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Il caso Giuseppe da Copertino
 

<<Le cronache riferiscono che il 4 ottobre 1630, verso le otto del mattino, nella chiesa del monastero delle Clarisse in Copertino (Lecce) accadde un prodigio destinato a rimanere unico nella storia. Un frate, Giuseppe da Copertino, in seguito elevato dalla Chiesa all'onore degli altari, colto da estasi mistica, si sollevava da terra e passando sopra le teste dei fedeli andava a posarsi sul bordo del pulpito, ad un'altezza di circa tre metri dal pavimento. In altre parole aveva volato. Di tali aerei "ratti" (che comportarono anche l'intervento dell'Inquisizione) nel corso della sua vita gliene furono attribuiti quasi duecento. Naturalmente la Chiesa lo proclamò Santo per ben altre ragioni. Dai documenti risulta comunque che i clamorosi prodigi che accompagnavano le sue estasi sconvolsero nell'Italia del '600 intere folle di fedeli di tutte le estrazioni sociali, con forti ripercussioni anche in Europa. Un "caso" unico nella storia, dunque, non soltanto della Chiesa. Nei secoli seguenti tuttavia, e fino a pochi decenni fa, la popolarità del Santo subì un progressivo declino. Al di fuori dei luoghi strettamente legati al suo culto, quasi se ne perse la memoria. Quale ne fu il vero motivo? Proprio in occasione del quarto centenario della nascita del Santo, caratterizzato da un considerevole rifiorire del suo culto, per la prima volta uno scrittore "laico", attraverso uno studio approfondito dei documenti, cerca di far luce sull'intera vicenda.>>

 

 

Sommario:

 

Indagine sulla vita e i prodigi del santo che volava

 

Si deve all'ottima penna di Goffredo Sebasti - romanziere, saggista e specialista in letteratura francese - il bel libro pubblicato dalla Sugarco (Euro 14.50), Il caso Giuseppe da Copertino (indagine sulla vita e i prodigi del santo che volava). Uscito nel 2003, questo saggio si occupa del 'frate volante' di origini pugliesi, al secolo Giuseppe Maria Desa, che per ben 14 anni, dal 1639 al 1653, risiedette nel Sacro Convento della Basilica di S. Francesco in Assisi, qui compiendo (come narrano le cronache di presunti testimoni oculari, ad es. padre Roberto Nuti, superiore in Assisi vivente il frate, che scrisse una Vita nel 1678: cfr. Assisi, Biblioteca Comunale, manoscritto 126; oppure i Diari dell'abate Arcangelo Rosmi, Archivio Segreto Vaticano, Fondo Riti 2039) buona parte dei suoi prodigiosi 'voli', acquistandosi una fama di santità ed una notorietà che furono ben presto di risonanza europea. Oltre il dono delle estasi, delle levitazioni, dei miracoli, delle guarigioni, della preveggenza e del discernimento degli spiriti, padre Giuseppe ebbe il dono della scienza, del consiglio, e quello di emanare un profumo particolare e duraturo (Elena Bergadano, Giuseppe da Copertino, ed. San Paolo, 1994, pag. 105). Il frate fu visto volare (Sebasti, pag. 88) in diverse posizioni, persino "alla rovescia", ma anche rimanere immobile, sospeso nel vuoto come nel celebre episodio occorsogli nella Basilica Superiore d'Assisi gremita di gente (ai " voli " del frate l'Autore dedica una speciale rassegna).

Sebasti dichiara, nella premessa, di essersi avvicinato a questa singolare figura francescana dell'età della controriforma, attraverso un libricino devozionale, capitatogli in mano per caso: <<Da quelle paginette era emersa una figura di un misticismo sfolgorante, la storia di un santo tormentato all'inverosimile, sostenuto da una fede e da un amore per il suo Dio tali da generare, nonostante tutte le sofferenze, innumerevoli momenti di quella suprema felicità che prende il nome di estasi>>. Ma la figura di fra' Giuseppe era andata sbiadendo nei secoli, e fuori da un certo ambito di fede poco più se ne sapeva, se non che avesse volato. Il recupero storico di fra' Giuseppe coincise con le celebrazioni del 1963, in occasione del III centenario della morte. Nel 2003 si è celebrata la ricorrenza della nascita. Negli anni '50 avevano dedicato attenzione alla singolare vicenda del frate volante Alfio Giaccaglia con Il santo dei voli (Edizioni Paoline, 1956) e nientemeno che Claire Boothe Luce (I Santi che amiamo, Mondadori, 1956), giovane e bella ambasciatrice americana di origini italiane. Dopo la canonizzazione, avvenuta tardivamente a metà del '700, di fra' Giuseppe si era perduta ogni traccia di culto, se non ad Osimo, dove gli fu dedicata una chiesa. La riscoperta del 'santo dei voli' sembra perciò dovuta, ne viene il sospetto, all'età moderna impastata di tecnologia. I miracoli sono tali in quanto violano le leggi di natura, ma diventano, in prospettiva, più comprensibili in quelle età dove il clima culturale può meglio accostarsi al loro mistero. Si tratterebbe dunque di un effetto di ritorno. E non c'è dubbio, che l'ultimo secolo sia stato appunto quello del volo. Quindi la vicenda di fra' Giuseppe, avvolta nel mistero dei suoi reali risvolti (alla cui analisi si dirige con intelligenza il saggio di Sebasti), è tornata d'attualità, tuttavia in una piega rivolta alla passato, così come la risonanza, che si diffuse in vita, potrebbe, al contrario, essere interpretata come una reazione miracolistica proprio nell'epoca della rivoluzione scientifica.

Accanto al lavoro di Sebasti si potrebbero citare il piccolo libro devozionale, ma ben scritto, di Elena Bergadamo, dedicato ai padri minori conventuali di Osimo, e il più recente lavoro di Ennio De Concini (Il frate volante, San Paolo, I ed. 1998, II ed. 2001), che data la professione dell'autore, si presenta piuttosto come un soggetto cinematografico, interamente dialogato e di ottima lettura, quindi un racconto, e non un saggio storiografico analitico, documentato ed articolato come quello di Sebasti, che possiede tutti i tratti d'una ricostruzione scientifica.

 

Il saggio di Sebasti consiste in un testo agile, esauriente, ben scritto e ben distribuito nelle sue 125 sapide pagine, corredato da pregevoli riproduzioni, da una cronologia riassuntiva ed un'ottima bibliografia a tutto servizio del lettore che voglia accostarsi al singolarissimo "caso" di un santo francescano del seicento, che (si badi bene) 'volava' e non 'levitava', come appunto Sebasti tiene a sottolineare (pag. 6). Si può subito rilevare una forte somiglianza tra Giuseppe da Copertino e padre Pio da Pietralcina, altro francescano del sud Italia molto più vicino a noi, prima beatificato e poi ugualmente fatto santo, la cui figura suscitò opinioni diverse, tanto è vero che, in termini non positivi, Mario Guarino ne pubblicò nel 1999 una "controstoria" dal titolo Beato Impostore - Controstoria di Padre Pio (ed. Kaos). In una noticina (pag. 15), Sebasti sottolinea che tale analogia non si limiterebbe ai soli caratteri somatici, assai somiglianti, per ricomprendere lo stesso carattere "ruvido", la stessa estrazione sociale, le stesse esperienze di vita e le medesime tribolazioni. Il che suggerisce una sorta di vita parallela, con la singolare differenza che Giuseppe "volava" (si sollevava da terra di qualche metro fluttuando nell'aria), e lo avrebbe fatto molte volte, più di duecento, anche in presenza d'una folla, e non solo di pochi privilegiati spettatori. Fatto è che Giuseppe fu beatificato soltanto il 24 febbraio 1753, sotto il pontificato di Benedetto XIV (Prospero Lambertini: "Maximus in folio, minimus in solio", ma l'ironico e caustico Pasquino, al quale si deve questa sintetica definizione, mostrò tuttavia d'apprezzarlo), quasi un secolo dopo la morte, avvenuta il 18 settembre 1663, poco prima della mezzanotte, per essere poi solennemente canonizzato in S. Pietro, il 16 luglio del 1767, da Clemente XIII (Carlo Rezzonico: <<un papa devoto ma bigotto, istruito ma non colto, in linea con la tradizione da come si era invano battuto per la canonizzazione del Bellarmino, e che non aveva mai preso posizione sullo scottante problema dei Gesuiti>> - G. Rendina, Storia dei papi).

Secondo la testimonianza dei due medici presenti al trapasso, Giuseppe da Copertino sarebbe spirato (dopo penosa malattia che lo tenne in acuta sofferenza) in un sorriso: <<Nella semi-oscurità, il suo volto rimase per diverso tempo vivacemente illuminato come da un fascio di raggi solari, che si andarono spegnendo lentamente>> (pag. 77). Lo spegnersi di questa sorta d'energia somiglierebbe assai alla stessa spiegazione (pag. 88) che fra' Giuseppe forniva dei suoi voli, senza potersene dare una vera ragione: <<...l'anima vede certi raggi della grande Maestà di Gesù Cristo quali cagionano, poiché per sì gran lume l'uomo si muove così di ratto all'indietro. Ma poi che quei raggi si ritirano e così cagionano, quasi così facendo l'invito all'anima che di nuovo ella con il suo corpo voli e sia rapita verso il suo amato Signore>>. Le tante misteriose virtù del santo da Copertino, secondo il Rosmi si compendiavano in questo: <<Così seppi con abbondanza di spiritual confidenza, che egli vede non con gli occhi corporali ma con gli occhi della mente, vede insomma l'anima sua come in un cristallo bellissimo de varij colori la Divinità di Gesù Cristo...>>. Sebasti ripercorre gli elementi fondamentali della sorprendente storia del frate e ce li presenta in un accurato impianto critico, che consente, in ogni caso, una prospettiva di giudizio, sia che si voglia credere ai tanti episodi miracolosi, sia che si preferisca restare scettici, come appare naturale di fronte a casi come questi.

 

Sull'autenticità dei "voli" di S. Giuseppe da Copertino (che si susseguirono in condizioni estatiche nell'arco di circa un trentennio dal 1630 al 1657), getterebbe un'aura di sospetto il notevole ritardo con cui vennero conclusi i processi di canonizzazione. Un ritardo che avrebbe dunque invalidato tutte le testimonianze rese a distanza di decenni dai fatti, se non addirittura permesso manipolazioni o alterazioni. Ma Sebasti, dopo averlo sollevato, respinge quest'argomento, appellandosi ai 'documenti' e alle tante 'testimonianze' di quando Giuseppe era in vita ed operava questi prodigi, che gli occorrevano senza alcuna preordinata intenzione ed in condizioni tutto sommato oggettive. Ed infatti le indagini per la beatificazione sarebbero iniziate già nell'ottobre del 1663, un mese dopo la morte. Nel 1668 si sarebbe chiuso positivamente il processo sulla 'fama di santità' e nel 1700 vennero portati a termine ed approvati i 'processi apostolici'. 'Avvocato del diavolo', come si suol dire, fu il cardinale Lambertini, sotto il cui pontificato Giuseppe fu appunto "beatificato" a metà del secolo successivo alla morte.

Il saggio di Sebasti è assai gradevole: si lascia leggere molto bene, scorre agile e leggero nel suo percorso a tappe, e per quanto di ottima scrittura letteraria, conserva tutti i tratti scientifici d'un 'dossier' storiografico. Non è tuttavia uno studio mirato alla capillare ricostruzione biografica, bensì un lavoro d'indagine sull'effettività dei voli, ed è questo infatti l'argomento che sta più a cuore all'Autore, che per quanto laico e razionalista, si manifesta tuttavia convinto della verità tradizionale dei voli miracolosi, sulla base della qualità e quantità delle testimonianze, peraltro molto ben raccolte ed analizzate. Siamo arrivati al giugno del 1636, alla c.d. "truffa" di Giovinazzo. Compare sulla scena un personaggio ambiguo, che giocherà un ruolo importante in due diversi momenti della vita di Giuseppe: padre Antonio da Santo Mauro, nominato da poco ministro provinciale dei Minori Conventuali. Il giudizio di Sebasti su questo frate è negativo. Padre Antonio avrebbe in realtà 'usato' fra' Giuseppe, portandolo con sé in giro per più di un anno. Nel Duomo di Giovinazzo (in costanza della festività del Corpus Domini ricolmo di folla) Giuseppe viene 'esibito' come un fenomeno da baraccone: durante la celebrazione della messa i fedeli sono tutti in attesa del promesso miracolo, ma non avviene nulla; il padre guardiano Diego da Cindario, gli si avvicina più volte e gli mormora l'obbedienza. All'improvviso Giuseppe lancia un urlo e viene colto da convulsioni. Ma nulla accade. Invece, nel monastero delle monache di clausura, dove viene subito condotto, le cose cambiano. Lo vedono alzare il capo, illuminarsi in volto, e poi, dopo aver lanciato il solito grido ed essersi irrigidito, lo vedono "saltare" in un colpo solo, e sempre ginocchioni, i tre gradini che lo separano dall'altare, e lì rimanere immobile per lungo tempo, tra lo sgomento delle monache (pag. 38). Il fatto arriva alle orecchie dell'Inquisizione, che apre un procedimento (21 ottobre 1638). Gli interrogatori iniziano a novembre. Giuseppe è inizialmente in carcere. Ma durante il lungo processo non si verificano "moti" di sorta. Giuseppe non corre eccessivi rischi di figurare come indemoniato. La cosa potrebbe finire lì, con una reprimenda e con l'allontanamento precauzionale. Se non che, prima di chiudere l'istruttoria, venne ordinato a Giuseppe (pag. 46) di celebrare una messa a porte chiuse, probabilmente per allontanare ogni sospetto diabolico. E' in questa occasione, che dopo aver celebrato, fra' Giuseppe cade nuovamente in estasi: lanciato un urlo, comincia a sollevarsi da terra! L'incartamento processuale viene rimesso al Sant'Uffizio, e Giuseppe parte per Roma, per ritrovarsi, alla fine, relegato nel Sacro Convento di Assisi. Sebasti ci fa sapere (pag. 48) che del caso si occupò il direttamente il papa in persona, anche se Urbano VIII (Maffeo Barberini, nato a Firenze nel 1568 da una ricca famiglia di commercianti) si limitò apparentemente soltanto a presenziare alla cerimonia d'assoluzione. Il 18 febbraio 1639 viene stabilito che fra' Giuseppe non può essere tacciato di "ostentazione di santità", come viceversa di "abuso della credulità popolare". Viene inviato ad Assisi, in una sorta di segregazione precauzionale e dietro admonitio. Qui trascorrerà ben quattordici anni fondamentali della sua vita, prima di ritirarsi ad Osimo (in effetti in modo ancora una volta coatto), dove morirà. Questa l'ingiunzione (pag. 51): <<La Sacra Congregazione ordina che il padre Giuseppe venga inviato nel convento di Assisi, e ivi trascorra la sua vita lontano e isolato dal resto del mondo>>. Ma Assisi e il sacro Convento annesso alla Grande Basilica non erano certo un luogo fuori dal mondo, l'eremitaggio destinato ad un reprobo mandato assolto. Questa straordinaria singolarità colpisce non poco e sembra piuttosto segnalare un'effettiva incertezza circa il vero aspetto del confino. Allontanando in questo modo lo stranissimo Giuseppe, in realtà lo si immise letteralmente nell'occhio del ciclone, nel turbine d'una risonanza, che infatti divenne, di lì a poco, clamorosa. In questi rapidi passaggi, che non debbono togliere il piacere di leggere il bel saggio di Sebasti, preferisco ignorare le successive ed abbastanza oscure relegazioni di Pietrarubbia e di Fossombrone prima del ritiro definitivo ad Osimo, mentre segnalo che nell'appendice bibliografica del saggio sono puntualmente citati tutti gli incartamenti segreti del Vaticano inerenti al processo inquisitorio.
Va notato che tale complesso 'iter procedurale' consiste ancor oggi in un "procedimento speciale", capillarmente regolato dalle norme di diritto canonico e sempre di competenza della Santa Sede tramite la S. Congregazione dei Riti anche per viam non cultus, che nel caso della beatificazione, e una volta superata la fase d'avvio, continua con l'apertura del 'processo apostolico', e termina, quindi, con 'l'esame dei miracoli', fermo restando che nell'eventuale dubbio an tuto procedi possit ad beatificationem Servi Dei, è il Romano Pontefice che riserba a sé il decreto di beatificazione. Accertati posteriormente altri miracoli e riassunta la causa sempre presso la S. Congregazione dei Riti, si può giungere all'altro dubbio de tuto, circa il procedimento di canonizzazione. Se anche tale 'dubbio' è risolto in senso affermativo, il Pontefice stabilisce in concistoro il giorno della canonizzazione, la quale ha poi solennemente luogo nella Basilica Vaticana. Il procedimento straordinario o eccezionale per viam cultus, riguardava invece i servi di Dio che erano già oggetto di pubblico culto nel 1634, anno fissato da Urbano VIII nella Costituzione Coelestis Hierusalem del 5 luglio di quell'anno. In questo caso il processo ha soltanto lo scopo di confermare o non confermare tale antico culto e la sua ininterrotta durata, oltre che di vagliare la fama di santità, le virtù o il martirio, nonché gli eventuali scritti. La sintetica ricostruzione di Sebasti del lunghissimo iter di canonizzazione di S. Giuseppe da Copertino lascia un po' a desiderare per qualche dettaglio, sebbene (pag. 107) venga riportata dal Breve Beatificationis l'interessante ed assai elogiativo giudizio del Lambertini, ormai papa Benedetto XIV: <<Da questa intima unione con Dio, il suo cuore fu così travolto dal fuoco della Divina carità e così profondamente arso da incredibile amore di interiore dolcezza, che spesso prorompeva in estasi e levitazioni; per intenso desiderio del suo Dio, mentre ancora era trattenuto sulla terra, fu considerato cittadino del Cielo…>>. Si può dire che ogni epoca ha i suoi santi. Padre Pio operava strani fenomeni ed è un santo della fede di massa, che impetra guarigioni. Papa Giovanni Paolo II ha beatificato una folla eterogenea di Servi di Dio, tra questi anche Francesco Faà di Bruno (1825-1888), astronomo fisico e matematico nato ad Alessandria, progettista della chiesa di santa Zita a Torino, con l'agilissimo campanile alto 75 metri, sormontato da un elegantissimo angelo in bronzo dorato. Ma un nuovo Giuseppe da Copertino sarebbe oggi impensabile, ed è questa una enigmatica sfaccettatura, che sembra balzare evidente agli occhi. I santi moderni compiono altri eventuali miracoli, legati al nuovo clima d'epoca e soprattutto alle aspettative religiose di massa.

