: 1. Rendere obbligatoria la istruzione elementare e tecnica per ogni socio e per chiunque aspira ad esserlo, ed istituire premi per quanti si distinguono nell’apprendere più arti, e nel perfezionarne alcuna – Perciocchè la istruzione è il primo ed esclusivo mezzo per cui la nostra classe potrà risorgere dall’abbiettezza in cui giace, acquistare ogni diritto politico ed amministrativo, e progredire come tutte le altre. 2. Dichiarare decaduto da ogni dritto ed avere verso la Società quel membro, che con pertinace assenza negli ordinari lavori di essa, o per difetto di contribuzione, si addimostrasse inchinevole ed abborrente da ogni fatica. 3. Istituire una Cassa di risparmio, nella quale si versasse in giorni designati la minima parte dell’obolo sudato. 4. Non accogliere nel seno della Società tutti coloro che se giudicassero indegni per condotta intemperante, ed incivile, ed espellerne quei membri che per simili cause se ne rendessero immeritevoli".Nel 1861 lo stesso Barba aveva già fondato due Associazioni operaie. Cosi egli si esprimeva, rivolgendosi con amarezza al suo popolo, sul N. 1 de Il Gallo, del 12 maggio 1862, da lui diretto con lo pseudonimo di Filodemo Alpimare: "[…] ti ricordiamo esser già un anno da che sursero in mezzo a te due Associazioni a scopo onesto, civile, filantropico: una delle quali apriva scuole serali [erano gestite, gratuitamente, dal maestro Costantino Forcignanò] per l’istruzione della tua plebe e dei tuoi figli; l’altro iniziava un monte annonario [cooperativa di consumo]. Grande fu il numero degli associati, grandissimo il concorso alle scuole ed alla sala dei Giornali [nella Biblioteca, sita nei locali di proprietà del bibliotecario, Can. Nicola Maria Cataldi, in via Ospedale vecchio], migliori le speranze economiche e commerciali. Ma tutto in brev’ora finì – l’una si sciolse per subito sconforto, l’altra assai più presto, contraddicendo a sé stessa. […]".

5 Lo Statuto era composto di 16 articoli. L’art.1 così recitava: "E’ istituita in Gallipoli, Provincia di Terra d’Otranto, una Società Operaia, di mutuo soccorso ed istruzione, alla quale possono appartenere tutt’i cittadini, che hanno i requisiti richiesti dal presente Statuto, e che potranno adunarsi pacificamente in virtù della legge fondamentale vigente nel Regno d’Italia"; l’art.2: "Scopo della Società è ottenere il miglioramento intellettuale, morale e materiale di ogni classe di Operai, provvedere a tutt’i bisogni in cui potrà essere ciascun socio: sia che si rendesse inabile al lavoro per vecchiaia, o malattia, sia per mancanza assoluta di lavoro, ed in caso di morte, per assicurare alle vedove, ed agli orfani i necessari soccorsi, ed il loro benessere"; art.4: "La Società ha come obbligo principale la istituzione di una cassa di risparmio, d’una Scuola elementare, e tecnica diretta da Maestri gratuiti eletti tra i suoi Soci, e pel primo anno solamente un monte di pegni a benefizio esclusivo dei suoi componenti"; art.16: "Il primo anno della Società degli Operai di Gallipoli si conta dal giorno 4 Dicembre 1865, nel quale fu istallata, e proclamata con apposito verbale, sotto la direzione, e presidenza provvisoria del Dottore Emanuele Barba del fu Ernesto". Il Regolamento era composto di 14 articoli. Il primo Presidente della Società fu Tommaso Sogliano, il Segretario Emanuele Barba, il Vicesegretario Sac. Saverio Convenga.

6 ASCG, Registro Deliberazioni Consiglio Comunale 1865, pp. 421-422. Il medico era Michele Perrin al quale dopo qualche anno subentrò Bonaventura Garzya.

7 Nella tornata del 25 giugno 1867 il Consiglio comunale, presieduto dall’Assessore Francesco Massa, ff. di Sindaco, assistito dal Vicesegretario comunale Antonio Mac-Donald, discusse la proposta del Consigliere Michele Perrin "per l’installazione a Gallipoli di una Cassa di Risparmio e di un Monte di Pegni, con la preferenza di quest’ultimo, come più urgente, e di assoluta necessità per le gravissime usure che si commett[evano] sopra tutto a danno delle classi più bisognose". Il Consiglio deliberò, all’unanimità, "d’impiantare un Monte di Pegni a vantaggio della generalità de’ cittadini di Gallipoli e di dare l’incarico alla Giunta Municipale di formulare l’analogo regolamento d’approvarsi dal Consiglio e quindi di chiedere il Regio decreto di approvazione". I Consiglieri comunali presenti erano: Passaby Gaetano, Marzo Luigi, Pedone Marino, Franza Luigi, Perrin Michele, Riggio Pasquale, Vetromile Ferdinando, Massa Nicola, Papaleo Giacomo, Leopizzi Pasquale (Archivio Storico Comunale di Gallipoli (ASCG), Registro Deliberazioni Consiglio Comunale, 1867, pp. 168-170).