 

Giuseppe fu canonizzato procedendo - ci fa sapere Sebasti - "coi piedi di piombo" e in tempi molto lunghi. La prima spinta provenne dal cardinal Brancati, che fu grande amico del santo e addirittura destinò tutte le sue sostanze ad un fondo per finanziarne la 'causa'. Ma la beatificazione prima, e la santificazione dopo, non avvennero a diretta causa dei 'miracoli volanti' e delle 'estasi mistiche', bensì per le virtù stesse del frate, cioè in sostanza la sua eroicità cristiana e religiosa (pag. 7). Il papa accenna, en passant, alle ragioni dei casi di "levitazione" (non quindi ai "voli"), che sarebbero consistiti nella tensione verso Dio, quasi nello sforzo sovrumano di innalzarsi letteralmente al cielo. Ma è noto che fra' Giuseppe aveva una particolare venerazione per la Madonna, e questo 'dato certo' introduce nelle estasi un elemento particolare, che non sembra collimare del tutto con la motivazione del Breve. Accanto al legittimo dubbio sull'impossibilità di eliminare 'col pensiero' la forza di gravità, altri dubbi possono riguardare la personalità del frate, che pure fu d'accorato sentimento cristiano e francescano (egli chiamava Malatasca il demonio, ma può darsi che fosse questa la lontana memoria di un violento trauma infantile, come meglio si vedrà). E' possibile che l'energia estatica di fra' Giuseppe derivasse dalla sublimazione d'un grave stato di sofferenza e da una grande carenza affettiva, che dunque si scatenasse dal profondo, in modo magmatico e mistico, e da qui, da questo sentire ultimo, potrebbe essere che gli provenissero fede e miracolosa santità. Quella di Giuseppe è una storia tutta particolare, che proveremo a ripercorrere in sintesi, rinviando alla godibilissima lettura del saggio i necessari dettagli.

Durante il noviziato presso i Minori di Martina Franca (1620) Giuseppe fu bollato dai sui superiori con giudizi estremamente negativi: di non essere assolutamente atto alla religione, di essere persona stolida e trascurata, e fu anche considerato un ignorante, e come se non bastasse, un "idioto". Nel 1621 fu espulso per inettitudine. Ciò non ostante divenne sacerdote dopo tre anni di intensa preparazione (1625-1628), superando "miracolosamente" tutti gli esami. Ed ecco un pensiero di Giuseppe, riportato da Sebasti nel frontespizio: <<Dio mi fa conoscere la mia nihilità, e la grandezza della Maestà Sua, ed ammiro questo fatto, donde si cava materia d'amore acceso verso il Creatore e l'uomo si compiace del suo niente per compiacersi dell'immensità di Dio>>. Una riflessione degna di S. Francesco, quanto meno data nello spirito d'umiltà del grande Santo. Fra' Giuseppe fu considerato un teologo dell'anima, e a lui si fece talvolta ricorso per illuminanti consigli.

Il brevissimo 'profilo' di Giuseppe da Copertino (quale si può scorrere velocemente in un dizionario enciclopedico) potrebbe essere questo: <<Mistico francescano (Copertino, Lecce, 1603 - Osimo 1663). Entrato nel 1625 tra i francescani conventuali, per la sua virtù e la particolare devozione alla Madonna venne ammesso senza esami al sacerdozio (1628), anche se era poco adatto agli studi. Percorse il Regno di Napoli predicando con grande semplicità e fervore; esercitò una profonda influenza sociale e anche politica presso i nobili e i prìncipi del suo tempo, ed ebbe larga fama di santità e di miracoli. Famosi furono i suoi "voli" (durante l'estasi si sollevava da terra), avvenuti anche di fronte al papa Urbano VIII (1623-1644: Maffeo Barberini, nato a Firenze da una ricca famiglia di commercianti ed esaltato dal Chiabrera in occasione dell'Anno Santo del 1625 - n.d.r.) e ai prìncipi: ma essi gli procurarono anche numerose accuse presso i tribunali ecclesiastici di Napoli e di Roma, che lo sottoposero ad esami e lo condannarono a lunghe relegazioni a Pietrarubbia (Macerata), Assisi e Fossombrone. Poté infine ritirarsi nel 1657 ad Osimo (qui avvenne l'ultimo "volo" poco prima del Natale di quell'anno - n.d.r.), dove morì e dove fu sepolto nella basilica a lui dedicata>> (fonte precisata dal Dizionario UTET: AA.VV., "Biblioteca Sanctorum", Roma, 1965). Questo il profilo essenzialissimo del santo da Copertino. Soprattutto noto per i suoi prodigi, avrebbe letteralmente spiccato (secondo il Rosmi) più di cinquanta voli nel solo periodo dal 1645 al 1647, e i cui "voli" principali, riportati in apposita evidenza da Sebasti (cap. 18, pagg. 91 ss.), sarebbero i seguenti: il primo volo, non si sa bene, se nel monastero delle clarisse di Copertino o nella chiesa di Grottella, che sarebbe avvenuto (Rosmi) nel secondo anno di sacerdozio, il 4 ottobre 1630, nella ricorrenza della festa di S. Francesco; altri voli, nel 1636, sempre a Grottella, e poi a Copertino, nel 1637; il 27 novembre 1638 a Napoli, davanti ai giudici dell'Inquisizione; poi il gruppo di voli nella Basilica di Assisi, tra i quali quello del 1639, quelli del sabato santo 1646, del 7 giugno 1646 (davanti all'Ammiraglio di Castiglia), dell'agosto 1646 (festa del Perdono), del settembre del 1646, del novembre 1646, del 24 dicembre del 1646, del 21 aprile 1647; ed infine il volo di Osimo, poco prima della ricorrenza di Natale, nell'anno 1657.

Serbasi sottolinea che non si trattava di semplice levitazione (da 'levitas'), ma di voli veri e propri, con notevole distacco da terra, in certi casi fin quasi all'altezza di tre metri (fluttuando nell'aria), spesse volte davanti ad una statua lignea della Madonna, che si trovava appunto nella Basilica di S. Francesco ad Assisi. A tal fine viene riportata in appendice anche una tabella delle misure in uso nel Seicento.

Secondo il dizionarietto parapsicologico annesso alla Guida all'occultismo di Julien Tondriau (Garzanti, 1976: Tondriau è stato direttore dei musei d'Arte e di Storia belgi per il dipartimento dell'Estremo Oriente), la levitazione è la facoltà per cui una persona è in grado di mantenersi sospesa nell'aria (orizzontalmente) senza alcun appoggio. Diverso concetto è quello della telecinesi (al quale l'accennata 'voce' rinvia), che secondo Myers consisterebbe nella forza materiale (sic) che interviene nel fenomeno telepatico. In generale, si tratterebbe della facoltà di sollevare o di muovere oggetti a distanza, senza contatto diretto né indiretto. Con la 'teleplastica', René Sudre la colloca nel campo che egli chiama della meta o para-psicofisica, pensando a una forza dovuta al 'fluido' psichico. Sebasti vuole dirci soltanto (quali ne siano le ragioni) che fra' Giuseppe 'volava' nel senso che letteralmente si sollevava da terra e si muoveva in senso orizzontale, in un caso (come narra il Nuti) avendo sollevato con lui altra persona.

Dato e non concesso che fra' Giuseppe si sollevasse da terra in virtù d'un autentico prodigio estatico, almeno in un caso sappiamo con esattezza di quanto si fosse potuto sollevare davanti all'affresco di Cimabue posto nella Basilica inferiore di Assisi, transetto di destra, che rappresenta la Madonna in trono con Gesù in braccio ed accanto S. Francesco. Ha ragione Sebasti (almeno in astratto) a parlare di autentici voli e non di levitazione, nel senso che più e più volte gli sarebbe occorso di staccarsi da terra e spostarsi dalla verticale.

Un'insolita dimostrazione, considerata da alcuni parapsicologi come un'autentica prova di levitazione, è quella che prende nome di 'levitazione a otto dita'. Il sensitivo chiede l'aiuto di quattro persone: una prende posto su una sedia, le altre tre lo aiuteranno a sollevarla. Altri autori parlano anche di cinque persone. Segue una serie ben definita di movimenti, a un dato ritmo prestabilito secondo un certo schema, e in definitiva, quando lo sperimentatore dice di "sollevare", le quattro persone riescono facilmente a sollevare in aria la persona seduta. Ovviamente c'è contatto fisico e la spiegazione del fenomeno consisterebbe, appunto, nella migliore coordinazione dello sforzo sostenuto. Il caso dell'autolevitazione è ovviamente del tutto diverso. A parte il trucco della corda indiana, già in antico erano conosciuti fenomeni simili. Il Prof. Georg Luck, illustre studioso di storia e di letteratura greco-romana, autore del pregevolissimo saggio Il magico nella cultura antica (Mursia, 1994), accenna (pag. 26) a Gesù di Nazareth, a Simon Mago e ad Apollonio di Tiana. Nella Vita di Apollonio di Tiana scritta da Filostrato si riferisce di fenomeni di levitazione ai quali avrebbe assistito Apollonio stesso. Gesù, come ben si sa, ascese al cielo. Gli Atti degli Apostoli, Eusebio di Cesarea e il martire Giustino (ad es. nel Dialogo con l'ebreo Trifone, cap. 120) riportano notizie sulla sfida volante che sarebbe avvenuta a Roma, sotto Nerone, tra S. Pietro e Simon Mago. Un'eccellente ricostruzione di questo leggendario evento è stata fatta dal dottissimo Carlo Pascal (1866-1926) nel suo Nerone (ediz. Ecig, 1994, pag. 121 ss.). Ci sarebbe poi la leggenda della Casa Santa di Loreto. Narra la tradizione che il 10 maggio 1291, essendo stata in quell'anno invasa la Palestina dai Maomettani, la casa della Sacra Famiglia a Nazaret venne miracolosamente trasportata da mani angeliche sopra il colle di Tersatto, presso Fiume. Il 10 dicembre 1294 la Casa sparì da Tersatto e comparì al di qua dell'Adriatico nelle vicinanze di Recanati, in mezzo ad un bosco di lauri, donde il nome di Lauretum, Loreto. Sorse così la Basilica. Il primo santuario risale infatti a quell'anno 1294, ma l'attuale chiesa venne iniziata nel 1468. Sembra che tra gli illustri visitatori di Loreto debbano essere annoverati anche Galileo Galilei e Cartesio.

 

Fra' Giuseppe Maria nasce il 17 giugno 1603, lo stesso anno in cui Federico Cesi fondava l'Accademia dei Lincei. Era figlio di Felice Desa, un artigiano che godeva di stima e di buone amicizie, e di Franceschina Panaca, sposata a 14 anni, di modesta estrazione, ma imparentata ad esponenti di spicco della curia locale. Copertino, a pochi chilometri da Lecce, era un paesotto del Regno di Napoli, già ricompreso nella contea dei Brienne e poi dei d'Enghien, la cui popolazione viveva nell'indigenza come in qualsiasi villaggio dell'Italia di quei tempi. E' questo il secolo d'oro della Spagna, legata alla Chiesa da un forte radicamento di comuni interessi politici. Nel Viceregno Borbone si coglievano, afferma Indro Montanelli, gli effetti devastatori del neo-feudalesimo spagnolesco e riformista. Il che ci sembra coerente cornice per uno spaccato d'ambiente. In quest'epoca la peste uccise più di mezzo milione di persone ed è in quegli stessi anni della vita di fra' Giuseppe che Manzoni ambienta la vicenda lombarda dei Promessi sposi. Il padre di Giuseppe, Felice Dessa, venne nominato curatore del castello di Copertino, appartenente al duca di Acerenza, Galeazzo Pinelli. Ma Felice fu travolto dall'avallo di cambiali per una somma enorme per quei tempi (1000 ducati), e costretto a fuggire per sottrarsi alla carcerazione, lasciando pressoché vedova la moglie, con tre figli da badare. Appena compiuti 7 anni, Giuseppe si ammala gravemente e per circa quattro anni è costretto ad una completa inerzia da un bubbone purulento alla natica, di notevoli dimensioni (un'ulcera cancerosa della grandezza di un melone), che lo immobilizza a letto, causandogli probabilmente quel ritardo di cui avrebbe sofferto. Sembra, poi, che sia guarito miracolosamente da questa stranissima ed inspiegabile malattia, quando un vecchio cerusico, vista l'inutilità delle cure, gli cosparse la ferita con un po' d'olio tratto da una lampada votiva alla Vergine. I biografi lo descrivono ben piantato e più alto della media. Volto pesante e marcato. Somigliante a Padre Pio. Lentezza di riflessi e congenita difficoltà d'apprendimento lo caratterizzano. "Fanciullo un poco risentito" lo descrive un testimone (pag. 15). Fatto è che Giuseppe ebbe sempre un'immensa venerazione per la Vergine Maria, proclamandone a viva voce l'immacolata concezione (il dogma venne ufficialmente sancito da Pio XII in età moderna). Entrato in convento, diciassettenne (1620), viene spogliato e letteralmente buttato fuori dai Cappuccini di Martina Franca per la sua inettitudine. Riesce tuttavia a farsi accogliere (grazie soprattutto all'intercessione materna) al convento della Madonna della Grottella, dove trascorre quasi un anno, nascosto nel sottotetto della chiesa e protetto da un frate impietosito. Si ammala di dissenteria. Sono poi i frati stessi (uno zio materno e uno zio paterno che ricoprivano certi incarichi) ad agevolarlo per un recupero. Inizia, in questo modo, un rinnovato percorso, che lo condurrà infine all'ordinazione (per i dettagli, pag. 22 ss.). Al termine del 1629, cominciano a manifestarsi i primi segnali estatici che consistono in una sorta di caduta in 'trance'. Ed ecco che viene la mattina del 4 ottobre 1630, festa di S. Francesco. Nel corso della processione, fra' Giuseppe, dopo aver indugiato su un dipinto raffigurante il Santo, lancia un grido e cade in estasi. Irrigidito nelle membra come una statua, si solleva lentamente da terra e tra un delirio di grida, di singhiozzi e d'invocazioni avrebbe "volato" al di sopra delle teste, andandosi a posare sul bordo del pulpito rimanendovi a lungo immobile (Sebasti, pag. 29, manca di riferire come ne sia disceso). Da qui la serie di "voli", che tuttavia non furono causa espressa della tardiva canonizzazione un secolo dopo. Col primo manifestarsi di queste sorprendenti capacità fra' Giuseppe venne quindi facilmente 'esibito' con scusa devozionale e condotto in giro nelle predicazioni per le terre del regno di Napoli. Fino alla c.d. truffa o "fattaccio di Giovinazzo" (cap. 7, pag. 35 ss.), che segnò l'inevitabilità d'un procedimento inquisitorio. E siamo arrivati al 1636, quando Giuseppe aveva già 33 anni.

 

Il Prof. Bartocci, curatore di Episteme, deve averci messo un pizzico di malizia accanto alla consueta generosità, nell'affidarmi la recensione del libro di Sebasti. Egli sa che sono nato ed abito in Assisi, e che avrei preso a cuore il 'caso', vuoi per spirito di parte e sia pure per curiosità d'indagine (in verità alquanto difficile, sebbene agevolata assai dall'ottimo ed assai ben documentato testo in commento). A questo punto il peso si raddoppia sulle mie povere spalle. Mi disse, giorni addietro, nel suo studio presso il Dipartimento di Matematica dell'Università di Perugia: <<prendi tempo, nessuna fretta, fa con comodo>>. Ed invece mi sono sentito bruciare dalla curiosità, perché (a parte il bel libro, che occorre leggere per il piacere stesso che fornisce l'attenta ricerca) il 'caso' merita davvero, e sembra per altro non esaurito, poiché l'Autore, dopo aver presentato la sua ottima ricostruzione della vicenda, solleva in chiusura questioni a dir poco interessanti. L'impressione che ricavo è che in ogni caso Sebasti, con un ottimo dosaggio di materia, abbia voluto in qualche modo affrontare soprattutto la questione dei "voli", presentandola con effettiva oggettività documentale. Non ha scritto una biografia e neppure ha inteso sviscerare ad es. tutti i risvolti della canonizzazione, in verità piuttosto tarda e denotata da qualche ambiguità. La copertina chiarisce che <<di tali aerei 'ratti' nel corso della sua vita gliene furono attribuiti quasi duecento. Naturalmente la Chiesa lo proclamò Santo per ben altre ragioni. Dai documenti risulta comunque che i clamorosi prodigi che accompagnavano le sue estasi sconvolsero nell'Italia del '600 intere folle di fedeli di tutte le estrazioni sociali, con forti ripercussioni anche in Europa. Un 'caso' unico nella storia, dunque, non soltanto della Chiesa. Nei secoli seguenti tuttavia, e fino a pochi decenni fa, la popolarità del Santo subì un progressivo declino. Al di fuori dei luoghi strettamente legati al suo culto, quasi se ne perse la memoria>>. Occorre perciò domandarsi <<quale ne fu il vero motivo>>. Sebasti, che è uno scrittore 'laico' (come si definisce egli stesso, pag. 6), con questo saggio ha cercato di fornire una chiara risposta alla sola domanda se il santo volasse davvero, opinando in definitiva per la quasi certezza dell'autenticità di questi 'voli' nel senso sopra precisato. Egli tuttavia conclude il suo lavoro con queste interessanti espressioni, gravide di prospettiva critica potenziale: <<Al di là delle considerazioni strettamente 'tecniche' esposte in questo lavoro, alle quali non voglio dare significati diversi dallo scopo che mi sono prefisso di una indagine storica complessiva sull'argomento, permane quel grande 'mistero' che sottende da sempre la storia della santità nelle sue più svariate manifestazioni. Il mistero di un disegno i cui lineamenti si riesce talvolta ad intuire, più che a decifrare completamente>>. E subito di seguito: <<Forse non è nemmeno da trascurare una strana coincidenza temporale: la canonizzazione di Giuseppe da Copertino avvenne nel luglio del 1767, in pieno secolo dei lumi. La Chiesa consacrava così, alla vigilia di uno dei più grandi rivolgimenti della storia, la vita di un uomo che arse d'amore per il suo Dio fino all'inverosimile, sommerso da un subisso di grazie e di inspiegabili prodigi strettamente legati alla sua fede e alla sua santità>>. <<Queste arcane, 'oltraggiose' manifestazioni mistiche, in stridente contrapposizione alla nuova logica che scaturirà dall'epocale evento della Rivoluzione francese, non saranno forse una pesante sfida a quella 'Ragione' che verrà divinizzata di lì a poco?>>. L'interrogativo di Sebasti, assai ben collocato al termine della sua ricerca, sembra collimare con la ragione di fondo della 'recensione' affidatami da Episteme, con ampia libertà di convincimento. Potrebbe darsi, infatti, che la Chiesa abbia per così dire colonizzato gli 'avvenimenti' (misteriosi sì, ma forse non così eccezionali e del tutto al di là dell'umana misura), proprio come reazione al razionalismo, che con la rivoluzione scientifica del Secolo d'oro e poi dell'Età dei lumi, stava ampiamente penetrando negli strati sociali. Bisogna poi vedere che ne pensa oggi il Cicap di queste versioni 'fideistiche' pur sempre collocate nell'ambito del fenomeno religioso, e controllare eventuali elementi di sano scetticismo, che pur criticamente presenti nell'Autore recensito, vengono per così dire fatti digerire all'interno d'una pur attenta e pertinente indagine documentaria, con la propensione tuttavia ad ammettere una realtà 'miracolosa', come tale razionalmente inspiegabile e fine a se stessa.

La vita di Giuseppe da Copertino si svolse in quell'arco stesso di tempo che vide l'affacciarsi della rivoluzione scientifica, con Galilei, Keplero e Cartesio, per citare i più grandi. La canonizzazione del santo seguì poi nel secolo dell'Illuminismo e dell'Enciclopedismo scientifico. Durante la vita di fra' Giuseppe e il primo manifestarsi delle singolarissime estasi alle quali i "voli" si accompagnavano, Galileo aveva subìto il primo interrogatorio dell'Inquisizione il 12 aprile 1633. Il 22 giugno aveva pronunciato l'abiura. Invece Cartesio si mantenne assolutamente cauto e nascosto. Morì in Svezia nel 1650 (e forse fu avvelenato; vedi ad es. Eike Pies, Il delitto Cartesio, Sellerio, 1999). Keplero (morto nel 1630) era, fortunatamente per lui, protestante e viveva in altri climi. La Chiesa cattolica aveva scatenato la controriforma con il Concilio di Trento (la prima sessione è del 1545), sant'Ignazio di Loyola aveva fondato la Compagnia di Gesù nel 1534, Paolo III l'aveva approvata nel 1540, e nel 1542 Roma aveva ripristinato l'Inquisizione sul modello spagnolo. Da quasi un secolo la Chiesa si era apprestata alla strenua difesa della 'fede', in contrasto con quella che sarebbe poi stata la linea critica dell'età dei lumi. Il caso del santo da Copertino sembra perciò cadere perfettamente in regola, proprio al momento giusto. Si tratta di vedere quanto in regola. Gli scettici (benvenuti tutti i possibili dubbi) hanno qui i loro ottimi argomenti di diffidenza anche sul piano storico (per quanto attenta e capillare appaia, a buon ragione, la ricostruzione di Sebasti della pur non chiara vicenda del santo che volava), in aggiunta naturalmente ai dubbi scientifici circa l'impossibilità fisica di voli simili. Non aveva forse detto Leonardo da Vinci che la natura non infrange mai le proprie leggi? Ma Ruggero Bacone, il Doctor Mirabilis, aveva pure affermato che, benché non tutto sia permesso, tutto è possibile. Si trarrebbe, allora, di scegliere tra queste due diverse 'epistemologie' del 'miracolo'. L'una che lo nega con atteggiamento moderno, l'altra, più possibilista, che ne contempla un'esplicabilità ulteriore ma remota, ai confini di una 'ragione' che può maturare solamente con il tempo.

Ci sorprende però il fatto che l'agguerrito storico assisiate Antonio Cristofani, un razionalista della fine dell'800, non citi neppure di passaggio, nelle sue Storie di Assisi (A. Forni Editore, ristampa 1980), il santo di Copertino, che pure attirò ad Assisi folle di fedeli ed illustri personaggi europei d'ogni sorta, e che fu pure ritratto da Cesare Sermei, un buon pittore originario di Orvieto. Questi, successivamente stabilitosi ad Assisi, ivi visse e lavorò, lasciando opere anche nella Basilica. Nella cittadina umbra, nel XVII secolo, e proprio al tempo di fra' Giuseppe, erano fra i più attivi due pittori, il Sermei (un tipico rappresentante del manierismo romano) e l'assisiate Girolamo Martelli, ambedue discepoli del Nebbia. L'incontro coi due artisti era facilitato dalla loro presenza nella Basilica e nel Sacro Convento. Ed infatti, nel 1645, essi ricevettero l'incarico di dipingere nella cappella privata del santo un'effigie dell'Immacolata Concezione. Fa sapere il Nuti (autore della Vita sopra ricordata), che interpellato al riguardo, il santo cadde in estasi, e rigido come una statua o corpo senz'alito di vita, rimase in levitazione per più di mezz'ora. Quindi, il Sermei, avrebbe pure eseguito un ritratto di fra' Giuseppe, che di fatti fu ritrovato nel 1963, a Osimo, durante l'apprestamento degli studi e delle celebrazioni per l'anniversario della morte. Il silenzio del Cristofani su fra' Giuseppe ha necessariamente il suo peso. Sebasti ci fa sapere che in effetti la presenza ad Assisi del frate volante finì per attirare folle strabocchevoli, creando addirittura un circuito commerciale di reliquie, ad es. la vendita di cappucci o berretti toccati dalla mano del frate (pag. 65) e quant'altro si può immaginare in tali circostanze. Per incontrare fra' Giuseppe si mosse addirittura Giovanni Federico di Sassonia duca di Brunswick, il principe tedesco che amava visitare le corti europee. Trovandosi a Roma nel 1651, volle raggiungere, nel febbraio di quell'anno, Assisi, accompagnato dal marchese Reolcan, dignitario di corte e luterano convinto, per assistere alla messa officiata dal frate leccese, il quale, al momento della consacrazione, tenendo tra le dita l'Ostia santa, si sarebbe sollevato da terra (Sebasti, pag. 66). Federico di Brunswick rimase così scosso dal miracolo, così impressionato dall'avvenimento, che, rinnegata la fede luterana, si convertì al cattolicesimo. Il fatto è ripercorso anche da Giuseppe Alaimo (Alla frontiera del possibile, Longanesi, 1976, pag. 103-104), ma quest'autore fornisce un'altra datazione, l'anno 1645 anziché il 1651. Riteniamo attendibile la ricostruzione di Sebasti, per quanto l'episodio del volo avvenuto davanti all'Ammiraglio di Castiglia (da Sebasti collocato al 7 giugno 1646: cfr. pag. 97), secondo la versione fornita da padre Zaccaria (bibliotecario del Sacro convento negli anni '70, che segue la Vita del Nuti) sarebbe, invece, avvenuto nel 1645. Tra le visite di rango Sebasti (pag. 56) ricorda anche quella del principe Giovanni Casimiro Waza, fratello del re Wladislao di Polonia. Costui era venuto in Italia con l'intenzione di entrare nella Compagnia di Gesù, ma fra' Giuseppe (come racconta il Cardinal Brancati) lo ricevette con toni bruschi e dichiarò che la tonaca non gli si addiceva. Ciò nonostante, il principe divenne cardinale ma dovette abbandonare la carica ecclesiastica quando assunse il titolo di re di Polonia. Morì in esilio a Parigi e con lui la dinastia si estinse. Tra il Waza e fra' Giuseppe intercorse una fitta corrispondenza. Assisi fu davvero la grande ribalta del santo dei voli.

 

A questo punto vorremmo introdurre una nostra ipotesi, che potrebbe sorreggersi se e soltanto siano esatte la datazione e le oscure circostanze alle quali in via presuntiva ci riferiamo. Secondo il Cristofani (op. cit., pag. 417) Cristina di Svezia sarebbe stata presente ad Assisi un certo anno, collocabile all'epoca del suo primo arrivo in Italia, quando fra' Giuseppe poteva ancora trovarsi nel sacro Convento, dopo il confino di Fossombrone e prima del ritiro ad Osimo. Cristina di Svezia (Stoccolma 1626 - Roma 1689) aveva abdicato nel 1654 (Cartesio era morto nel 1650), a favore di Carlo X Gustavo. Dopo l'abdicazione, venne a Roma e qui si circondò di cardinali antispagnoli, e tentò invano di divenire regina di Napoli. Tornò in Svezia nel 1660. Rientrata a Roma una seconda volta, abbandonò la politica e vi morì nel 1689, dopo aver avviato un circolo d'artisti e letterati dal quale nascerà poi l'Accademia dell'Arcadia. Durante il suo primo soggiorno romano Cristina di Svezia si sarebbe recata in visita ad Assisi, il dato è certo, diretta alla Basilica di San Francesco (ed infatti soggiornò, per la rapida visita, in un grande palazzo, Palazzo Vallemani, poco lontano dalla Basilica). Nel 1653 fra' Giuseppe viene mandato al convento dei cappuccini di Pietrarubbia per ordine del Sant'Uffizio. Ciò a cagione del fatto (Sebasti, pag. 68-69) che a Roma lo si accusò di macchinazioni (si mormorava che nella sua piccola cella avvenissero 'piccoli conclavi' con la partecipazione di alte cariche ecclesiastiche) contro il pontefice Innocenzo X, per favorire la successione al soglio di Pietro di un alto prelato esiliato dal papa a Todi. Ad Assisi volevano recarsi in visita nobildonne "straniere", poco gradite dal papa regnante: la duchessa di Parma Margherita dei Medici, dell'odiata casa Farnese, Maria dei duchi di Mantova, Eleonora di Boemia ecc. L'infanta di Savoia, Francesca Maria Apollonia, devota del frate, fu tra le prime persone a fiutare odor di congiura. Fatto è che nel 1653 fra' Giuseppe fu condotto d'autorità prima a Pietrarubbia e poi a Fossombrone. Il 7 gennaio 1655 muore Innocenzo X. Il 6 luglio 1657, per disposizione di Alessandro VII, fra' Giuseppe è restituito al suo Ordine. Il 10 luglio giunge ad Osimo, sua ultima dimora. Non ci sarebbe stato modo di ritrovare il frate di nuovo ad Assisi, in questi anni che vanno dal 1653 al 1657. Ma l'intricata vicenda 'politica' (chiaramente politica) potrebbe essere stata leggermente diversa. Nell'intervallo tra la morte di Innocenzo X (1655) e l'ordine di restituzione di Alessandro VII (1657), potrebbe essere accaduto che il frate avesse fatto breve ritorno in Assisi, e questo potrebbe spiegare lo strano viaggio di Cristina di Svezia, incuriosita pure lei dalla fama miracolosa di fra' Giuseppe. La nostra traccia è del tutto ipotetica, basandosi sulla fama del frate, che aveva attraversato i confini d'Italia e correva per tutta l'Europa. Poi si sa, le donne sono curiose, e Cristina di Svezia quanto a questo non aveva da invidiare nessuna. Si potrebbe quindi ritenere che la fama di fra' Giuseppe fosse ormai divenuta così grande e che su di essa si muovessero percorsi devozionali e trame politiche, tali da giustificare i più vari intrecci. Dietro al portento dei miracoli si può sempre ritrovare il serpentino gioco di meschini interessi umani.

 

Giuseppe aveva iniziato a 'volare' ad Assisi già il 30 aprile 1639. In quell'occasione si sollevò da terra davanti alla Madonna di Cimabue (posta nel transetto di destra della Basilica Inferiore, ad una altezza, il viso, a circa tre metri dal pavimento). I voli si ripeterono, con particolare insistenza, per tutto l'anno 1646. Lo sappiamo con 'certezza' dal diario del Rosmi, un testimone oculare, spesse volte citato da Sebasti.

In un affresco del ciclo iconografico giottesco della Basilica Superiore di Assisi (il dodicesimo dei 28 riquadri complessivi, situato sulla grande parete di sinistra rispetto all'ingresso) S. Francesco viene rappresentato rapito in estasi mentre si solleva in una sorta di nube infuocata. San Bonaventura è il solo a ricordare questa scena, e lo fa molto brevemente: <<Là, mentre pregava di notte, fu visto con le braccia tese in forma di croce, sollevato da terra con tutto il corpo e circondato da una nuvola luminosa; e quella meravigliosa luce intorno al suo corpo testimoniava meravigliosamente la luce risplendente nel suo spirito>>. Qui Giotto non si è uniformato alla descrizione di San Bonaventura, che aveva collocato la scena nella solitudine di una foresta. Trasporta invece l'azione davanti alla porta di una città: a sinistra, quattro fati attoniti guardano il santo, che, a destra, fluttua al di sopra del suolo in una nuvola. Francesco ha le braccia tese e gli occhi levati verso il Cristo, che dall'alto della sfera celeste si piega verso di lui per benedirlo (H. Thode). Per i voli di Giuseppe non poteva dunque esserci miglior luogo della sacra Basilica del Santo!