8 ASCG, Registro Deliberazioni Consiglio Comunale 1869, pp.12-24. Presiedeva il Consiglio comunale l’Assessore Pasquale Riggio, facente funzione di Sindaco; i Consiglieri presenti erano: Papaleo Giacomo, Leopizzi Pasquale, Passaby Gaetano, Pastore Luigi, Rossi Eduardo, Pedone Marino, Solidoro Raffaele, Garzya Luigi, Vetromile Ferdinando, Massa Nicola.

9 Archivio di Stato di Lecce (ASL), Prefettura-Gabinetto, III serie, busta 17, fasc. 428, a. 1869-931, Titolo" Monte Pegni di Gallipoli – Statuto organico". Lo Statuto era composto di 37 articoli. L’articolo 1 così recitava: "Il Monte dei Pegni, istituito a Gallipoli con Real Decreto del 21 giugno 1869, ha per oggetto di far prestiti non minori di Lire due, non superiori di Lire venti, e sino alla concorrenza di fondi disponibili, agl’individui delle classi meno agiate di questa Città, mediante pegno, onde preservarli dall’usura ed assisterli nei loro urgenti bisogni"; l’articolo 2: "I fondi del Monte sono presentemente costituiti da un capitale di Mille quattrocento lire provenienti da oblazioni particolari e da Beneficiati Teatrali. Questi fondi potranno essere aumentati da sussidi Municipali e da somme che i privati vorranno depositare colla riscossione di congruo interesse, che sarà sempre l’uno per cento meno dell’interesse minimo che il Monte percepirà dai suoi mutuatari"; l’articolo 4: "I pignoranti pagheranno pel mutuo l’interesse del cinque per cento"; l’articolo 6: " I mutui fatti dal Monte avranno la durata di mesi sei prorogabili ad altri mesi sei; l’articolo 21: "Non si riceveranno in pegno arredi sacri di ogni sorta, divise militari, armi proibite, polvere da sparo, e le cose soggette a deperimento o capaci di recar danno al locale del Monte".

10 Il 7 aprile 1868 il Consiglio comunale, presieduto dall’Assessore Francesco Massa, ff. di Sindaco, deliberò, all’unanimità, l’istituzione di un "Ricovero di Mendicità e Vecchiaia, ricorrendo alla generosità di questi cittadini per la raccolta di somme ed oggetti". Il Municipio offriva "un locale comunale detto Quartiere della ex-gendarmeria, otto letti forniti di tutto, […] ed una somma annua di L.1000"; la cura del ricovero era affidata alla Congregazione di Carità. Successivamente, il Consiglio comunale, nella tornata del 31 maggio 1868, elevò il Ricovero a Corpo Morale (ASCG, Registro Deliberazioni Consiglio Comunale 1868, pp. 94-95 e pp. 164-165). A tal proposito così scrive il Maisen:" Sotto questo titolo [Ricovero di Mendicità e Vecchiaia] venne iniziata in Gallipoli un’opera eminentemente umanitaria che scosse il plauso di tutti i buoni cittadini e che tanto era reclamata dalle attuali esigenze del paese. Ebbe questa la sua iniziativa grazie alle generose offerte del Comune, della Congregazione di Carità e delle spontanee elargizioni dei privati. Il Comune vi concorse con la somma di L. 200 in contanti, e con n. 8 letti completi; la Congregazione di Carità con L. 200 e quattro letti completi, l’uso della cucina dell’Ospedale [l’Ospedale civico era gestito dalla Congregazione di Carità] e il consumo della legna. Le oblazioni dei privati ascesero a L. 2252,74. Con queste generose elargizioni potè l’Istituto mantenere pel primo anno ventisei individui, ammontando la spesa a L. 2084,20" (P. Maisen, Gallipoli e suoi dintorni, Tip. Municipale, Gallipoli, 1870, p. 69).