Padre Giuseppe Zaccaria è stato per tanti anni bibliotecario francescano ad Assisi. Nel 1972 egli raccolse in un volumetto (Ricerche di Archivio. Assisi. Pagine sparse, Casa Editrice Francescana, Assisi, 1972) le "pagine sparse" delle sue "ricerche d'archivio" ed i "ritagli" dei suoi articoli pubblicati in giornali nazionali negli anni cinquanta-sessanta. Egli si occupò più volte anche del caso del santo da Copertino (op. cit., pag. 47): <<Anche all'estero la fama della santità e dei prodigi di questo illustre figlio di S. Francesco si era diffusa ovunque sino ad attirare in Assisi insigni personaggi, prelati e gente di umile condizione. Nel 1645 (questa la data indicata da padre Zaccaria sulla testimonianza della Vita manoscritta di padre Nuti) fra tanti di proposito passò da Assisi il Grande Ammiraglio di Castiglia con la moglie, alcuni familiari ed il seguito. Costui si recava a Roma in qualità di ambasciatore presso il Pontefice Innocenzo X. Al P. Custode fece presente lo scopo del suo viaggio e chiese ed ottenne di poter parlare con fra' Giuseppe. Il colloquio si svolse in segreto nella sua cella, tuttora esistente accanto alla cappella. L'Ammiraglio, congedatosi dal Santo, si recò in chiesa ove l'attendeva ansiosamente la consorte con tutto il seguito, ai quali subito disse: ho veduto e parlato con un altro San Francesco. La moglie desiderosa anch'essa di vederlo e parlargli chiese al P. Custode di concederle un tanto favore. La cosa non era tanto semplice perché fra' Giuseppe aveva ripugnanza di parlare con donne. Si poté rimediare col precetto dell'obbedienza impostogli dal P. Custode facendolo venire in chiesa>>. Prosegue lo Zaccaria, riportando che, secondo il racconto di P. Nuti: <<il Servo di Dio sorridendo disse al P. Custode: Io farò l'obbedienza, ma non so se gli potrò parlare: Infatti, uscito dalla sua cella ed entrando in chiesa dalla porta prossima all'aula capitolare, si trovò di fronte all'altare della Madonna ove posava la statua della Concezione. Aveva posto appena lo sguardo sulla statua che con un grido si lanciò in volo, sollevandosi sopra le teste dell'Ammiraglio e del seguito, andando ad abbracciarsi ai piedi della statua. Restò diversi minuti in quella posizione e poi con un altro grido, ripassando nuovamente in volo sulle teste degli astanti e fatta una riverenza alla madonna col capo chino e il cappuccio calato sugli occhi si allontanò per la porta da dove era entrato>>… Il racconto dell'avvenimento ha quasi la cadenza di un fioretto, e ne ripercorre il ritmo. Seguono poi gli svenimenti delle donne presenti e il soccorso loro portato in questo frangente. In un altro passo (op. cit., pag. 164), padre Zaccaria ripercorre il 'volo' del 1642, festa dell'Immacolata Concezione: <<Era da poco terminato il canto dei Vespri, quando entrò nella cappella il Padre Custode (Raffaele Palma, poi fatto vescovo di Oria). Nel vedere in un angolo il Padre Giuseppe, confidenzialmente gli chiese: Che fai qua paesano? Il santo, fuori di sé, di scatto si avvicinò con la faccia a quella del Padre Custode e con l'indice della mano, indicando la statua dell'Immacolata gli gridò: Padre Custode, dì bella Maria, bella Maria! Il Santo, dopo essere stato alcuni istanti con gli occhi spalancati e fissi sulla statua, scosso da interno impeto e con un fremito nella voce, esclamò più forte: Padre Custode, dì bella Maria, bella Maria! Il Padre Custode intimorito e tremante ripeté con voce foca la triplice esclamazione. Ma il Santo non riscontrando nella voce del Padre Custode l'eco del suo intimo gaudio, con voce più vibrante lo si udì replicare: Dì più forte, Padre Custode, bella Maria, bella Maria! Poi ad un tratto avvicinatosi di più al Padre Custode, il santo lo abbracciò, avvinghiatolo nei fianchi e ripetendo con più enfasi: Bella Maria, bella Maria, fu visto sollevarsi da terra, trasportandosi in alto il Padre Custode, sino a raggiungere l'altezza ove trovatasi la statua dell'Immacolata. Quando ambedue misero il piede a terra, il padre Custode preso da sgomento raggiunse in fretta l'uscita>>…

Ho riportato questi passi (a parte la leggera discordanza di date tra Sebasti e padre Zaccaria) per sottolineare la freschezza stessa del racconto e le implicazioni, anche di tipo psicologico, che vi si accompagnerebbero. Fra' Giuseppe era devotissimo a Maria, e questa annotazione, ben presente a Sebasti, appare piuttosto significativa. Se ne potrebbero ricavare, nell'unità fondamentale della vita di fra' Giuseppe costellata da varie vicissitudini, le ragioni di un dramma personale che condusse ad una grandissima sensibilità ed eccitabilità mistica, che poteva appunto sboccare, in modo impreventivabile e in particolari condizioni di tensione emotiva, in situazioni completamente fuori dall'ordinario, come la condizione estatica con tutto ciò che ad essa può accompagnarsi.

 

Il Prof. Bartocci troverebbe interessante, così mi fa sapere, anche la versione di un cattolico che non creda ai 'voli' di S. Giuseppe da Copertino. A questo riguardo devo confessare di non essere documentato. Ma è certo che la santificazione non avvenne testualmente in virtù di questi episodi, del resto così poco credibili sotto l'aspetto ordinario e non soltanto sul piano scientifico. Resta dunque il sospetto, più che legittimo, d'una sorta di risposta della Chiesa al 'razionalismo' che stava corrodendo la fede e la credibilità popolare nei miracoli. Lo proverebbe anche il caso del prodigioso ricrescere d'un arto avvenuto in Spagna, a Calanda, un villaggio di Aragona, il 29 marzo 1640, per intercessione di Nostra Signora di Pilar. Ad un giovane contadino fu restituita di colpo la gamba destra, amputata più di due anni prima e addirittura sepolta nel cimitero dell'ospedale. L'evento, di schiacciante evidenza, mise a rumore l'Europa. Poi calò un sospetto silenzio, rotto da un saggio di Vittorio Messori (Il Miracolo, Rizzoli, 1998), che appunto rovistò negli archivi recandosi più volte nei luoghi stessi per ricostruire tutta la vicenda. La ricerca effettuata da Messori proverebbe l'assoluta certezza e credibilità dell'episodio, che diversamente da questo, ben s'inserirebbe in possibile 'disegno' ecclesiastico di reazione all'incipiente razionalismo scientifico anche in terra di Spagna. L'assoluta singolarità dei suddetti miracoli e la loro pressoché perfetta ed appropriata contestualità, possono infatti legittimamente indurre a 'sospettare' una possibile manovra di politica religiosa, abilmente condotta dalla Chiesa a tutela del proprio potere.

In rete si possono trovare interessanti osservazioni sulla "grandiosa epopea dei frati volanti", ad es. (http://www.cicap.org/lombardia/cicaplombardianews/02_01_1999/02.htm) un articolo di Clelia Maria Manna a proposito dei fenomeni legati alla vita dei mistici, ripartiti in due gruppi: fatti realmente possibili (digiuni prolungati, stigmatizzazioni), e fenomeni ai quali nessuno in realtà ha mai assistito o che comunque non si sono mai verificati in condizioni di controllo (levitazioni, bilocazioni). Sebasti, oltre che fare riferimento agli atti segreti del Vaticano indicati in bibliografia come 'documenti fondamentali' (pag. 122), fa capo al monumentale lavoro di G. Prisciani, San Giuseppe da Copertino - Alla luce dei nuovi documenti, pp. 1066, Pax et Bonum, Osimo, 1963. In particolare viene citato il lavoro di Anna Maria Turi, La levitazione, fenomeno mistico e parapsicologico, Edizioni Mediterranee, Roma, 1977. Giornalista e scrittrice, laureata in filosofia e in psicologia, la Turi è autrice di numerosi articoli (sull'argomento teneva una rubrica su Il Tempo). La Turi ha esaminato il fenomeno del punto di vista filosofico, psicologico, antropologico e parapsicologico ed ha affermato che la levitazione, pur comprovata, non ha a tutt'oggi alcuna spiegazione. Tra i protagonisti dei cosiddetti "voli", la Turi distingue ed esamina varie categorie: a) i santi, come san Francesco, santa Caterina, santa Teresa d'Avila, san Francesco di Paola (dei cui voli fu testimone il re di Spagna Ferdinando II), san Giuseppe da Copertino (alle cui frequenti levitazioni assistettero centinaia di persone); b) gli indemoniati, come due fratellini che vissero in Germania nel secolo scorso e si alzavano in volo sotto gli occhi di tutto il paese o gli sciamani, come quello stregone africano la cui levitazione fu ripresa dal regista Rolf Olsen (l'uomo sarebbe rimasto sollevato a due metri da terra per circa 40 secondi); c) i medicine-men, come i Lung-gom-pa tibetani, messaggeri volanti in trance; d) i medium come il celebre D.D. Home, il reverendo Moses ed Eusapia Palladino, che 'levitavano' sotto gli occhi di decine di persone.

I rapimenti estatici seguiti da sollevazioni del corpo dalla terra, la levitazione appunto, si sono susseguiti nei secoli e la tradizione ce ne ha tramandato le notizie e riferito i nomi: da Enoch a Elia, da Simon Mago ad Apollonio di Tiana. Dei principali episodi cattolici si occupa invece in un capitoletto ("Volare senza ali") Giuseppe Alaimo (op. cit., pag. 96 ss.). Ce ne serviamo per una rapida rassegna. Il primo di questi episodi riguarda Santa Teresa d'Avila. La santa entrò un certo giorno in estasi, quando don Alvaro de Mendoza somministrò la comunione alle monache. L'estasi fu così totale che Teresa neppure si accorse di sollevarsi da terra ad altezza tale che al sacerdote fu impossibile raggiungerla con l'ostia consacrata. Una seconda levitazione le occorse in presenza di suor Beatrice Alvarez che ne fece testimonianza. Quest'avvenimento è più celebre del primo perché Teresa trascinò con sé, a una certa altezza, il suo confessore san Giovanni della Croce, proprio come accadde a fra' Giuseppe. Anche sant'Alfonso Maria de' Liguori (1696-1787) ebbe episodi di levitazione. Natale 1745: egli si innalzò nella cattedrale di Foggia mentre pronunciava un sermone, e duemila persone presenti all'avvenimento gridarono al 'miracolo'. Un secondo episodio avvenne nel 1756 ad Amalfi. Ci furono poi almeno due altre levitazioni che ebbero conferma scritta. Sant'Alfonso, già avvocato illustre, era un agguerrito teologo, che aveva combattuto il rigorismo giansenista. Allucinazioni, truffe, distorsioni, che altro? Un dato sembra però certo: a 'volare' non fu soltanto fra' Giuseppe da Copertino. E qui si accende un allarme, una spia rossa. Può la ragione accogliere tali 'fatti'? E se non può la ragione, perché dovrebbe la fede? Il libro di Sebasti solleva la questione per il caso probabilmente più clamoroso, quello del santo da Copertino, ma ve ne furono altri, sia prima che dopo, e una risposta 'razionale' non si trova affatto, a meno di ammettere che la mente (alterata da particolari stati emotivi) possa inspiegabilmente compiere, essa stessa, una violazione o una sospensione delle c.d. leggi fisiche, tali in quanto, per definizione, 'osservabili generali' in condizioni di controllo sperimentale, destinate cioè a ripetersi senza eccezione di sorta (al proposito si veda R. Feynman, La legge fisica, Bollati Boringhieri, 1971). La fisica quantistica è una scienza fondamentale. Ma nessuno sa perché funzioni proprio così. Tuttavia non crediamo affatto possibile che la mente umana (l'insondabile potenzialità dell'inconscio) possa in qualche modo provocare un collasso di funzione d'onda, fino a sospendere le leggi dello spazio-tempo. Davanti a fenomeni sconcertanti la ragione suggerisce subito di trovare il trucco. E se lo si cerca davvero, alla fine lo si è sempre trovato. Nel caso ad esempio di S. Giuseppe da Copertino si dovrebbe trattare di un trucco davvero gigantesco, abilmente e perfettamente organizzato. Possibile? Non vogliamo fare un torto al bel saggio di Sebasti se preferiamo partire dal dubbio, per nulla convinti della possibilità in sé del miracolo.

 

Scienza e miracolo procedono (nel tempo) per strade diverse. L'impossibilità logica sembra tuttavia di genere diverso da quella c.d. materiale. La prima si conserverebbe in eterno, la seconda ha carattere provvisorio, dipendente, cioè, dal grado stesso della consapevolezza o cognizione scientifica. Ma non voglio mettermi in una strada così difficile, anche perché il libro di Sebasti già si spiega bene da solo. Se mai, può venir comodo qualche piccolo richiamo di contorno. Ciò in quanto un tessuto minimo di riferimenti può aiutare il lettore a formarsi un'opinione in qualche modo appoggiata ad elementi discorsivi di suffragio, posto in ogni caso che i 'voli' dei santi, come del resto tutti i vari 'miracoli', restano pur sempre un autentico mistero glorioso.

Massimo Polidoro (insieme a Piero Angela, a Silvio Garattini e a Margherita Hack uno dei fondatori del Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale - in sigla Cicap) ha di recente pubblicato un saggio, Gli enigmi della storia (Piemme, 2003), dedicato a una indagine storica e scientifica sui vari misteri, compreso quello della levitazione (pagg. 226 ss.). Si tratta di un contributo imprescindibile, che va perciò analizzato. E lo faremo al solito modo, in rapida sintesi, senza rinunciare a piccoli passaggi.

L'alchimista Giovan Battista Van Helmont (Ortus Medicinae, Leyda, 1767) sosteneva che fosse <<latente nell'uomo una forza magica, assopita dal peccato. Questa forza può venire risvegliata dalla grazia di Dio oppure dall'arte della Kabbala>>. E' evidente il doppio ambito, quello angelico e quello demoniaco. Nulla di nuovo. I teologi cattolici non hanno mai messo in dubbio l'autenticità dei fenomeni di levitazione, anche quando questa riguardasse soggetti che non avevano a che fare con la santità. Verso il 1930 il teologo francese Olivier Leroy formulò quattro conclusioni: 1) il corpo umano può sfuggire talune volte alle leggi di gravità; 2) solo l'agiografia cattolica è credibile perché possiede sulla levitazione una tradizione continua e controllata; 3) chi cerca di spiegare i fatti ricorrendo ad illusioni o allucinazioni dimostrerebbe una completa superficialità; 4) le levitazioni degli indemoniati e dei medium sono una parodia o una farsa del carisma dei santi. Naturalmente le conclusioni di Leroy non spiegano niente, e neppure la scienza ha dato una spiegazione. Siamo al punto di prima. Il miracolo esiste oppure è una truffa (come il trucco della corda indiana). Si dice che siano circa duecento i santi che avrebbero levitato nel corso dei secoli. L'ultima levitazione di cui si ha notizia sarebbe stata quella di Marie-Françoise des Cinq-Plaies, morta nel 1791. Curioso il fatto che da oltre duecento anni non ci siano più segnalazioni di levitazioni di santi. A proposito di S. Giuseppe da Copertino (cfr. M. Polidoro, op. cit.,pag. 229) non solo lo scrittore cattolico Alban Butler (Il primo dizionario dei santi, Piemme, 2001) sottolinea l'ingigantimento leggendario dei fatti, ma padre Robert D. Smiht (Comparative Miracles, B. Herder Book Co., St. Luis, Mo., pag. 38) afferma che il Santo da Copertino non volava affatto, egli era soltanto un atleta e più che sospensioni i suoi erano soltanto degli sbalzi. I testimoni, suggestionati da tale abilità, avrebbero del tutto ingigantita la vicenda, tramutando i fenomeni in voli (la versione è razionale, tanto più che la spinta fisica potrebbe essere stata moltiplicata dalle condizioni di caduta in trance, vale a dire da moti involontari dovuti a situazioni estreme). Ciò non toglie pregio al saggio di Sebasti, che si lascia leggere con grande attenzione.

Ma visto che ci siamo, vorremmo anche divagare un po'. Ricordo di aver letto da ragazzino sul La Domenica del Corriere, che a quell'epoca era il settimanale delle suggestioni e delle curiosità italiane, che una volta Vittorio Beonio-Brocchieri, famoso giornalista de Il Corriere della Sera ed appassionato studioso di spiritismo, dopo una seduta spiritica si ritrovò appeso alla grondaia del tetto di quella stanza. Più o meno vero (ma non è da credersi), tutto ciò ricorda Daniel Douglas Home, famoso e conteso medium inglese, che secondo la testimonianza scritta di lord Lindsay alla Dialectical Society of London, dopo essere caduto in trance, uscì da una finestra per rientrare da un'altra! Il fisico Sir William Crookes era un appassionato ed assai credulone 'medianista', e Sir Arthur Conan Doyle, lo scrittore che inventò Sherlock Holmes e che al proposito non era del tutto scettico, sostenne (The History of Spiritualism, Londra, 1926) che <<O si ammette che i fatti sono tali e quali quelli riportati, o la possibilità di accertare i fatti per mezzo della testimonianza umana deve essere abbandonata>>. Oggi si sa che i casi di Douglas Home, di Eusapia Paladino o i voli del romano Demofilo Fidani (1914-1994) erano degli abili trucchi. Ma potrebbe essere che le levitazioni dei santi non lo siano affatto.

Si racconta che padre Graziano avrebbe reciso una mano dal cadavere di Santa Teresa d'Avila. Questa mano emanava un soavissimo profumo, che avrebbe addirittura fatto recuperare l'olfatto ad una novizia (ma quest'ultima come fece a perderlo?). C'è poi un'altra 'leggenda'. Si racconta (in quel clima d'epoca in cui il mondo inglese era in subbuglio per le grandi imprese archeologiche in Egitto) di un sarcofago che conteneva le spoglie di una principessa. Per una serie di circostanze che per brevità omettiamo, si arrivò a tagliare una mano alla mummia. Giunta a Londra, ci si accorse che da questo frammento di cadavere promanava uno strano calore. La mano tagliata finì in proprietà di Sir Conan Doyle, che la espose al museo delle scienze occulte di Westminster, dove si trova ancora oggi. Con ciò ci siamo divertiti a divagare appena sul bagnasciuga dell'immenso mare dell'occulto, che sembra pullulare di enigmatiche 'realtà' truffaldine.

 

Leo Talamonti, ex ufficiale dell'aeronautica poi giornalista, scrisse tra l'altro un libro assai interessante, Universo Proibito (Sugar Editore, 1966, più volte ristampato in altre edizioni), che ebbe un grande successo. In questo saggio prese in esame tutti i fenomeni che costellano la 'parapsicologia', compiendo (al di là delle conclusioni) un prezioso lavoro di ricerca. Sulla "levitazione" (come "abolizione momentanea del peso") Talamonti ripercorre i supposti poteri dei Lama tibetani, esaltati nel romanzo Il terzo occhio di Lobsang Rampa (uno pseudonimo). Ma è interessante l'annotazione sulle sistematiche modificazioni elettrocardiografiche che si registrerebbero durante le applicazioni di tecnica yoga. Gli stati alterati potrebbero essere la causa di particolari manifestazioni che si collocano al di fuori della normalità. Ciò non significa che sia questa la ragione di ogni manifestazione 'miracolosa'. Hans Bender, già direttore dell'Istituto di parapsicologia dell'Università di Friburgo, si è occupato di fenomeni 'esp', ripercorsi nel saggio Sesto senso pubblicato in Italia dalla Feltrinelli nel 1974. Non di meno il fatto che la scienza si sia occupata (anche a scopi militari) di parapsicologia non avalla l'occultismo, che (ove non trovi una spiegazione scientifica avanzata) è truffa o resta (per i credenti) mistero. Tuttavia queste pagine rimarrebbero quasi senza sale se non citassimo l'elegante ed ironico Beonio-Brocchieri, che con penna straordinaria in Camminare sul fuoco (un eccellente libro pubblicato nel 1973 dalla Longanesi), ci prende per mano e ci conduce nell'ade dei misteri per riportarci poi sani e salvi alla sana ragione. Se "camminare sul fuoco" era a quei tempi una "fantasia" solleticante nella sua ordinaria impossibilità (pena arrostimento dei piedi), ci accorgemmo in seguito che si poteva farlo anche davanti alle telecamere, come appunto fece davanti a milioni di spettatori il giornalista televisivo Mino Damato.

 

Ma si può volare come fra' Giuseppe da Copertino, si può prevedere il futuro ecc.? Miguel de Onamuno, grande poeta spagnolo, viveva a Salamanca ed era il Rettore dell'illustre ateneo. La notte del 31 dicembre 1906 lo colse un presagio, e scrisse questi versi: Y oigo a la sangre / cuyo leve susurro llena el silencio. / Diriase que cae el hilo liquido / de la clepsidra al fundo (E del mio sangue ascolto questo lieve pulsare: esso colma il silenzio. E par che il gocciolio della clessidra cada nel fondo). Il presagio si avverò con benigna dilazione di anni, ma con paurosa simmetria. La notte del 31 dicembre 1936 Unamuno morì. Bisognerebbe leggere Brocchieri, per comprendere tutto il fascino arcano di questi risvolti e tutta l'ironia che poi vi immette. Il padre di Beonio-Brocchieri era ugualmente convinto di sapere con esattezza quando sarebbe morto. Ragionava così: <<Sono nato nel 1872, morirò nel 1953, perché sono rimasto 27 anni scapolo, 27 anni ammogliato; e quindi resterò 27 anni vedovo. 27 per 3 = 81>>. Morì serenissimo alla scadenza precisa: età 81 anni, nel 1953. Aggiunge Brocchieri: <<Del resto anch'io so con precisione l'anno in cui morirò. Io morirò all'età di 74 anni, nel 1976, e lo so perché essendo io nato nel 1902, ho avuto nel 1939 all'età di 37 anni il preciso e sempre riconfermato avvertimento che quello era il mezzo del cammin della mia vita, essendo nata in quell'anno mia figlia che rinnova il nome di mia madre. Quindi 37 + 37 = 74. Controprova: sommando per singole cifre le due date materne 19.8.1879; 19. 11.1927 si ha 74>>. [N.d.R.: In realtà, poi, Brocchieri è morto nel 1979! Si ringrazia per tale informazione il Dott. Bruno Pezzini, autore di un pezzo su questo personaggio che compare nella pagina web: http://www.lodionline.it/personaggi/scheda-beonio.asp.] Di questa premonizione Brocchieri parlò con Riccardo Bacchelli, ospite alla festa annuale dell'Associazione Laureati Ateneo Ticinese. Nell'Aula Magna dell'Università Bacchelli ricevette la targa d'oro modellata da Francesco Messina con l'insegna della "Matricola d'onore". E quando gli fu offerto il gran banchetto rituale nel cortile sforzesco, Bacchelli, sedendosi sulla poltrona curiale, cominciò a raccontare il caso di sua nonna, alla quale in tempi di gioventù una zingara aveva predetto con scadenze precise (anno, giorno, e ora) una grande quantità di avvenimenti che nel corso del tempo si erano avverati puntualmente. Ma la zingara aveva predetto anche l'anno, il giorno e l'ora della morte. A questo punto Bacchelli, grande conversatore conviviale, comincia a preparare una larga tensione d'ascolto con un lungo silenzio (nel mentre vuotava lentamente un boccale di "vino della Versa"). Poi si guardò attorno e riprese il discorso con una curva sintattica degna di Pietro Bembo e larga come un'autostrada. <<Oh, dunque!>> disse. <<La nonna era certa e preparata all'infallibile scadenza...>>. Poi Bacchelli iniziò a divagare, a raccontare tutti i preparativi e i vari congedi. <<Insomma!>> gridò uno studente già brillo che aveva la chitarra a tracolla e una fiasca in mano, <<questa nonna, allo scattare dell'ora, è morta o non è morta?>>. <<Non è morta>>, riprese Bacchelli (matricola d'onore), riprendendo il boccale e vuotandolo fino in fondo... A questo punto mentre Bacchelli ancora parlava della nonna senza concludere, fecero irruzione i goliardi, e cominciò tutt'altra avventura (era stato rapito il "gran pavese", se ne chiedeva il prezzo del riscatto ecc. ecc.). Il giorno dopo al telefono Brocchieri chiede come sia andata a finire la storia della nonna. <<E' finita che superato il giorno e varcata l'ora, quella cara donna diventò convintissima che non sarebbe morta mai più. E incominciò a fare compere e progetti per scadenze di venti, trenta, quarant'anni. Infatti è campata ancora...>>. <<Quanto?>>, domandò Brocchieri, <<quanti anni è campata ancora?>>. Ma, benedetto telefono!, la conversazione si interruppe...

Volava davvero S. Giuseppe da Copertino? Di certo sappiamo che non ebbe incidenti, che non cadde, che non si ruppe le ossa. E però quello di Sebasti è un bel saggio, ben scritto e ben documentato, un'ottima lettura che ci restituisce una immagine umana di fra' Giuseppe che intenerisce e commuove, che esercita il fascino delle cose buone che tutto sommato finiscono bene, nella miglior grazia di Dio. Quanto deve bastare per timor di fede ed umana simpatia in questa misteriosa faccenda che è la Vita.

(Arcangelo Papi donatellacina@libero.it )

tratto da: http://www.dipmat.unipg.it/~bartocci/ep8/ep8-papi.htm

 
 
 

Un commento della Prof.ssa Clelia Maria Canna

 

[Nella pagina web: http://www.cicap.org/lombardia/cicaplombardianews/02_01_1999/02.htm si trova un articolo della Prof.ssa Clelia Maria Canna ("Misticismo e informazione, ovvero: La grandiosa epopea dei frati volanti") sul caso S. Giuseppe da Copertino, citato nel libro di Sebasti (pp. 114-116), e nella recensione del Dott. A. Papi. Bisogna riconoscere che alle principali conclusioni di tale scritto, ritenuto dall'autore dell'opera qui in esame <<piuttosto irridente>>, vengono comunque contrapposte puntuali osservazioni, che si chiudono con la seguente affermazione (che appare peraltro condivisibile): <<Esilarante infine l'ipotesi, definita convincente, di J. Cornwell, secondo la quale i fenomeni dei voli sarebbero nient'altro che "prodezze acrobatiche" dovute a ingestione di intrugli di erbe medicinali...>>. Insieme a un parere della redazione di Episteme, ci è sembrato al solito di far cosa utile presentando ai lettori una replica della stessa Prof.ssa C.M. Canna, che vivamente si ringrazia per aver accettato il nostro invito a intervenire nel dibattito. N.d.R..]

* * * * *

Nel 1999 la rivista CicapLombardiaNews, il bollettino informativo della sezione lombarda del CICAP nazionale, pubblicava un mio articolo dal titolo "Misticismo e informazione ovvero la grandiosa epopea dei frati volanti", il cui scopo era quello di criticare un certo tipo di letteratura e di giornalismo che propone al grande pubblico storie di miracoli e di fatti straordinari in modo acritico e semplicistico, nella speranza che la diffusa credulità popolare dirotti consistenti introiti economici verso i suoi autori ed editori.

Il mio non voleva certo essere un articolo per esperti né, tanto meno, un inventario completo della documentazione esistente sul tema del misticismo, ma, semmai, uno stimolo a guardare al di là, anche soltanto di poco, del solito panorama di ordinario straordinario proposto dall'informazione di cui si è detto e a provare a valutare eventualità alternative alle spiegazioni che chiamano in causa il soprannaturale. L'intento era solo quello di suggerire al lettore interessato ai fenomeni, veri o pretesi che fossero, legati al misticismo, di provare a considerarli da una prospettiva più critica rispetto a quella comunemente suggerita dai media.

Ricordiamoci che, in ogni caso, considerare ipotesi non significa dover dare comunque una spiegazione ad un fenomeno e che l'integrità della ragione non viene messa in crisi davanti all'inspiegato; la razionalità non presuppone la presunzione di capire tutto e preferisce lasciare oscuro ciò che ancora non si riesce ad illuminare.

Nella seconda metà dell'articolo, per fare un esempio di quanto sostenevo, mi soffermavo a considerare brevemente un testo di recente uscita: Il frate volante di Ennio de Concini (San Paolo, 1998). Si tratta di una biografia romanzata di San Giuseppe da Copertino, quasi di una riproposta di quella letteratura agiografica dei secoli passati che mescolava senza chiari confini storia, tradizione e invenzione (pia frode) nella quale, evidentemente miracoli e fenomeni straordinari in genere venivano presentati come ovvii e innegabili.

Quel che io volevo evidenziare a tale proposito era che i famosi voli di Giuseppe da Copertino si possono anche prestare a interpretazioni alternative a quella dell'origine divina, tra le quali ne prendevo in considerazione una, suggerita da John Cornwell in Paranormale dossier aperto (Ed. San Paolo, Milano, 1994). Non ho mai creduto né preteso che quelle poche parole spese sul caso Giuseppe da Copertino rappresentassero un'indagine storica approfondita sul personaggio e neppure di spiegare la natura dei suoi presunti voli.

Come nel mio scritto precedente, ribadisco che è piuttosto facile attribuire al passato eventi straordinari, magici, demoniaci o comunque di origine soprannaturale: essi, proprio perché appartenenti ad un passato lontano perdono il requisito della ripetibilità e diventano comodi per spacciare certezze fondate su basi intrinsecamente insicure. Per questo motivo preferisco che si resti nel dominio delle ipotesi, del forse, del potrebbe essere stato e non in quello delle verità. Non ritengo quindi possibile giungere a una spiegazione esauriente e definitiva su un fenomeno come quello dei presunti voli di Giuseppe da Copertino, perché appartiene ad un passato troppo lontano che, come tale, non potrà mai essere conosciuto in modo sufficiente per giungere a sostenere che ci siano state violazioni delle leggi della fisica.

Non dimentichiamoci che affermazioni straordinarie necessitano di prove straordinarie, prove che non possono essere rappresentate da semplici scritti di secoli fa.

Il mio articolo aveva già, a dire il vero, suscitato qualche protesta da parte di taluni devoti di San Giuseppe da Copertino, quando nel 2003 viene aspramente criticato da Goffredo Sebasti nel suo Il caso Giuseppe da Copertino, edito da Sugarco. Si tratta di un lavoro, a mio avviso, curato e ben documentato sulla vita miracolosa del nostro frate Giuseppe che risulta indubbiamente interessante. Non condivido però la conclusione a cui Sebasti perviene.

Non dubito del fatto che esistano documenti, riferiti anche a testimoni oculari, che sostengono la veridicità dei voli del santo e che tali voli avvenissero sempre durante le sue estasi mistiche, ma di qui ad affermare che si trattasse inequivocabilmente di manifestazioni di origine divina (del Dio dei Cristiani, naturalmente), il passo è, a mio avviso, troppo lungo.

Del lavoro di Sebasti mi ha colpito soprattutto una particolarità e cioè che egli dimostra di avere preso in considerazione molte delle obiezioni suscitate dalla tesi miracolista da lui sostenuta, come per esempio la possibilità di una patologia psichiatrica che avrebbe afflitto il nostro santo, ma le scarta in modo veloce e poco convincente a favore della spiegazione da lui evidentemente preferita. Del resto, Sebasti dimostra in più punti di non avere dubbio alcuno sull'autenticità di fenomeni come la bilocazione, la preveggenza, l'emanazione di intenso profumo, nonché la possessione demoniaca e similari, quindi, nessuno stupore se a questi fenomeni si aggiungesse anche il volo estatico.

Io mi astraggo da qualsiasi giudizio personale su questo tipo di convinzioni: Sebasti dimostra di essere un uomo di fede e, siccome la fede è un qualcosa che lega e che intesse la vita dei credenti in modo così intenso e profondo da costituire la risposta alle proprie domande e angosce esistenziali, io, umanamente, comprendo il tentativo di dimostrarne il fondamento tramite fatti oggettivi.

Ora, visto che nel libro di Sebasti mi viene contestata l'ipotesi di spiegazione dei voli di frate Giuseppe che accreditavo nell'articolo del 1999, proverò, anche grazie a questo stesso testo, ad esporre qualche altra riflessione sull'argomento, senza pretesa di scientificità: ritenetela soltanto la mia opinione.

Premetto, comunque, che come già avevo suggerito nell'articolo del 1999, ritengo che chi si occupi di fenomeni legati al misticismo non possa esimersi dal prendere in seria considerazione i testi dello psicologo Armando de Vincentiis Psicologia dei mistici cristaini e Estasi che offrono una chiave di lettura sull'argomento in questione che io considero altamente condivisibile.

Ma veniamo al nostro frate Giuseppe.

Provo un'immensa pietà umana per questo personaggio o, per lo meno, per quello che di lui si ritiene di sapere: ammettendo che la sua biografia sia quella che io ho letto, tra l'altro, anche nel libro di Sebasti, non posso fare a meno di pensare a un'acuta e difficilmente sopportabile sofferenza psichica e spesso anche fisica. Il nostro santo fu un ragazzino diverso, non certo brillante, evitato e deriso dai coetanei, che viveva, con buone probabilità, un profondo disagio dovuto ad uno stato di disadattamento.

A questa già non rosea situazione si aggiunsero i quattro anni che il giovanissimo Giuseppe, gravemente ammalato, trascorse a letto, nella solitudine e nella sofferenza. Non mi stupisce molto sapere che proprio in questo difficilissimo, se non insopportabile, periodo della sua vita si verificarono le sue prime estasi, o forse soltanto i primi sintomi di una mente che voleva "staccare" da una realtà intollerabile e rifugiarsi in un mondo migliore.

Negli anni successivi della sua difficile vita, molte e pesanti frustrazioni continuarono a martoriare quel pover'uomo dall'equilibrio mentale già altamente compromesso.

Sembra quasi sicuro che quando Giuseppe da Copertino andava in estasi succedeva qualcosa di strano, di non comune, di inatteso, o addirittura di spaventoso, che colpiva ma anche terrorizzava i presenti.

Trovo arduo però cercare di ipotizzare con esattezza cosa veramente accadesse in quei momenti. Molti testimoni affermarono di vedere il frate volare, ma siamo sicuri di avere le testimonianze di tutte le opinioni che in quell'epoca circolavano riguardo ai fatti strani che accadevano durante le estasi di Frate Giuseppe? Quanti occhi senza nome furono testimoni dei fatti, quanti sguardi senza parole, che mai ebbero la possibilità di far conoscere la loro opinione sull'accaduto, assistettero alle convulse crisi di quel frate infelice?

I documenti dell'epoca soffrono inevitabilmente della parzialità che può essere ascritta al criterio di raccolta delle testimonianze o, forse, anche all'eventuale distruzione di qualche scritto, magari diventato scomodo, che noi non leggeremo mai.

Inoltre, Sebasti stesso cita in più punti del suo lavoro la possibilità che la folla terrorizzata dai fenomeni, certamente inconsueti, a cui assisteva durante le estasi del frate santo, andasse incontro ad una sorta di delirio collettivo. Qualcuno sveniva, probabilmente molti gridavano e l'atmosfera si faceva trascinante e idonea a far perdere la lucidità mentale a chi ne fosse predisposto. E non dimentichiamo, inoltre, che la mentalità del tempo conduceva facilmente a credere in fatti di origine soprannaturale e nelle pie leggende che li narravano.

Da ultimo, volevo anche azzardare una piccola ipotesi sul perché l'Inquisizione non condannò il nostro frate per esibizione di santità. Al di là del discorso già affrontato sulla validità dei documenti e delle testimonianze del passato, mi viene da chiedermi cosa sarebbe successo se il tribunale della Santa Inquisizione avesse condannato un personaggio carismatico, trascinatore di folle ed indubbiamente amato dalle moltitudini... Forse, l'isolamento di frate Giuseppe fu proprio la decisione migliore che si potesse prendere in quel frangente…

Certamente qualcuno penserà che quanto sto affermando in questa sede è assurdo o forse anche offensivo. Mi si potrà obiettare che io parlo da non credente, da persona che vuole negare a priori la possibilità che esista davvero un Dio in grado di intervenire nel vivere umano e di stravolgere le leggi della fisica.

A chi pensasse in questi termini rispondo che io non nego nulla a priori, ritengo soltanto che prima di credere in un fatto straordinario devo essere sicura che questo fatto sia davvero avvenuto.

Non è poi certo mia intenzione offendere qualcuno o sminuire valori che altre persone ritengono importanti.