11 Il 30 novembre 1868 risultavano iscritti alle scuole serali che funzionavano nei locali dell’ex Convento dei Domenicani n. 113 adulti. Dall’anno scolastico 1864-65 all’anno 1868-69 i maestri furono il sacerdote Convenga Saverio, Martini Angelo e Belardi Attilio (Archivio privato di Mario Emanuele Barba, Elenco degli adulti iscritti per la Scuola serale di Gallipoli nell’anno 1864-65 e Rapporto del Direttore al Signor Pretore, Presidente del Comitato Mandamentale delle Scuole Serali e festive degli Adulti –Gallipoli).

12 Il 25 novembre 1865 il Consiglio comunale, presieduto dall’Assessore Francesco Arlotta, ff. di Sindaco, assistito dal Segretario comunale, Nicola Cataldi, accolse, all’unanimità, la proposta della Giunta Municipale relativa all’istituzione di un Asilo infantile (ASCG, Registro Deliberazioni Consiglio Comunale 1865, pp. 392-393).

13 P. Maisen, op. cit, pp. 68-68.

14 Cfr. Lettera all’on. Sig. Serafino Roggero, Direttore del Ginnasio di Gallipoli, in Archivio M.E. Barba, cit.

15 Il testo completo del programma dell’associazione Libertà e Giustizia è ripubblicato da A. Romano, Storia del movimento socialista in Italia, III. Testi e documenti, 1861-1882, 2^ ed., Laterza, Bari, 1967, pp. 38-43.

16 Cfr. P. Maisen, op. cit., pp. 54-55. Il Maisen così scrive: "[…]. E’ questa una manifattura importantissima che negli anni di gran commercio oleario, assicura gli alimenti a ben oltre 400 famiglie. Questa importante industria, produce all’anno in media un centomila botti della capienza di 200.000 salme [1 salma = Kg.147,312] e del valore di circa un milione di lire italiane.[…], mentre tenendo calcolo dell’ultimo decennio si può ben calcolare da 18 a 20 mila tonnellate in coacervo il bottame che ogni anno forniscono queste fabbriche al commercio dell’olio ed a quello del vino".

17 Le Case commerciali più importanti erano quelle di Antonio Auverny e C., Minasi-Arlotta, Stefano Baylè, Fratelli De Luca, Maglione e C., Vincenzo Starace, Giuseppe Tamborrini, Federico Arlotta, Fratelli Palmentola, Fratelli Costa, Fratelli Fedele. Queste Case eseguivano transazioni commerciali in olio, vino ed altri generi per qualsiasi piazza d’Italia, d’Europa e d’America (Cfr. Pietro Maisen, op. cit., p. 315).

18 ASL, Prefettura-Gabinetto, cat. 28, busta 284, fasc.3341, Titolo dell’affare "Provvista di lavori a classi povere", gennaio 1882. Presidente della Società Cooperativa dei Bottai era Pasquale Sogliano, Segretario Giuseppe Pepe.

19 Ibidem

20 .ASCG, Registro Deliberazioni Consiglio Comunale 1882, pp. 99-105.

21 Ibidem, pp.150-152.

22 ASL, Prefettura-Gabinetto, cit., dicembre 1882.

23 Ai disordini seguì un processo presso il Tribunale di Lecce che si concluse col "non farsi luogo a procedimento penale a danno dei processati per mancanza di prove ed indizi precisi" (La Stregghia, A. I, n. 14, 31 ottobre1884); cfr. anche Tesi di Laurea di A. Schirosi, Gallipoli dal 1860 al 1900, Anno Accademico 1967-68.

24 Cfr. F. Natali, Nicola Patitari, poeta dialettale gallipolino dell’800, Congedo Editore, Galatina, 1999, pp. 23-24.

25 Ibidem, pp. 26-27.

26 Il Patto di Fratellanza fu approvato dal XII Congresso delle Società Operaie Italiane tenuto a Roma nel novembre del 1871 e fu modificato nel XV Congresso delle Società affratellate tenuto a Genova nel giugno del 1882. Le Società Operaie Italiane affratellate, di ispirazione mazziniana, cessarono di esistere nei primi anni Novanta.

27 Spartaco, A. I, n. 49 novembre 1887.

28 Ibidem.

29 Spartaco, A. III, n.71-72, 7 luglio 1889.

30 Fondato nel 1881, cessò le pubblicazioni dopo due anni.

31 Da mesi non "si pagavano gli stipendi agli insegnanti" ed alle balie "non si davano quelle poche lire che percepivano per l’allevamento dei pargoli abbandonati" (Spartaco, A.II, n. 39 e 42 del 22 luglio e del 12 agosto 1888).