Anzi, trovo stimolante che le persone animate da sentimenti e da idee diverse dalle mie le esprimano con passione: sono convinta che solo dal confronto con un pensiero diverso possano nascere quelle riflessioni, che solitamente non portano a scoprire alcuna verità assoluta, ma che certamente ci aiutano ad allargare la nostra pur sempre limitata visuale di esseri umani.
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Clelia Maria Canna si è laureata il Lingue e Letterature Straniere Moderne presso l'Università degli studi di Milano nel 1993, con una tesi intitolata "Il Dizionario critico delle reliquie e delle immagini miracolose di Collin de Plancy". Socia del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale) dal 1995, ha scritto alcuni articoli sul tema delle reliquie e del paranormale religioso per la rivista Scienza e Paranormale e per alcune riviste regionali del Comitato. Ha inoltre presentato la tesi di laurea presso il Congresso Nazionale del CICAP del 1999. Successivamente ha tenuto alcune conferenze, sugli stessi argomenti, presso il Circolo Culturale "Giordano Bruno" di Milano. Dopo la laurea, ha sempre lavorato presso una piccola azienda lombarda, esportatrice di Made in Italy.  (clelia.canna@liberopensiero.com

tratto da: http://www.dipmat.unipg.it/~bartocci/ep8/ep8-canna.htm

 
 
 

Un commento dalla redazione di Episteme

 

 

 

 

Thomas Paine ebbe a osservare che:

<<A cruel God makes a cruel man>>;
si potrebbe completarne il pensiero affermando
che un Dio assurdo rende gli uomini assurdi.

 

 

 

 

tratto da: http://www.dipmat.unipg.it/~bartocci/ep8/ep8-sebast.htm

La vicenda di Giuseppe Desa da Copertino può definirsi invero sconcertante, e bisogna riconoscere che il testo di G. Sebasti ne offre una ricostruzione soddisfacentemente accurata (almeno per chi non voglia, o non possa, approfondire al di là di un certo punto). Il lato sorprendente di essa, per un razionalista, è naturalmente la sua storicità, in quanto gli eventi si sono svolti in tempi piuttosto recenti, e non ci si può pertanto appigliare, per respingerne senza fatica l'aspetto fantastico, alla mancanza di "documentazione", o al carattere frammentario - e inaffidabile, date le sue presumibili finalità - dell'informazione che ci proviene da periodi più antichi, dalle età dei "miti"1. Non dimentichiamoci infatti che siamo nello stesso secolo di Galileo e di Cartesio, peraltro curiosamente apparentati con il "santo volante" da pellegrinaggi a Loreto2, località contigua all'ultimo luogo di reclusione (questo è il termine che bisogna usare per rendere conto della realtà dei fatti, come chiaramente fa il Sebasti quando parla di rapimento, sequestro) del povero "idioto".

Detto diversamente, l'autore pone in maniera corretta al razionalista una sorta di sfida intellettuale, mettendolo di fronte al dilemma se manifestarsi affètto, davanti al resoconto di "fatti" che escono dalla sua esperienza ordinaria, da quel pathological disbelief di cui si parla in questo stesso numero della rivista3, oppure se accettare, foss'anche solo presuntivamente, i detti fatti, con il rischio di passare alla fine per uno sciocco credulone. Non a caso Sebasti afferma che: <<Non ho argomenti da opporre a chi neghi a priori l'autenticità dei fenomeni aerei attribuiti al nostro frate>> (p. 117).

Abbiamo usato due volte il termine "razionalista", il che non è fuor di luogo per una rivista che si ispira esplicitamente a Cartesio, e ciò introduce all'unico appunto che ci sentiamo di poter muovere al Dott. A. Papi, uno dei preziosi collaboratori di Episteme. Vale a dire, l'aver definito "razionalista" l'autore del testo recensito, mentre palesemente questi non appare tale: laico sì, razionalista no! Bastino per convalidare siffatto giudizio affermazioni quali le seguenti, espresse con ogni serietà (corsivi aggiunti): <<Ritengo ad ogni modo indispensabile precisare che le motivazioni che mi hanno spinto ad affrontare questa indagine rientrano tutte in una ricerca storica intesa a far luce, per quanto possibile, sui famosi prodigi aerei che tanto hanno gravato sulla memoria di questo eletto del Signore>>, p. 6; <<C'è dell'altro, difficilmente rintracciabile nelle cronache. C'è quello che diversifica l'unto del Signore>>, p. 23; <<L'anabasi del corpo, oltre che dello spirito, è sicuramente avvenuta, ed è di origine divina in quanto legata all'estasi>>, p. 117; etc..

Ecco, le dichiarazioni precedenti testimoniano la presenza di quella comune forma di irrazionalità (è il termine giusto, che non vuol essere offensivo, ma soltanto alludere a una differenziazione metodologica) che indulge nel voler a tutti i costi credere nell'esistenza di un lato misterioso, occulto, e in certa misura "consolante", della realtà. Un atteggiamento che non è fondato di solito su esperienza personale - che allora sarebbe pure accettabile, ancorché difficilmente trasmissibile da persona a persona - ma solo su sentito dire, su un atto generico di "fede". Ci piace a tale proposito citare estesamente quanto ebbe a dire Thomas Paine sia sul rispetto di ogni opinione, sia sul valore di "rivelazioni" di seconda o terza mano4.

<<You will do me the justice to remember, that I have always strenuously supported the Right of every Man to his own opinion, however different that opinion might be to mine. He who denies to another this right, makes a slave of himself to his present opinion, because he precludes himself the right of changing it. [...] I do not mean by this declaration to condemn those who believe otherwise; they have the same right to their belief as I have to mine. But it is necessary to the happiness of man, that he be mentally faithful to himself. Infidelity does not consist in believing, or in disbelieving; it consists in professing to believe what he does not believe>>.

<<Each of those churches show certain books, which they call revelation, or the word of God. The Jews say, that their word of God was given by God to Moses, face to face; the Christians say, that their word of God came by divine inspiration: and the Turks say, that their word of God (the Koran) was brought by an angel from Heaven. Each of those churches accuse the other of unbelief; and for my own part, I disbelieve them all. As it is necessary to affix right ideas to words, I will, before I proceed further into the subject, offer some other observations on the word revelation. Revelation, when applied to religion, means something communicated immediately from God to man. No one will deny or dispute the power of the Almighty to make such a communication, if he pleases. But admitting, for the sake of a case, that something has been revealed to a certain person, and not revealed to any other person, it is revelation to that person only. When he tells it to a second person, a second to a third, a third to a fourth, and so on, it ceases to be a revelation to all those persons. It is revelation to the first person only, and hearsay to every other, and consequently they are not obliged to believe it. It is a contradiction in terms and ideas, to call anything a revelation that comes to us at second-hand, either verbally or in writing. Revelation is necessarily limited to the first communication -- after this, it is only an account of something which that person says was a revelation made to him; and though he may find himself obliged to believe it, it cannot be incumbent on me to believe it in the same manner; for it was not a revelation made to me, and I have only his word for it that it was made to him. When Moses told the children of Israel that he received the two tables of the commandments from the hands of God, they were not obliged to believe him, because they had no other authority for it than his telling them so; and I have no other authority for it than some historian telling me so>>.

A parte tutto il resto, ciò che più colpisce in interpretazioni "irrazionalistiche" quali quella che ispira indubbiamente l'opera in parola, non è tanto il fatto che i fenomeni "miracolosi" si manifestino con un'eclatante rottura con l'esperienza ordinaria, quanto la proposta di ricollegare tali pretese rotture con la "volontà" di un "essere superiore". Di fronte a queste concezioni teologiche - assai diffuse in area cattolica - il "filosofo" non può fare a meno di domandarsi come si possa concepire un "Dio" caratterizzato da un comportamento così imperscrutabile e bizzarro, quasi un imprevedibile, ma temibile (perché potente, e quindi pericoloso), giocherellone, che elargisce castighi e benedizioni in modo alquanto maldestro, e spesso "ingiustificabile" (sottinteso: per la razionalità umana, l'unico strumento d'altronde di cui ci si possa giovare senza abiurare la propria dignità di persona5).

E non si creda che la discussione investa un lato marginale dei rapporti tra religiosità e razionalità. Ancorché i numerosi spregiudicati artefici di ogni compromesso, per quanto assurdo, amino sostenere il contrario, preferiamo senz'altro la linea di pensiero logicamente coerente espressa in: http://sanlorenzo.dataport.it/apologetica/miracolo.htm, "I nemici del miracolo". Il miracolo viene descritto quale elemento essenziale, segno, della presenza di Dio nel mondo, e, ripetiamo, ne emerge una ben discutibile immagine della divinità6. Sull'argomento ci sembra abbia detto già tutto il citato Paine7, e che non ci sia nulla da aggiungere, in perpetuo, alle sue parole (i corsivi sono nostri):

<<In every point of view in which those things called miracles can be placed and considered, the reality of them is improbable and their existence unnecessary. They would not, as before observed, answer any useful purpose, even if they were true; for it is more difficult to obtain belief to a miracle, than to a principle evidently moral without any miracle. Moral principle speaks universally for itself. Miracle could be but a thing of the moment, and seen but by a few; after this it requires a transfer of faith from God to man to believe a miracle upon man's report>>.

Per tornare alla "sfida" di cui si diceva in esordio, Sebasti sottolinea, in sede di conclusione, che:

<<Negare tutto ciò significherebbe inoltre supporre un mostruoso complotto, una truffa organizzata, significherebbe tacciare di falso collettivo generazioni di testimoni oculari, religiosi e laici, e liquidare come falsa una ponderosa documentazione originale, tra l'altro ben conservata, completa, relativamente recente e a disposizione di tutti. Significherebbe considerare come contraffatta anche la ricchissima raccolta epistolare, costituita da lettere originali pervenute da molte corti d'Italia e d'Europa, conservata ad Osimo e in diversi altri archivi, a disposizione di chiunque volesse consultarla>> (p. 117).

Riteniamo opportuno partire da tale considerazione, affrontando anzitutto il problema filosofico generale della verità, al quale, in un'atmosfera concettuale che vede predominante lo scetticismo-nichilismo novecentesco, ci pare doveroso dedicare qualche riflessione apposita, anche per fugare il dubbio che possa essere l'adesione a questa deriva del pensiero moderno l'ispiratrice prima delle nostre critiche.

Coloro che ironizzano sul concetto stesso di "verità" si riferiscono usualmente ad essa con il singolare, e con una sottintesa iniziale maiuscola, laddove invece dovrebbe parlarsi di verità al plurale, e con la lettera "v" assolutamente minuscola. Tante piccole verità, dunque, al cui accertamento è preposta la conoscenza intellettiva, mossa da atti di volontà che hanno origine nella curiosità umana (<<Tutti gli uomini tendono per natura al sapere>>, con queste parole iniziano gli scritti metafisici di Aristotele). Sul loro complesso, faticosamente edificato, si fonda poi la Weltanschauung (variabile nel tempo) di ogni essere umano, quando essa è "onesta" (più a buon mercato la scelta dei "conformisti" di prendere in prestito qualcuna di quelle già confezionate, in vendita all'ingrosso in qualunque periodo storico, espressione dello "spirito del tempo" della società alla quale si appartiene). Esse si possono ripartire in tre classi fondamentali.

1 - Le verità di natura che potremmo dire logica8, che in senso kantiano comprendono i giudizi sintetici a priori, su cui si edifica per esempio la matematica, e i giudizi analitici che regolano i processi di deduzione logica, tanto in matematica come altrove9.

2 - Le verità di natura sperimentale, ovvero, ancora in senso kantiano, i giudizi sintetici a posteriori, che vengono desunti dall'osservazione della "realtà materiale"10. Esse consistono sostanzialmente nella descrizione di processi naturali che si ripetono identici nelle medesime condizioni, e nella formulazione di "leggi" generali che sono determinate attraverso un procedimento d'induzione, dei cui limiti epistemologici bisogna sempre essere consapevoli.

3 - Le verità di natura storica, che attengono anch'esse al campo dei giudizi a posteriori, con la differenza che si tratta di fenomeni unici, non (almeno esattamente) ripetibili11, oggetto esclusivamente di racconti, testimonianze, destinati alla "memoria".

E' chiaro che nella presente circostanza dobbiamo esaminare eventuali verità della terza categoria, che offrono gravi difficoltà di accertamento all'investigatore12, e impervi ostacoli di trasmissione interpersonale (intervenendo qui, inoltre, gli ordinari inevitabili fraintendimenti linguistici: le language est source de malentendus, come rammenta Saint-Exupéry in Le Petit Prince), ma non per questo possono essere espunte dall'ambito di ciò a cui è lecito attribuire le specificazioni "vero" o "falso". Se è arduo tracciare una netta linea di demarcazione tra "fatti" e "discorsi sui fatti", i primi restano in ogni caso gli elementi essenziali della trama costitutiva della storia, e con essi bisogna fare i conti - obbligo che vale pure per i mistificatori, gli esperti in disinformazione. Tutti i "creatori di storie" agiscono di solito innestando elementi fantastici su quelli reali, e favorendo resoconti ad arte parziali, che consentano le desiderate interpretazioni di comodo. Rimangono però, intorno a un evento realmente verificatosi, e significativo al punto da provocare conseguenze, una serie di concomitanti evidenze, indizi (vedi la nota 12), ed è lecito allora anche "accontentarsi" di poter solo intravedere la verità. Bernard Fay (nella Prefazione a La Franc-Maçonnerie et la révolution intellectuelle du XVIIIe siècle, Ed. de Cluny, Parigi, 1935), scrive che è possibile soddisfare <<la passion de comprendre>> dal momento che <<les hommes n'ont pas détruit tout ce qu'ils croyaient détruire ni caché tout ce qu'ils voulaient dissimuler; ce désordre permet a l'historien d'entrevoir parfois la vérité>>. Così, in questo senso, quando sia naturale presumere un deliberato intervento correttore dell'uomo sulla semplice verità fattuale, il lavoro dello storico può assomigliare a quello del decifratore: il suo compito è di separare il grano dal loglio, di scavare nelle zone d'ombra, sospette al pari delle zone di luce eccessiva, pervenendo semmai a individuare un ventaglio di ragionevoli alternative, e a descriverne la maggiore o minore probabilità. Un apprezzabilissimo esempio dell'applicazione di tale metodo ci sembra offerto da Flavio Barbiero, nel suo ottimo La Bibbia senza segreti, per il quale rimandiamo senz'altro alla presentazione che ne fu fatta in Episteme N. 2.

Di fronte alle verità del terzo tipo si riscontra un ampio spettro di atteggiamenti. E' frequente oggi imbattersi, specialmente in ambito accademico, in "scettici" part time, che si mostrano dubbiosi dello stesso concetto di verità storica13, ma non di quelle (e quindi dei connessi "giudizi di valore") che costituiscono il fondamento incriticabile (se non a prezzo di sgradevoli contestazioni) della società a cui appartengono. Ci piace concludere il presente intermezzo accennando al parere più accettabile, e "umano", espresso da Marguerite Yourcenar ("Taccuini di appunti" per le Memorie di Adriano, 1971): <<Tutto ci sfugge. Tutti. Anche noi stessi. La vita di mio padre la conosco meno di quella di Adriano. La mia stessa esistenza, se dovessi raccontarla per iscritto, la ricostruirei dall'esterno, a fatica, come se fosse quella d'un altro. [...] Il che non significa affatto, come si dice troppo spesso, che la verità storica sia sempre e totalmente inafferrabile; accade della verità storica né più né meno come di tutte le altre: ci si sbaglia, più o meno>>.

Fatta tale indispensabile premessa, torniamo al punto fondamentale dell'analisi di Sebasti, che viene rafforzato nella recensione del Dott. Papi da una citazione di Sir Arthur Conan Doyle14, il creatore del celebre personaggio di Sherlock Holmes: <<O si ammette che i fatti sono tali e quali quelli riportati, o la possibilità di accertare i fatti per mezzo della testimonianza umana deve essere abbandonata>>. Occorre in effetti affrontare senza mezzi termini la questione della "verità" dei voli (e conseguentemente del relativo "contorno", incluse le presenze "diaboliche" che perseguitarono il santo, e ricordano tanto, nella loro fenomenologia, un'analoga storia moderna, pure ambientata in Puglia: ci riferiamo ovviamente alle gesta del venerato Padre Pio, opportunamente menzionato nella recensione del Dott. Papi), e formulare talune ipotesi.

La prima alternativa con cui ci sembra legittimo rispondere all'interrogativo di Sebasti, è del tutto radicale: non è affatto assurdo pensare a un trucco esplicito, ancorché da determinare nei dettagli, simile al numero della corda indiana ricordato dal Dott. Papi. Un trucco messo in atto le prime volte dietro suggerimento, forse, di quell'oscuro personaggio che è il padre Antonio da Santo Mauro, provinciale dei Minori Conventuali (p. 35)15. Una magnifica trovata, realizzata probabilmente solo poche volte, e facilitata dalla lontananza del santo dalla folla dei credenti. Al resto avrebbe potuto contribuire, al di là delle primitive intenzioni (limitate a un ristretto ambito locale), il noto meccanismo di produzione e sviluppo delle "leggende metropolitane", oltre ai modi di fare propri del frate - da immaginare più nel ruolo di vittima, data la sua debole personalità, che di protagonista. Un espediente di cui naturalmente non ogni componente delle gerarchie ecclesiastiche era al corrente, né sarebbe stato consapevolmente accettato, in una molteplicità di reazioni e di complicità (le une e le altre facilmente prevedibili da parte di chi era al corrente, o indovinava, la realtà dei fatti) che spiegano passabilmente certi comportamenti all'apparenza incoerenti (ma appunto di diversi soggetti, ancorché ad essi si faccia riferimento con l'unico termine: "Chiesa"). Non va dimenticato infatti che nella vicenda del "santo volante" non tutto è propriamente innocente. Tralasciando la presumibile esistenza in generale di differenti strategie all'interno della Chiesa del tempo, volte a contrastare le tendenze materialistiche, antireligiose, dell'età dei lumi - esigenze che avrebbero potuto in qualche caso far balenare la possibilità di un uso ideologico dei fenomeni miracolosi che si accompagnavano alla vita del santo - è accertato anche, almeno in un caso, un uso politico di essi. Vediamo in che modo riporta gli eventi il Sebasti.

<<Giovanni Federico di Sassonia [...] era particolarmente corteggiato dalla Santa Sede in vista di una possibile conversione che avrebbe dato notevole lustro al partito cattolico della Bassa Sassonia. Non per nulla il cardinale Facchinetti scrive al nostro frate annunciandogli che il duca, in occasione dell'Anno Santo 1650, sarebbe andato a Roma e che per parte sua avrebbe fatto di tutto per condurlo ad Assisi. Il porporato si raccomanda affinché Giuseppe si adoperi per la sua conversione e conclude testualmente: "Il Principe che dev'essere la sua pecorella è già a Roma...">> (duca o principe, per i nostri scopi è lo stesso).

Come andò a finire questa storia è presto detto.

<<Durante la seconda messa, il duca assiste a uno spettacolo sconvolgente: alla consacrazione Giuseppe, tenendo alta l'ostia tra le mani, si solleva da terra. Il "duro" Giovanni Federico di Sassonia cade in ginocchio sciogliendosi in lacrime: rimarrà devotissimo al nostro frate per tutta la durata della sua vita e del suo regno>>.

Peccato però che non tutto il seguito del duca fosse toccato dal "miracolo", ed evidentemente sospettasse la presenza di qualche intrigo.

<<Va ricordato tra l'altro che il suo [del duca] accompagnatore, l'intransigente consigliere marchese Reolcan, aveva deciso di uccidere di sua mano quel "maledetto frate". Ma gli andò male: Giuseppe "sentì" il pericolo e ne parlò al principe, che punì severamente il suo suddito>> (come non ci è dato sapere; pp. 66 e segg.).

L'utilizzazione ideologica dei <<fenomeni aerei>> (e di conseguenza la presumibile medesima origine) è stata verosimilmente respinta in quanto imbarazzante per la maggioranza delle coscienze degli stessi componenti della gerarchia ecclesiale romana del XVII secolo, e ciò sembra capace di rendere adeguatamente conto dell'oblio altrimenti inspiegabile a cui è stato condannato questo santo "moderno". Il <<sospetto silenzio>> al quale accenna il Dott. Papi, che il Sebasti descrive con le seguenti parole:

<<mi incuriosì il fatto che, al di fuori dei confratelli del suo Ordine, e lontano dai luoghi strettamente legati al suo culto, essa fosse così poco nota>> (p. 5); <<Condannato due volte, prima all'allontanamento dall'"umano consorzio", poi all'oblio, la figura di questo grande santo sembrava inevitabilmente legata a una progressiva emarginazione. Ma ora, all'alba del nuovo millennio, l'oscuramento si sta rivelando una semplice eclissi>>, (p. 117).

Una storia presumibilmente troppo anacronistica per la stessa parte cattolica maggiormente informata dei fatti, e culturalmente più aggiornata, la quale avrebbe deciso che sarebbe stato quindi preferibile sorvolare, è proprio il caso di dire.

<<Un mostruoso complotto, una truffa organizzata>>, ammonisce Sebasti, ma bisogna riconoscere che infinito è purtroppo il numero degli stolti16, e corrispondentemente elevato il numero di coloro che in ogni tempo di tale "stoltezza" (talora uno stato di beatitudine non pensante, un rifugio deliberatamente prescelto dalle angustie del mondo) hanno inteso approfittare. Si minimizzano a volte gli effetti di certe invenzioni, contrabbandate come aventi fini comunque benevoli, trascurando il fatto che potrebbero avere invece conseguenze da biasimare decisamente, seppure non sempre esse siano immediatamente visibili17.

Del resto, la creazione di leggende a beneficio della credenza popolare è un fenomeno ancora oggi sotto i nostri occhi18, bastino per tutte le storie di Padre Pio19, o di Monsignor Milingo20. Vogliamo accennare a un altro caso interessante su cui vale la pena di rendere testimonianza personale a distanza di molti anni. Intorno al 1980 (non ci è possibile purtroppo essere più precisi), girava in taluni ambienti mistico-esoterici la voce che un fenomeno solare prodigioso come quello che si dice avvenuto a Fatima, in occasione delle famose apparizioni mariane del 191721, si sarebbe ripetuto presso il Santuario della Madonna delle Tre Fontane, a Roma. Mi recai allora sul posto, di buon mattino, assieme a un caro amico dalla fervida fede22. Mano mano convennero in loco diverse persone, infine una piccola folla. Tra una conversazione e l'altra passarono le ore, e non mancavano previsioni sul momento in cui l'atteso fenomeno si sarebbe verificato: chi diceva a mezzogiorno, chi proponeva un'ipotesi differente. Insomma, per farla breve, rimanemmo lì fino al tramonto, quando i convenuti più resistenti cominciarono gradualmente a fare ritorno a casa. Nulla avvenne, e non solo non ne ebbi percezione io, ma neppure l'amico, né qualcuno sostenne di vedere qualcosa che ad altri non era dato scorgere. Orbene, messa agli atti questa ulteriore delusione nel campo del "prodigioso", mi accadde di leggere su un quotidiano, o l'indomani, o poco dopo (di nuovo, purtroppo non rammento bene i particolari), che il giorno tal dei tali, alle Tre Fontane, si era ripetuto il prodigio di Fatima: il sole aveva ruotato, etc.! Una "piccola" bugia, confinata in una breve nota marginale, forse a vergognarsi di se stessa sin dal suo nascere (per far piacere a chi?!), ma capace comunque di circolare e confondere, al punto da far ritenere alla persona con la quale mi ero trovato a vivere l'evento, che forse qualcosa era davvero avvenuto, e che per qualche motivo non ce ne eravamo resi conto; in una parola, fu indotto a dubitare della sua stessa diretta esperienza ed intelligenza, una delle cose peggiori che possano capitare a un essere umano.

Non è pertanto sorprendente che di simili indubitabili favole siano costellati anche i racconti della vita del santo da Copertino23. Storie di cui la mentalità moderna sorride, ma non dovrebbe (quante persone sono state ingannate attraverso di esse?), e il Sebasti sembra viceversa deliziarsi (<<Sentite alcuni di questi incantevoli fioretti>>, p. 32), a riprova del carattere niente affatto razionalistico dell'opera in discussione. Citarne una (che coinvolge addirittura la resurrezione dalla morte, ancorché in tono "minore": inventare di più sarebbe stato forse troppo ardito24) basterà per tutte, come esempio del livello di assurdità nel quale ci troviamo qui immersi.

<<Un giorno scoppia un temporale spaventoso, un diluvio dalle proporzioni mai viste [...] Con grande disperazione dei pastori un intero gregge di pecore è travolto dalla furia degli elementi e le povere bestie vengono ritrovate giacenti a terra, stecchite. Le grida dei pecorai arrivano all'orecchio del santo che si precipita sul posto, e dopo averli consolati, si inginocchia per alcuni istanti raccogliendosi in preghiera. Terminata la quale, ordina alla pecorella che gli sta più vicino di alzarsi, e quella subito si alza. Poi fra [sic] Giuseppe si rivolge alle altre, e ad una ad una comanda loro la stessa cosa, finché tutte le bestiole non sono tornate a pascolare tranquillamente>> (p. 33)25.

Ammettiamo senza esitazione che nulla nasce da nulla: l'invenzione dei voli non può avere la medesima origine di quella dei fioretti, che si aggiungono verosimilmente a qualche altro fenomeno sorprendente e non interamente fantastico (semmai, manipolato). Ripetiamo che, in ogni caso, rimane difficile portare avanti un'analisi razionale tra tante mistificazioni. Infatti, alla naturale confusione dei pasticcioni, degli imprecisi (un numero percentualmente ragguardevole, come lo scrivente può testimoniare dopo 40 anni di esami in una materia riservata a pochi appassionati quale la matematica), si aggiunge spesso la menzogna costruita ad arte. Talora, si diceva prima, a fin di bene, talora ispirata invece da smania di protagonismo, o da soggezione verso l'autorità26. Bugie a buono o a caro mercato, sulle quali si instaura poi il noto "effetto valanga". Eppure, la menzogna è nettamente la faccia opposta della verità, dove c'è l'una (per lo meno nelle intenzioni) non ci può essere l'altra, e contro di essa tuona chiaramente lo stesso testo di riferimento, il Vangelo, di molte delle persone di cui ci stiamo, direttamente o indirettamente occupando:

<<Perché non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alle mie parole, voi che avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin da principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna. A me, invece, voi non credete, perché dico la verità>> (Giovanni, 8, 43-45).

Non si fa una casistica, non si stilano elenchi di eccezioni, non si introducono diversi ordini di bugie, "veniali" e "mortali"; non si dice che sono concesse menzogne "benefiche" (e sottolineiamo ciò anche senza voler arrivare a proporre l'integralismo di Kant, o di Croce, al riguardo).

La seconda ipotesi che vogliamo tratteggiare - e ci sembra esaurisca il campo delle spiegazioni razionali: tutto il resto è, per definizione, irrazionale27 - è ispirata dall'opportunità di evitare il nominato pathological disbelief. Se si ammette che qualcosa di straordinario possa essere accaduta, bisognerebbe allora ricercarne le cause "naturali", nel tentativo di descriverla e comprenderne precisamente le modalità (quanto meno da parte dello stesso protagonista, di cui deve essere però accertata l'assoluta onestà, oltre che "intelligenza" - è un peccato che i "testimoni", che godono di tanto credito presso Sebasti, non avessero manifestamente quella che oggi si dice una "mentalità scientifica"), e cercare di ripetere, nei limiti del possibile, il fenomeno. Tale assunto esclude - in linea di principio - l'intervento capriccioso e indispensabile di una "volontà superiore". Si può soltanto convenire che alcuni fenomeni potrebbero essere prodotti da un'interazione uomo-materia, ancora sconosciuta fino al momento attuale, e in effetti assai dubbia in ordine alla sua stessa esistenza28. Infatti ciò che è nelle capacità di un uomo, deve essere nelle capacità di un altro. Il miracolo viene descritto, nel citato "I nemici del miracolo", come <<fatto sensibile, che supera tutte le forze e le leggi della natura>>, una definizione che è quindi, a un primo livello di interpretazione, intrinsecamente relativa alla nostra conoscenza di dette forze, e delle leggi della natura che le regolano. Un miracolo sarebbe allora un evento del tipo che abbiamo detto storico, inspiegabile in un dato periodo secondo le teorie accettate sulla "natura" (dal punto di vista della fisica unifenomenica cartesiana, potremmo specificare: materia ed energia, ossia materia in movimento), e le sue conosciute (o ipotizzabili) manifestazioni. Si può intendere naturalmente la definizione in un senso più esteso, per non correre il rischio di dover introdurre l'intervento di una "divinità" per rendere conto dei fulmini: ovvero, un miracolo sarebbe un fenomeno la cui spiegazione superi potenzialmente tutte le leggi di natura, sia quelle note quando il fatto si constata, o se ne parla, sia quelle che si può immaginare saranno possibilmente note in futuro. Un evento che trascenda cioè qualsiasi possibilità "concepibile" della res extensa, e che pertanto per essere spiegato richieda una voluntas (res cogitans) capace di intervenire nella materia e sulla materia. Viste le cose da tale prospettiva, i miracoli sarebbero allora sotto i nostri occhi quotidianamente: ogni deviazione dall'ordine naturale provocata dall'azione dell'uomo, rispetto a ciò che sarebbe viceversa accaduto senza che un'esplicita volontà contraria lo avesse impedito. Ma è chiaro che conviene evitare fraintendimenti linguistici, e continuare a riservare al termine miracolo una qual certa "straordinarietà", e qui è ammessa l'incredulità a priori, fino cioè a prova contraria. In altre parole, l'unico atteggiamento razionale da assumere sembra essere quello detto di San Tommaso, ovvero l'osservanza del principio: crederò solo quando avrò visto e toccato personalmente con mano, e quando avrò constatato, al di là di ogni ragionevole dubbio, di non essere caduto vittima di un inganno, sia pure solo dei miei sensi29.
 
 

Note

1 - Età che arrivano sino alle soglie dell'era moderna. Per esempio Emilio Michelone (Il mito di Cristoforo Colombo, Varani Ed., Milano, 1985), nel formulare l'ipotesi che Cristoforo Colombo non sia mai esistito, sostiene che la sua "invenzione" potrebbe essere frutto di <<un'assoluta minoranza di scribacchini colti osservanti delle prescrizioni religiose prima che del reale>> (p. 18). La situazione sembra oggi cambiata, almeno nella tecnologicamente progredita civiltà occidentale: i fatti si possono interpretare (fino a creare ossimori quali "soldati di pace"), ma non sembra altrettanto facile costruirli ex nihilo. Però, proprio mentre esprimiamo questa opinione, confessiamo di nutrire qualche dubbio al riguardo, esattamente in virtù di quella sofisticata tecnologia che può essere messa al servizio di pochi.

2 - Galileo risulta presente a Loreto nel 1618 e nel 1624 (cfr. per esempio:
http://www.conchigliaverde.it/html/loreto.htm), e nello stesso anno 1624 pare sia passato nella cittadina marchigiana anche Cartesio, per adempiere a un voto fatto alcuni anni prima (fonte: Adrien Baillet, Vita di Monsieur Descartes, Adelphi, 1996). Ciò costituisce un problema nel problema, sia in forza dell'incredibile coincidenza cronologica (i due grandi esponenti del cosiddetto "secolo dei geni" si sono incontrati?), sia perché appare inverosimile, almeno secondo l'opinione dello scrivente, supporre siffatto zelo - esprimente una forma speciale di religiosità - tanto nell'uno quanto nell'altro. Si vedano al riguardo la nota N. 45 in "La scienza come strumento ideologico - Il caso Galilei e la falsificazione della cosmologia tolemaica", Episteme N. 4, e "Alle origini della modernità: il programma di ricerca cartesiano..." (in http://www.dipmat.unipg.it/~bartocci/st/ARTMOSCH.htm). Per ciò che concerne in particolare un'eventuale "devozione mariana", possiamo completare l'informazione fornita nella citata nota aggiungendo che nei grossi 19 volumi dell'Edizione Nazionale delle Opere di Galileo non si trova nominata mai, nemmeno per sbaglio, la madonna, né come vergine, o Maria, o madre di Dio, etc.! C'è da chiedersi quali saranno state allora le più autentiche motivazioni dei due "pellegrinaggi", e per avere un'idea di una possibile pista sulla quale sarebbe interessante indagare, rimandiamo alla pagina web: http://www.dimoradeisaggi.it/accademie.htm, dove si sostiene che la <<Madonna Santissima di Loreto>> veniva eletta in zona a protettrice di "Accademici" devoti alla <<Vergine Nera>>, e alla <<prodigiosa traslocazione della Santa Casa a Loreto>>. <<La vergine nera, deità criptica del culto pagano, veniva venerata nelle parti più oscure e nascoste del Tempio, in quanto simbolo della madre terra prima di essere fecondata dal Sole>>. Questo quadrerebbe tra l'altro con la curiosità - più che legittima - di Cartesio nei confronti delle "società segrete", e delle loro pretese conoscenze riservate. E' noto per esempio che egli andò alla ricerca dei Rosacroce (intorno al 1620), ma che ebbe poi a definire tali esperienze in modo da ispirare il seguente commento al suo primo biografo (il nominato Baillet): <<Egli [...] professava apertamente il suo disprezzo generale nei confronti dei sapienti, poiché non ne aveva mai incontrato uno veramente tale>>.

3 - In sede di presentazione del commento di Roberto Germano, "Silvano Fuso, divulgatore a modo suo".

4 - Da Age of Reason (1794-1796), http://www.ushistory.org/paine/ .

5 - Ancora secondo Thomas Paine (loc. cit.): <<The most formidable weapon against errors of every kind is Reason. I have never used any other, and I trust I never shall>>.

6 - Ciò che una "metafisica razionale" dovrebbe comunque escludere è una rappresentazione di un Dio crudele, di umore variabile, etc., che si diverte inspiegabilmente a intervenire nel mondo facendo volare un povero "idioto" pugliese, o dandogli una mano, come vedremo, a far risorgere pecore. Meno ridicolo, quantunque ancora lontanissimo da un'immagine accettabile, il Signore dispotico e barbarico dell'Antico Testamento, un'invenzione dei "popoli del deserto" a perfetta somiglianza dei loro capi tribali (il che fa venire in mente un'"inversione" della citazione di Paine di cui in epigrafe: un uomo crudele inventa un Dio crudele, e uno stupido inventa un Dio stupido - e la circostanza appare essere all'origine di un processo di feedback niente affatto virtuoso). Critichiamo qui una concezione di Dio <<teologicamente mostruosa, deformata dal più primitivo antropomorfismo>> (Aldo Spranzi, Anticritica dei Promessi Sposi, EGEA, Milano, 1995, p. 827), anche se non consideriamo l'antropomorfismo una pècca in sé, ma solo nella misura in cui riferisce a "Dio" una natura simile a quella peggiore dell'uomo (la sua "parte animale"). Ci sembra opportuno rammentare a tale riguardo il libro di Bruno Franchi, Siamo Dio (http://space.tin.it/io/brufran), presentato in Episteme N. 4 (sezione "Pubblicazioni e informazioni ricevute"): <<Un inconsueto e interessante saggio filosofico in forma di dialogo, ispirato alle concezioni di Wilhelm Reich, la cui finalità ultima è di persuadere che: "Siamo qui per ricordare di essere Dio">>.