32 Spartaco, A. II, n. 43, 20 agosto 1888 e n. 46, 12 settembre 1888. Il Diavolo Rosso invitava il Prefetto "che si degnasse di vedere chiaramente ciò che di marcio c’è nel Municipio, emanando energico e severo provvedimento", ed avvertiva il Procuratore del Re "che qui [a Gallipoli] si ha sete di giustizia, che è il primo e più saldo fondamento di tutti gl’istituti civili" e che occorreva "tutelare giuridicamente il popolo gallipolino facendo vedere che la legge deve essere uguale per tutti".

33 Spartaco, A. II, n. 43, 20 agosto 1888.

34 ASCG, Registro Deliberazioni Consiglio Comunale 1888, pp. 214-217. I Consiglieri Comunali presenti erano: Leopizzi Felice, Consiglio Emanuele, Cosenza Luigi, Pedone Marino, Franco Francesco, Rossi Emanuele, D’Elia Sebastiano, Bianchi Francesco; Segretario Comunale: Consiglio Alberto.

35 Spartaco, A. II, n. 52, 27 novembre 1888.

36 La Commissione, votata all’unanimità dall’Assemblea, era così composta: Presidente: Mosco Giuseppe; Membri: Portone Federico, Miggiano Felice, Bottazzo Antonio, Bernardo Greco, Maggio Luigi, Antonaci Guglielmo, Stefanelli Vincenzo, Ippazio Nicola Magno, Pastore Francesco, Biasco Vincenzo, Passeri Attilio. Erano tutti operai facenti parte del Comitato promotore e delle presidenze delle Società operaie.

37 Spartaco, A. II, n. 52, 27 novembre 1888.

38 Spartaco, A. II, n. 53, 7 dicembre 1888.

39 Spartaco, A. III, n. 56, 21 gennaio 1889.

40 Questa la relazione di Francesco Crispi al Re per lo "scioglimento del Municipio di Gallipoli": "Sire, il Prefetto di Lecce ha fatto eseguire una ispezione al Comune di Gallipoli ed ha constatato che in questi due ultimi anni l’erario comunale, prima sufficientemente equilibrato, è stato colpito dal ‘mal governo’ degli attuali amministratori tanto da presentare per tre esercizi finanziari 1866-1889 un deficit di L. 144.000. I motivi principali di siffatta deficienza sono la poca solida formazione dei bilanci preventivi, basati sopra attività di gran lunga superiori al realizzabile, e le ‘eccessive prodigalità’ nelle spese neppure contenute nei limiti assegnati dai bilanci stessi: […]. Per l’anno volgente presentasi novella deficienza e già la cassa comunale versa in gravi difficoltà, a superare le quali non è sperabile riescano gli attuali Amministratori, cui fa difetto un accorto criterio finanziario, mentre poi li spinge un’irrefrenabile tendenza a prodigare nelle spese. Allo stato delle cose è pertanto necessario ricorrere alla misura dello scioglimento di quel Consiglio Comunale ed io mi onoro di sottoporre all’Augusta firma di M. V. il relativo decreto" (Spartaco, A. IV, n. 99, 28 febbraio, 1890).

41 F. Natali, op. cit., p. 28. Il Cav. Bevilacqua, Commissario prefettizio, non aveva voluto accettare il difficile mandato poiché "nei pochi giorni che aveva retto la nostra scapigliata amministrazione ha compreso che trattasi di putrido … non riparabile senza l’intervento del potere giudiziario" (Spartaco, A. III, n. 86, 10 novembre, 1889).

42 La legge del 30 dicembre 1888 aveva esteso il diritto di voto amministrativo a tutti i cittadini maschi che avessero compiuto il ventunesimo anno d’età, sapessero leggere e scrivere e pagassero almeno 5 lire di imposte l’anno.

43 Spartaco, A. III, n. 90-91, 19 dicembre 1899.

44 Spartaco, A. III, n. 93-94, 30 dicembre 1889. Il reclamo fu presentato al Prefetto, il 10 gennaio 1890, senza alcun successo, da una Commissione composta da Ernesto Barba, Antonio Franza, Vincenzo D’Elia, Arturo Senape e Francesco Pastore.

45 Cfr. F. Natali, op. cit., p. 29. Il Partito Democratico Repubblicano riportò 378 voti contro i 274 del Partito Conservatore, conquistando 24 seggi su 30.

 

 

tratto da:

Da: http://web.tiscali.it/culturaonweb/Isaggi/ISaggi%20-%20Societa%20operaie&note.htm

 

 

 

Nedstat Basic - Free web site statistics

Ultimo aggiornamento:

 29 ottobre 2006