7 - Ibidem.

8 - Qui naturalmente la specificazione "logica" appare in un ambito più ampio di quello tradizionale, dove il termine viene usato sostanzialmente, ancora in un contesto kantiano, in relazione ai soli giudizi analitici.

9 - In Willem Kuyk, Il discreto e il continuo, 1977 (ed. it. Boringhieri, 1982, Prefazione) si trova riportato che: <<Il mio vecchio professore, il defunto E.W. Beth [Autore di un enciclopedico The Foundations of Mathematics, NdR] affermava spesso che se soltanto i giuristi e i politici e, più in generale, gli studiosi delle artes humaniores si sforzassero di pensare maggiormente in termini di logica matematica (e formale), il mondo sarebbe un posto migliore per viverci>>.

10 - Ovvero, la res extensa, che si trova al di "fuori" dello spirito dell'uomo, il quale appartiene per contro al campo della res cogitans, almeno in prima approssimazione. Per Kant la "realtà materiale" costituisce il fenomeno, dal momento che in ogni caso essa è percepibile soltanto attraverso la mediazione delle forme pure dell'intelletto, spazio e tempo.

11 - In tale senso, anche la teoria del big-bang, pur se elaborata da fisico-matematici, quindi da "scienziati", appartiene alla terza categoria, e non alla seconda, né tanto meno alla prima, e se si volesse si potrebbero qui distinguere due sottocategorie, quella delle verità storiche che concernono gesta umane (le vere e proprie "narrazioni"), e quelle che esulano invece da tale ambito. Sembra per queste seconde intervenire un processo di abduzione, ossia di deduzione a ritroso, ma un approfondimento della questione ci porterebbe troppo lontano, al di là dei limiti del presente commento.

12 - Il termine e' del tutto adeguato, in quanto la ricerca storica ha spesso le caratteristiche di un'indagine poliziesca, la quale pure tende ad accertare la verità su fatti storici, ancorché "minori", riguardanti cioè un numero esiguo di persone. Per ulteriori riflessioni sulla necessità del metodo indiziario nella ricerca storiografica, si veda: http://www.dipmat.unipg.it/~bartocci/st/indiz.htm .

13 - Rilevando così l'ovvio lato soggettivo di ogni tentativo di storiografia, come messo bene in evidenza da Hegel: <<E' giusto esigere che la storia, quale ne sia l'argomento, racconti i fatti senza parzialità, senza pretendere di avvalorare interessi o scopi particolari. Ma tale esigenza è un luogo comune che approda a ben poco, giacché la storia di un argomento è necessariamente collegata in modo strettissimo all'idea che ci facciamo di esso. Questa fissa già in precedenza che cosa si considera importante e conveniente per l'argomento prescelto, e siffatto rapporto tra quanto è accaduto e lo scopo che ci proponiamo porta seco la selezione dei particolari da raccontare, il modo d'interpretarli, i punti di vista sotto i quali collegarli>> (Lezioni sulla Storia della Filosofia). Ci piace in tale contesto citare anche le interessanti riflessioni del Prof. P. Emmolo: http://www.didaweb.net/fuoriregistro/leggi.php?a=2137 .

14 - Conan Doyle è da ricordare, nel presente contesto, per la sua passione per il "paranormale", e per le mistificazioni in cui si è trovato, involontariamente, invischiato.

15 - Sulla scorta, non va dimenticato, ce ne rende edotti il Dott. Papi, di un prototipo del genere nello stesso ordine francescano: <<In un affresco del ciclo iconografico giottesco della Basilica Superiore di Assisi (il dodicesimo dei 28 riquadri complessivi, situato sulla grande parete di sinistra rispetto all'ingresso) S. Francesco viene rappresentato rapito in estasi mentre si solleva in una sorta di nube infuocata>>. Trascuriamo qui una differenza su cui invece insiste Sebasti, tra volo e levitazione, dal momento che i fenomeni ci sembrano comunque assai simili, ed entrambi incredibili al punto da dover essere accolti con particolare cautela, se non vogliamo dire sospetto. La distinzione poi sarebbe non sempre agevole, poiché almeno quanto accaduto davanti agli occhi di Giovanni Federico di Sassonia (presto se ne parlerà), appare un caso di semplice levitazione.

16 - Un "dato di fatto" comunque non necessariamente immutabile, almeno per chi crede in un "progresso" dello "spirito decaduto". La locuzione proviene da Erasmo da Rotterdam (Elogio della Follia, Cap. 63 - La Sacra Scrittura esalta la pazzia; vedi per esempio:
http://www.cronologia.it/storia/biografie/erasmo03.htm ), il quale rimanda per essa, ma in modo non letterale, a Ecclesiaste, 1,15 (il passo in questione è infatti reso nelle traduzioni correnti, come: <<Ciò che è storto non si può raddrizzare e quel che manca non si può contare>>).

17 - Per citare ancora Paine (ibidem): <<All national institutions of churches, whether Jewish, Christian or Turkish, appear to me no other than human inventions, set up to terrify and enslave mankind, and monopolize power and profit>>. Bisogna stare bene attenti a non offrire fondamento a tale genere di critiche qualunque sia la nostra azione nella società (cioè, non necessariamente in una delle chiese storicamente affermatesi nella parte di mondo in cui viviamo).

18 - Quando si parla di fenomeni "straordinari" si sottolinea usualmente che il loro numero è diminuito, dato che nell'era della documentazione globale una telecamera svela impietosamente i più reconditi trucchi, al punto che negli stessi spettacoli di magia appare ormai opportuno gettarla sul piano dell'ironico. Ciò non toglie che le fantasticherie con cui una parte della popolazione si abbevera vengano create ancora oggi, con meccanismi che, in casi "storici", dovrebbero essere oggetto di corrispondente approfondita analisi, e di conseguente motivata condanna.

19 - Gira tra l'altro voce che il cuore di Padre Pio si senta ancora battere attraverso il marmo del sepolcro; è sottinteso però che per poterlo ascoltare bisogna essere fervidi credenti e non persone prevenute dalla fede debole (e chi ammetterà di esserlo, in determinati contesti, come accade nella celebre fiaba dei vestiti dell'imperatore?).

20 - Chi scrive queste righe ha assistito di persona a uno dei raduni di infelici (tra i quali molti curiosi) imploranti una grazia dal "toccato dal Signore", e nell'occasione ha notato l'intervento di individui sospetti, che interpretavano manifestamente un ruolo preordinato. Non è detto che lo stesso Milingo, palesemente attorniato da "strani" tomi, ne fosse a conoscenza: forse crede davvero ai suoi "poteri", quanto meno potrebbe essere certo della sua "fede", non lo mettiamo in dubbio.

21 - Si veda per esempio in http://xoomer.virgilio.it/elia1960/44.htm  una critica da parte "ortodossa"; una critica da parte "protestante" si trova invece in: http://evangelici.altervista.org/maria.html . In quest'ultimo sito si parla esplicitamente, per quanto riguarda le apparizioni di Medjugorje (1981), di <<frod[i], perpetrat[e] dai Francescani locali>>, che sarebbero state rilevate dallo stesso vescovo incaricato delle relative "indagini", Pavao Zanic di Mostar-Duvno.

22 - Mi piace, a futura memoria, citarne il nome. Si trattava del compianto avvocato perugino Luigi Clementi, ben noto animatore di incontri e dibattiti nel capoluogo umbro: una personalità sincera ed avvincente, appassionata e colta, ancorché in certa misura impetuosa e disordinata, soprattutto da un determinato punto in poi della sua vita, in seguito ad un grave luttuoso evento.

23 - C'è da sottolineare, peraltro, che lo stesso avviene per ogni "santo", ma non solo: menzioniamo ad esempio gli analoghi miracolosi prodigi ascritti alle capacità del famoso conte di Cagliostro (al secolo Giuseppe Balsamo, nato a Palermo, 1743-1795), che stupirono molte corti d'Europa nel XVIII secolo (e qui ci troviamo ancora più decisamente in "epoca storica", rispetto al caso del povero "idioto"). Per quanto concerne i nostri giorni, si potrebbe forse ricordare il nome del torinese Gustavo Rol (1903-1994), di cui si diceva che: <<Poteva leggere nel pensiero, materializzare oggetti dal nulla, prevedere il futuro, etc.>>, insomma, bagattelle. In termine di nota, ci sembra di fare cosa utile rammentando le opere di Charles Binet-Sanglé citate nella recensione dell'e-book di Gianni Grana, L'invenzione di Dio, in Episteme N. 6, Parte I.

24 - Aggiungiamo che, in relazione al nostro santo, si parla pure, con evidente compiacimento, di guarigioni di ciechi, profezie, lettura del pensiero, etc., insomma, i soliti luoghi comuni presenti nella descrizione di tutte le persone che vengono dette capaci di compiere "miracoli":
http://www.smbsassari.com/personaggi/Giuseppe%20da%20Copertino.htm .

25 - Il Fra' Cristoforo di manzoniana memoria si sarebbe più semplicemente limitato a un severo monito del tipo: "è la volontà di Dio", che deve quindi essere non solo rispettata ma pure apprezzata, suggerendo implicitamente una possibile punizione per qualche colpa commessa: e chi potrebbe obiettare di non averne? Semmai, che non si capisce perché ad alcuni, spesso poveri miserabili, vengano subito contestate, e ad altri no, oppure che, per punire un colpevole, la folgore del giudice si abbatta allo stesso tempo su persone certamente innocenti (ma forse, ripetiamo, secondo talune concezioni innocente non è mai nessuno, sebbene sia stato mondato dal peccato originale con il battesimo). Il famoso "non cade foglia che Dio non voglia" riassume un'ulteriore concezione di Dio che può dirsi addirittura blasfema. Aggiungiamo che il caso di Manzoni potrebbe non essere così chiaro come appare, in conformità a quanto riferito dal citato Aldo Spranzi (nota 6), nella sua corposa e interessantissima Anticritica...: <<Tutto porta in una direzione precisa: il dubbio sulla cattolicità del Manzoni e del suo romanzo; il sospetto di una colossale e quasi imprendibile ipocrisia, di un'impostura>> (p. 822).

26 - Un caso paradigmatico è quello del Prof. Giuseppe Settele, di cui al punto 3-2-3 del "Breve profilo storico della matematica" in http://www.dipmat.unipg.it/~bartocci/mat/profilo3.doc . A parte le interessate testimonianze dei protagonisti, cosa c'è da aspettarsi del resto da storici che, invece di assumere il ruolo di investigatori, di difensori della verità, di smascheramento dei bugiardi, fanno spesso viceversa dell'ipocrisia e del servilismo una dote, o che sono ispirati da una caritatevole misericordia (di origine non solo cristiana), che viene ricondotta al seguente principio (raramente così esplicito): <<La storia ha le sue sacre bende che non è lecito sempre sollevare, ha i suoi claustri reconditi che non ogni piede deve varcare>> (Davide Albertario, "Intorno ad Alessandro Manzoni...", La Scuola Cattolica, giugno 1873; rist. in Otto/Novecento, N. 1, 1984, p. 90).

27 - Del resto, lo stesso Paolo riconosce l'"irrazionalità" della fede cristiana: <<noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani>> (I Lettera ai Corinzi, 1,23). Secondo il citato T. Paine (ibidem): <<It is upon this plain narrative of facts, together with another case I am going to mention, that the Christian Mythologists, calling themselves the Christian Church, have erected their fable, which, for absurdity and extravagance, is not exceeded by anything that is to be found in the mythology of the ancients>>.

28 - Nel Cap. IX ("L'Arca"), del suo ancora inedito Esodo - ovvero contrabbando di know-how dalle Piramidi a Gerusalemme (vedi Episteme N. 6, Parte I), Lia Mangolini scrive: <<La scienza ufficiale non dà infatti nessun credito ai favolosi resoconti riportati da tavolette babilonesi e antiche fonti arabe, oltre che dai papiri egizi, perché in quelle storie si parla chiaro e tondo di fenomeni di levitazione, apparenti applicazioni dell'antigravità - che qualunque scienziato darebbe un occhio per riuscire a scoprire>>. Tali parole ripropongono il dilemma tra incredulità patologica, che si fonda su una constatata straordinaria capacità di elaborare chimere da parte degli esseri umani, ed eccessiva fiducia in inverificabili resoconti.

29 - L'adesione, più o meno integrale, al punto di vista qui delineato costituisce, ci pare, una delle accuse rivolte a Galileo Galilei dal padre domenicano Tommaso Caccini, quando riferì di una testimonianza di Ferdinando Ximenes, reggente di S. Maria Novella. I <<galileisti>> tenevano per vera l'opinione: <<i miracoli che si dicono esser fatti dai santi, non essere veri miracoli>> (fonte: Ludovico Geymonat, Galileo Galilei, Einaudi, Torino, 1969, p. 102). La circostanza sembra avvalorare l'ipotesi che dietro all'avversione della parte controriformista della Chiesa alla persona e all'influenza dell'illustre scienziato pisano (meno "cane sciolto" di quello che una certa vulgata tende a far ritenere) si potessero nascondere obiezioni teologiche sostanziali che andavano ben al di là della controversia cosmologica sul copernicanesimo. Tale possibilità è ampiamente illustrata nell'interessantissimo saggio di Pietro Redondi, Galileo eretico (Einaudi, Torino, 1983); riteniamo di far cosa utile ai lettori citando pressoché integralmente la presentazione in IV di copertina, anche perché solleva un punto cui Episteme ha dedicato spesso attenzione, e cioè che l'immagine che si ricava dalla storiografia attuale su molti eventi fondamentali della storia moderna appare irrimediabilmente lontana dalla loro reale essenza. <<Con questo libro profondamente, polemicamente innovatore, Pietro Redondi sgombra il campo sia dalla celebrazione laica di Galileo, santificato (reliquie comprese) in età risorgimentale e positivista, sia dagli odierni tentativi di riabilitazione compiuti dall'autorità pontificia. Con una ricostruzione rigorosa l'autore dimostra che Galileo è stato condannato dalla Chiesa per motivi estranei a Copernico, all'esegesi biblica, agli abusi di potere e agli scontri personali col papa. Un documento del 1624 - un documento mai prima cercato - rivela la vera imputazione lanciata segretamente contro Galileo dal Collegio romano dei gesuiti, la più autorevole istituzione culturale della Controriforma. Galileo era stato accusato di violare con le sue idee atomistiche il dogma tridentino dell'eucarestia. La storia della scoperta, nell'archivio romano del Sant'Uffizio, di questo documento decisivo s'intreccia a quella degli scontri (quello di facciata e quello reale) tra Galileo e i suoi avversari. Con la gioia di chi ricostruisce pezzo a pezzo una verità occultata per secoli, l'autore ci conduce attraverso processi, feste, scuole, biblioteche e gallerie; fa rivivere i riti e i sentimenti religiosi; le passioni politiche e intellettuali; i libri e gli uomini. La versione ufficiale si dissolve: e il processo a Galileo, simbolo del conflitto tra scienza e fede, appare in una luce completamente nuova>> (Einaudi, Torino, 1983; rist. 1988). Crediamo al solito di essere utili ai lettori menzionando al termine di questa lunga nota: Bianchi L., "Interventi divini, miracoli e ipotesi soprannaturali nel Dialogo di Galileo", in Potentia Dei - L'onnipotenza divina nel pensiero dei secoli XVI e XVII, a cura di G. Canziani, M.A. Granada, Y. Ch. Zarka, Ed. Angeli, Milano, 2000.

 

Il caso Giuseppe da Copertino


indagine sulla vita e i prodigi del santo che volava

 

Goffredo Sebasti - Sugarco, 2003

Goffredo Sebasti è nato ad Alessandria d'Egitto, dove ha compiuto gli studi liceali. Laureatosi in lettere a Roma e specializzatosi in letteratura francese, è autore di numerose sceneggiature e soggetti cinematografici. Vive e lavora a Roma. Ha pubblicato il suo primo romanzo, La Tiorba, nel 1984.
 

INDICE DEL LIBRO:

Premessa
Capitolo 1 - Un povero "idioto"

Capitolo 2 - L'adolescenza

Capitolo 3 - Stalliere del priore

Capitolo 4 - L'ordinazione

Capitolo 5 - I primi "segni"

Capitolo 6 - La "leggenda"

Capitolo 7 - Inizia il calvario: il "fattaccio" di Giovinazzo

Capitolo 8 - Un breve respiro

Capitolo 9 - L'Inquisizione

Capitolo 10 - In attesa della sentenza

Capitolo 11 - La condanna di un'assoluzione

Capitolo 12 - Vita al Sacro Convento

Capitolo 13 - All'apice della popolarità

Capitolo 14 - Segregazione definitiva dal mondo

Capitolo 15 - Epilogo

 
 

 

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Ultimo aggiornamento:

 29 ottobre 2006